A mangiare si impara, con pazienza e assaggi ripetuti: ne è convinta Margherita Caroli, pediatra di lunga esperienza ed esperta di nutrizione per la SIPPS
“A mangiare si impara come si imparano le tabelline, cioè ripetendo la stessa cosa più volte, in tempi ravvicinati, con atteggiamento positivo. Quindi, più viene offerto un alimento più viene apprezzato”. Ne è convinta Margherita Caroli, pediatra di lunga esperienza ed esperta di nutrizione per la Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) che, al Congresso della Società scientifica in versione digitale intitolato ‘Napule è’, ha presentato un documento di indirizzo sull’alimentazione complementare.
“I genitori- consiglia l’esperta- non devono andare in crisi se il bambino si rifiuta di assaggiare un alimento o se, una volta assaggiato, ne mangia poco. Così come non si impara una tabellina al primo colpo, allo stesso modo non si può apprezzare un alimento somministrato una sola volta. Bisogna quindi somministrarlo almeno 10 volte, a distanza ravvicinata, senza imposizioni e ricordando che nessun bimbo morirà se andrà a letto quasi a digiuno. Prima o poi mangerà, tutti i bambini sani alla fine mangiano quando capiscono che non ci sono alternative”. Alcune informazioni scientifiche del documento possono avere anche una utilità pratica. Ad esempio, spiega Caroli, “noi siamo geneticamente programmati per apprezzare maggiormente i cibi grassi e dolci. Bisogna dunque avere pazienza e stimolare il bambino ad apprezzare anche i sapori più amari o più acidi o quelli delle verdure”. Allo stesso modo, aggiunge, “è bene sapere che l’ipoglicemia delle fasi iniziali della fame è quella che stimola le papille gustative e le rende più predisposte a nuovi sapori. Partendo da questa informazione, bisogna imparare a proporre ‘a prima fame’ e non demordere”.
Cosa fare, invece, quando gli stessi alimenti mangiati volentieri alla mensa dell’asilo o della scuola, vengono rifiutati a casa? “In questo caso- constata la pediatra- vuol dire che i genitori sono un po’ ‘deboli’ e i bambini hanno capito di poter far leva per ottenere quello che vogliono. I genitori- tiene a ricordare- devono essere un muro di protezione e di sostegno per i bambini, un muro che non deve sgretolarsi al loro primo ‘no’”.
Quello presentato nel corso di ‘Napule è’, sottolinea Caroli, “è un vero e proprio documento di indirizzo poiché- chiarisce la coautrice del lavoro- nella sua realizzazione abbiamo lavorato con la metodologia più validata a livello internazionale, seguendo tutte le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e del Ministero della Salute sulla stesura delle raccomandazioni. E’ un documento che mancava nel panorama delle pubblicazioni scientifiche italiane dedicate ai bambini. Il testo analizza vari aspetti dell’alimentazione complementare, che è la definizione con la quale si dovrebbe indicare lo svezzamento secondo l’OMS”. Tra questi aspetti c’è quello delle diseguaglianze sociali che, evidenzia la pediatra, “creano dei veri e propri ‘burroni’ che pregiudicano la salute futura. Ad esempio le donne sole, con un lavoro poco qualificato, con una situazione economica precaria e un livello socio-culturale più basso, allattano meno, danno più latte in formula e meno latte materno, tendono a svezzare prima i figli, rispetto a donne più acculturate e con una situazione economica più stabile. I pediatri- esorta Caroli- devono dunque porre maggiore attenzione a queste famiglie che devono essere protette più di altre”.
Un altro tema affrontato dal documento di indirizzo è quello del baby food marketing. “Seguendo una legge europea- illustra la pediatra e consulente dell’OMS- le aziende possono indicare i 4 mesi come età minima a partire dalla quale i loro alimenti sono adeguati. In realtà, l’OMS dice che si deve partire a 6 mesi e ci sono moltissimi documenti che dimostrano come la somministrazione di alimenti solidi prima di quell’età sia inutile se non dannosa. Così, la Commissione europea ha chiesto all’EFSA (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) di emettere un parere sull’età in cui si può iniziare a somministrare cibi solidi, con l’obiettivo di arrivare a variare questa indicazione sulle confezioni di baby food, obbligando le aziende a scrivere ‘dal sesto mese compiuto’. L’EFSA ha espresso il proprio parere sostenendo la somministrazione di alimenti solidi prima dei sei mesi non crea problemi, ma non porta neanche vantaggi, per cui non esiste alcun motivo per dare alimenti diversi dal latte prima dei sei mesi”.
In tema di alimentazione complementare, nelle prime fasi di introduzione dei cibi solidi per i lattanti, è necessario ricordare che “l’alimentazione complementare va differenziata se il bambino è allattato al seno o con formula. Ad esempio, nel caso di bambini allattati al seno, bisogna iniziare con le proteine (bastano 10 grammi al giorno di carne o di pesce); mentre, per i bambini allattati con formula questa supplementazione non è necessaria (dato che il latte in formula ha un carico proteico e di ferro superiore a quello materno) e occorre, invece, dare alimenti dai sapori diversi, cambiando molto, partendo da frutta e verdura. Questo perché i bambini allattati con formula sono abituati a un unico sapore, mentre quelli allattati al seno sentono sapori diversi in base a quello che ha mangiato la mamma. In un certo senso, quindi- conclude Caroli- lo svezzamento del bambino allattato al seno è più facile”.