Processo trasfusionale: un documento realizzato dalla Altis Ops editore raccoglie le buone pratiche di qualità e sicurezza
Come possiamo garantire qualità e sicurezza nel processo trasfusionale sia per il donatore, che per il paziente e per gli operatori sanitari? Quali sistemi misure è giusto adottare? Sono alcune delle domande a cui ha risposto un documento “Buone pratiche multidisciplinari nel processo trasfusionale – La sicurezza come obiettivo di sistema” della Altis Ops editore. Il processo trasfusionale comprende una complessa serie di attività, procedure, monitoraggi all’interno dei quali i temi della sicurezza dei donatori, dei riceventi e di tutti gli operatori hanno assunto sempre maggiore importanza.
Il documento è stato redatto da specialisti di varie discipline interessati al miglioramento della qualità ed alla sicurezza della trasfusione.
Il documento – firmato da Giampietro Briola, Responsabile di Pronto Soccorso, Ospedale Desenzano del Garda e Presidente AVIS Nazionale; Claudio Lavorino, direttore Laboratorio Controlli Qualità Microbiologici delle Cellule staminali e terapie cellulari, Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini; Isabella Mauro Pediatra Neonatologo Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine; Lucilla Nozzoli, CPS Senior presso AUSL Toscana Centro; Flavia Petrini Professore Ordinario presso Dipartimento di Scienze Mediche Orali e Biotecnologiche, Università degli Studi Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara e Presidente SIAARTI; Irene Rosini, Coordinatrice Infermieristica Azienda Sanitaria Locale di Pescara; Francesco Venneri, Dirigente Medico Responsabile della SS di Rischio Clinico, Azienda Sanitaria di Firenze – condensa in sei capitoli il lavoro di un anno di descrizione, analisi, approfondimenti, giungendo ad identificare una serie di best practice nei seguenti ambiti: definizione e conoscenza dell’intero processo trasfusionale; puntuale tracciabilità delle singole attività dell’intero percorso; conoscenza del rischio clinico legato al processo trasfusionale; conoscenza di responsabilità, linee guida e normative; identificazione delle innovazioni tecnologiche al fine di assicurare sicurezza nell’intero percorso; rapporto tra trasfusione, SSN e cittadini.
“Parlare di qualità e sicurezza in sanità è un tema non solo attuale, ma anche di estrema importanza sia strategica che economica”, risponde Francesco Venneri, “Qualità e sicurezza delle cure significa attenzione al paziente ed all’intero processo di erogazione del servizio clinico-assistenziale in questo ambito rappresentato dal percorso emotrasfusionale.
Qualità e sicurezza delle cure e quindi prevenzione del rischio e gestione degli eventi avversi vuol dire prendere in carico l’intero percorso diagnostico-terapeutico e aumentare la consapevolezza negli operatori sui temi di prevenzione e gestione degli errori in sanità. Il documento prodotto ha avuto quindi come obiettivo quello di proporre ed implementare una serie di best practice già presenti ed agire sulla consapevolezza di sistema, puntando al miglioramento continuo con gli strumenti e metodi della qualità e sicurezza”. La multidisciplinarietà del team di autori del documento è messa in luce da Lucilla Nozzoli: “Lavorare in team, multi ed interprofessionali, significa condividere i percorsi, le azioni, le attività e prevedere gli eventi avversi con un approccio proattivo tipico della gestione del rischio clinico. Aver messo al centro del nostro lavoro sia il donatore che il ricevente nonchè gli operatori coinvolti significa avere chiaro quanto sia importante e delicato il processo emotrasfusionale non solo visto come cura, ma anche come presa in carico”.
Entrando nel merito dei contenuti, Flavia Petrini precisa che “in questo documento abbiamo evidenziato sei argomenti forti di buona pratica clinica: la prima è la formazione di tutti gli operatori per la conoscenza dell’interezza del processo; la seconda è la tracciabilità con sistemi informativi adeguati; la terza è la necessità di avere a disposizione tutta la conoscenza specifica sul rischio clinico; la quarta è la conoscenza delle norme e la disponibilità di protocolli e procedure adeguati da un punto di vista operativo; la quinta è che l’innovazione tecnologica possa essere continuamente implementata e migliorata; l’ultima è l’auspicio di un’alleanza con il mondo dei pazienti spingendo gli operatori a fare capire come bisogna comunicare meglio ai cittadini”.
“Noi intensivisti cerchiamo di usare quando serve e nella maniera più appropriata i farmaci, le tecnologie e il sangue che è considerato una risorsa farmacologica. Siamo abituati a lavorare cercando di ridurre al massimo il rischio, anche se va sottolineato che il rischio zero in medicina non esiste perché soprattutto i processi umani, se complessi, espongono a rischio di errori e di eventi avversi ma per fortuna il percorso trasfusionale è già un percorso molto sicuro” aggiunge Petrini.
“Nel mio ruolo di responsabilità credo sia importante l’aver indicato tutte le criticità e i rischi connessi alla trasfusione di sangue ed emocomponenti”, puntualizza Giampietro Briola, “rischi che si inseriscono in un percorso lungo e complesso che va dalla selezione del donatore al letto del malato. Nessun passaggio di questo percorso deve essere sottovalutato perchè il fattore umano è e rimane determinante nel processo ma soprattutto nella prevenzione del rischio. Aver individuato le criticità e ribadito in un documento come impostare un lavoro che sia salvaguardia della Qualità e Sicurezza per il donatore, i pazienti e gli operatori lo ritengo utile strumento per tutti, soprattutto in fasi di emergenza, quando i tempi sono limitati e gli interventi di rapida esecuzione in equipe. Per citare solo uno dei punti da noi approfonditi: la tracciabilità informatica dei percorsi e dei processi, insieme all’utilizzo di device in rete, dal donatore al riconoscimento del paziente sono un supporto irrinunciabile: serve che tutti ne siano consapevoli e formati a garanzia dell’intera filiera e dell’intero sistema, sia clinico che industriale, attraverso il conferimento del plasma per la produzione di farmaci plasmaderivati”.
Briola sottolinea anche che i donatori periodici sono continuamente tracciati dal punto di vista clinico mentre i donatori occasionali sono meno controllati e sono anche meno portati a donare come filosofia di vita. Considerando queste premesse si potrebbe nettamente migliorare la qualità e la sicurezza azzerando la presenza dei donatori occasionali. Inoltre, il servizio risulta migliore nei centri di raccolta qualificati.
“Attualmente i rischi sono ridotti a zero con gli esami che si fanno quindi la PCR e la ricerca dell’RNA per quanto riguarda le malattie virali anche se il rischio zero in medicina non esiste ma sono diversi anni che non vediamo più una malattia virale trasmessa con la trasfusione. Esiste poi un rischio residuo che riguardano qualità e sicurezza che è legato al possibile, potenziale errore umano come nello scambio della sacca o nella trascrizione degli esami ma anche questo tema è quasi risolto perché tutto il percorso è ormai tracciato e seguito in modo informatizzato e quindi anche questo rischio residuo è stato praticamente azzerato” spiega Briola.
“Inoltre, la progressiva e sempre più rapida espansione della cultura relativa alle pratiche multidisciplinari nel processo trasfusionale”, commenta Claudio Lavorino, “non può, e non deve, non considerare le nuove indicazioni relative al controllo microbiologico delle unità di sangue ed emocomponenti anche ai fini della infusione controllata. Unitamente alla distribuzione e trasporto di tali prodotti: questo nostro documento pone particolare attenzione sulla convalida dei processi per mantenere un elevato standard di qualità e sicurezza”.
Nel documento messo a punto, c’è un’importante presenza di contenuti e processi che riguardano da vicino gli infermieri e l’ambito della neonatologia. “Gli infermieri prendono in carico il donatore ed il ricevente durante tutto il percorso trasfusionale dall’identificazione del donatore alla trasfusione”, puntualizza Irene Rosini, “Analizzando i vari passaggi del processo, la loro autonomia prevista dalla L.42/99 viene però a mancare.
L’Accordo della Conferenza Stato-Regioni del 25.07.2012 prevede in particolare che l’infermiere per essere qualificato alle attività di raccolta di sangue e di emocomponenti debba seguire un percorso formativo specifico, e garantire un numero minimo di procedure annue, poi però questa specificità non viene riconosciuta in termini valoriali e professionali dalle aziende e dalle istituzioni. Un’altra criticità che coinvolge sia gli infermieri che i pazienti è data dal processo trasfusionale a domicilio, dove è richiesta la presenza fisica del medico, e se non è possibile il paziente deve recarsi in ospedale, mentre l’applicazione di protocolli condivisi permetterebbero ciò che avviene normalmente negli ospedali dove il controllo durante l’infusione degli emoderivati e in capo agli infermieri.
Auspichiamo quanto prima in una revisione di alcune prassi consolidate, che probabilmente non afferiscono ad unica professionalità unitamente ad un potenziamento delle tecnologie volte a ridurre il rischio di errore e a migliorare la sicurezza del processo trasfusionale”. “In caso di necessità di trasfusione di emocomponenti il neonato, soprattutto pretermine, deve essere paragonato ad un paziente adulto immunocompromesso in stato di shock con squilibrio emodinamico”, sottolinea Isabella Mauro, “E’ quindi necessario utilizzare tutte le conoscenze mediche e scientifiche più attuali per ridurre il rischio di infezioni, quali il virus citomegalico (CMV), ridurre il volume di liquidi e ridurre il rischio correlato alla procedura stessa”.
“Abbiamo condiviso la scrittura di questo documento perché più facciamo cultura, più facciamo formazione ed informazione diffondendo il concetto della qualità e della sicurezza migliori saranno i risultati. E’ importante comprendere che ogni segnalazione di errore non è una punizione ma è un momento di riflessione critica” evidenzia Briola.
Il documento “Buone pratiche multidisciplinari nel processo trasfusionale- La sicurezza come obiettivo di sistema” giunge in un momento in cui anche l’OMS si sta occupando con estrema attenzione del tema “rischio-sicurezza”.
“L’attenzione ai temi della sicurezza delle cure e del rischio clinico sono ampiamente declinate nella Legge n.24 del 8/3/2017 nota come Legge Gelli-Bianco”, risponde Francesco Venneri, “Agire su questo ambito non è facile, richiede tempo e dedizione. Abbiamo fortemente creduto che partendo proprio dal delicato processo emotrasfusionale si possa ragionevolmente implementare questa cultura del rischio e soprattutto l’approccio di analisi secondo una visione di sistema affinché siano prese in considerazione tutte le dimensioni dei sistemi complessi: organizzazione, tecnologia, struttura, fattore umano”. “Crediamo sia necessario inserire nei percorsi formativi universitari degli infermieri e dei medici i temi specifici che riguardano strumenti e metodologie della gestione del rischio clinico e della sicurezza del paziente” conclude Lucilla Nozzoli, “Il cambiamento culturale è la leva su cui il sistema sanitario deve agire per creare sistemi di cura per esseri umani che possono sbagliare indipendentemente dalla loro preparazione buona volontà”.