Leucemia linfocitica cronica/linfoma a piccoli linfociti recidivati o refrattari: zanubrutinib è in grado di ritardare la progressione della malattia meglio di ibrutinib
In pazienti con leucemia linfocitica cronica/linfoma a piccoli linfociti recidivati o refrattari, l’inibitore della tirosin-chinasi di Bruton (BTK) di seconda generazione zanubrutinib è in grado di ritardare la progressione della malattia in modo significativamente maggiore rispetto allo standard di cura ibrutinib, con una riduzione ugualmente incoraggiante degli eventi avversi. Lo evidenziano i risultati di un’analisi ad interim pianificata dello studio di fase 3 ALPINE (NCT03734016) presentata durante una sessione plenaria al meeting annuale della European Hematology Association (EHA).
«Questi dati forniscono l’evidenza che un’inibizione della BTK più selettiva, con un’occupazione della BTK più completa e sostenuta, si traduce in una migliore efficacia e sicurezza», ha dichiarato l’autore principale dello studio Peter Hillmen, dell’Università di Leeds. Inoltre, ha aggiunto il Professore, «Zanubrutinib può minimizzare le tossicità legate all’inibizione off-target di ibrutinib e può migliorare i risultati di efficacia».
I nuovi risultati fanno ben sperare che il farmaco potrà ottenere l’approvazione delle agenzie regolatore per il trattamento dei pazienti con leucemia linfatica cronica/linfoma a piccoli linfociti ricaduti/refrattari. Attualmente, zanubrutinb è approvato solo per il trattamento dei pazienti con linfoma a cellule mantellari già trattati con almeno una terapia precedente.
Lo studio ALPINE
Lo studio ALPINE (NCT03734016) è un trial multicentrico internazionale randomizzato di confronto testa a testa fra i due inibitori di BTK ibrutinib e zanubrutinib.
Lo studio ha arruolato pazienti con leucemia linfatica cronica o linfoma a piccoli linfociti recidivati o refrattari, assegnati secondo un rapporto di randomizzazione 1:1 al trattamento con zanubrutinib 160 mg due volte al giorno o ibrutinib 420 mg una volta al giorno fino alla progressione della malattia.
La randomizzazione è stata stratificata per età (< 65 anni contro ≥ 65 anni), regione geografica di residenza, stato di refrattarietà della malattia e presenza o assenza della delezione (del)17p o di mutazioni del gene TP53.
L’analisi ad interim è stata condotta sui dati disponibili per i primi 415 pazienti sui 652 arruolati.
Tasso di risposta più alto
Il tasso di risposta complessivo (ORR), che rappresentava l’endpoint primario, a un follow-up mediano di 15 mesi è risultato significativamente più alto tra i pazienti che sono stati trattati con zanubrutinib rispetto a quelli che hanno ricevuto ibrutinib: 78,3% contro 62,5% (P = 0,0006).
Inoltre, quando gli autori hanno incluso anche i pazienti che hanno ottenuto una risposta parziale con linfocitosi, i benefici in termini di ORR di zanubrutinib sono risultati ancora maggiori: 88,4% contro81,3% con ibrutinib.
È importante notare che tra i pazienti portatori della mutazione del(17p), una caratteristica notoriamente associata a una sopravvivenza ridotta e a una resistenza alla chemioimmunoterapia, nei 24 che sono stati trattati con zanubrutinib si è registrato un ORR significativamente superiore rispetto ai 26 portatori della stessa mutazione e trattati con ibrutinib: 83,3% contro 53,8%, rispettivamente.
PFS superiore
Altrettanto rilevanti sono stati i risultati di sopravvivenza libera da progressione (PFS) in termini di tasso libero da eventi a 12 mesi, che è risultato significativamente superiore nel braccio trattato con zanubrutinib rispetto al braccio di confronto, con una riduzione del 60% del rischio di progressione o decesso (94,9% contro 84%; HR 0,40; P = 0,0007).
I risultati valutati al cut-off di 18 mesi hanno mostrato che nel braccio con zanubrutinib solo 20 pazienti mostravano una malattia in progressione contro 42 nel braccio con ibrutinib.
Tuttavia, i tassi di sopravvivenza globale (OS) a 12 mesi non sono risultati significativamente diversi: rispettivamente 97% e 92,7% (P = 0,1081).
Migliore tollerabilità cardiaca
Dal punto di vista della sicurezza del trattamento, tra i pazienti assegnati a zanubrutinib si è registrato un tasso sostanzialmente inferiore di fibrillazione/flutter atriale, un noto effetto collaterale degli inibitori della BTK e un endpoint di sicurezza pre-specificato dello studio: 2,5% contro 10,1% (2-sided P=0,0014).
In aggiunta, l’incidenza dei disturbi cardiaci di qualsiasi grado è risultata del 13,7% nel braccio trattato con zanubrutinib contro 25,1% nel braccio di confronto, mentre l’incidenza dei disturbi cardiaci di grado 3 o superiore è risultata rispettivamente del 2,5% e 6,8%.
Sebbene nei pazienti con leucemia linfatica cronica e linfoma a piccoli linfociti trattati con ibrutinib si ottengano tassi di risposta elevati, ha commentato Hillmen, l’interruzione del trattamento resta un problema significativo per questo farmaco, con il quale si registrano tassi di interruzione fino al 25-30%, in gran parte dovute alle tossicità del farmaco stesso.
Zanubrutinib è stato infatti progettato per minimizzare le tossicità, in quanto una maggiore specificità consente di ridurre l’inibizione off-target delle chinasi delle famiglie TEC e EGFR, ha spiegato lo sperimentatore.
Meno sanguinamenti
Nell’analisi presentata all’EHA anche i sanguinamenti maggiori sono stati meno frequenti con zanubrutinib (2,9% contro 3,9%), al pari degli eventi avversi che hanno portato alla interruzione della terapia (7,8% contro 13%, rispettivamente) o al decesso (3,9% contro 5,8%).
Sebbene nei pazienti trattati con l’inibitore di nuova generazione la neutropenia si sia manifestata con maggiore frequenza (28,4% contro 21,7%), le infezioni di grado 3 o superiore sono state inferiori a quelle registrate con ibrutinib (12,7% contro 17,9%).
«I risultati suggeriscono che con zanubrutinib la neutropenia sia una complicanza gestibile», ha osservato Hillmen.
L’esperto suggerisce prudenza
Secondo John G. Gribben, presidente dell’EHA e direttore dell’Experimental Cancer Medicine Centre dell’Università di Londra, i risultati a lungo termine aiuteranno a delineare un quadro più completo dei benefici di zanubrutinib.
«Questa è una valutazione preliminare dei dati e il follow-up è ancora alquanto breve. Abbiamo bisogno di vedere i risultati di questo studio con un follow-up più lungo per poter stabilire se i risultati reggono nel tempo», ha dichiarato l’esperto.
Gribben ha inoltre menzionato un recente studio di confronto testa a testa tra un altro inibitore della BTK di seconda generazione, acalabrutinib, e ibrutinib.
«Anche se consigliamo sempre cautela nel fare confronti testa a testa, i ricercatori potranno analizzare questi due studi congiuntamente per valutare i tre diversi inibitori della BTK approvati nei pazienti con leucemia linfatica cronica recidivata», ha aggiunto l’esperto.
Infine, Hillmen ha precisato che «è necessario vedere dati [dello studio ALPINE, ndr] più maturi per poterli confrontare con quelli degli altri studi», ma ha anche sottolineato che «entrambi gli studi indicano che con gli inibitori della BTK di seconda generazione la tollerabilità in termini di tossicità cardiaca è migliorata».
Bibliografia
P. Hillmen, et al. First interim analysis of ALPINE study: results of a phase 3 randomized study of zanubrutinib vs ibrutinib in patients with relapsed/refractory chronic lymphocytic leukemia/small lymphocytic lymphoma. EHA 2021 Abstract LB1900. Link