Site icon Corriere Nazionale

Leucemia linfatica: ibrutinib/venetoclax opzione migliore

ricerca scientifica san raffaele interferone mutazione f508del

Leucemia linfatica cronica: la combinazione chemio-free ibrutinib/venetoclax batte clorambucile/obinutuzumab in prima linea

Nei pazienti con leucemia linfatica cronica, una terapia di prima linea chemo-free di durata fissa con la combinazione dell’inibitore di BTK ibrutinib e l’inibitore di BCL-2 venetoclax produce una sopravvivenza libera da progressione (PFS) superiore rispetto alla chemioimmunoterapia con clorambucile più obinutuzumab. Lo evidenziano i risultati dell’analisi primaria dello studio di fase 3 GLOW, presentata fra i late-breaking abstracts al recente congresso virtuale della European Hematology Association (EHA).

Ibrutinib, un inibitore orale di BTK somministrato una volta al giorno, ha dimostrato di fornire un beneficio di sopravvivenza in diversi studi di fase 3 su pazienti con leucemia linfatica cronica non trattati in precedenza. Venetoclax è un inibitore orale della proteina anti-apoptotica BCL-2 ,anch’esso somministrato una volta al giorno, che ha dimostrato di offrire un beneficio di PFS rispetto alla chemioterapia in pazienti con leucemia linfatica cronica non trattati in precedenza quando somministrato con obinutuzumab in un regime di 12 settimane.

I due inibitori presentano meccanismi di azione distinti e complementari che agiscono in modo sinergico. Ibrutinib mobilizza le cellule leucemiche al di fuori delle nicchie linfoidi protettive e ne inibisce la proliferazione, mentre venetoclax uccide in modo efficiente le cellule leucemiche circolanti.

«L’aspettativa era, dunque, che la combinazione di ibrutinib con venetoclax potesse portare a risposte più profonde e durature e consentire ai pazienti periodi senza trattamento», ha detto durante la presentazione dei dati Arnon P. Kater, del Cancer Center di Amsterdam. Per verificarlo, Kater e i colleghi hanno disegnato e condotto lo studio GLOW.

Lo studio GLOW
In questo studio (NCT03462719), i ricercatori miravano a valutare l’efficacia e la sicurezza un trattamento di durata fissa con ibrutinib più venetoclax di durata fissa rispetto alla chemioterapia con clorambucile più obinutuzumab in pazienti con leucemia linfatica cronica naïve al trattamento.

Nel trial sono stati arruolati 211 pazienti con leucemia linfatica cronica non trattati in precedenza di età non inferiore ai 18 anni, con un punteggio della cumulative illness rating scale (CIRS) maggiore di 6 o una clearance della creatinina inferiore a 70 ml/min. Non potevano partecipare al trial, invece, pazienti portatori della delezione (del) 17p o di mutazioni note di TP53.

Dopo essere stati stratificati in base allo stato mutazionale delle IGHV e la presenza o meno della (del)11q, i pazienti sono stati assegnati in rapporto 1:1 al trattamento con un lead-in di 3 cicli con ibrutinib 420 mg/die seguito dal trattamento con ibrutinib più venetoclax per 12 cicli (venetoclax è stato aumentato da 20 mg a 400 mg in 5 settimane a partire dal ciclo 4), oppure con la combinazione di clorambucile 0,5 mg/kg nei giorni 1 e 15 per 6 cicli più obinutuzumab 1000 mg nei giorni 1-2, 8 e 15 del primo ciclo e nel giorno 1 dei cicli da 2 a 6.

L’endpoint primario del trial era la PFS valutata da un comitato di revisori indipendenti (IRC), mentre gli endpoint secondari chiave includevano la non rilevabilità della malattia minima residua (MRD) nel midollo osseo, il tasso di risposta completa (CR) valutato dall’IRC, il tasso di risposta complessivo (ORR) valutato dall’IRC, la sopravvivenza globale (OS) e la sicurezza.

Pazienti complessivamente anziani e unfit
Complessivamente, 106 pazienti sono stati assegnati al trattamento chemo-free con ibrutinib più venetoclax (età mediana 71 anni; 55,7% uomini) e 105 al trattamento con clorambucile più obinutuzumab (età mediana 71 anni; 60% uomini).

«Nel complesso, la popolazione dello studio era formata da pazienti anziani e unfit», ha osservato Kater. «La maggior parte dei pazienti aveva un punteggio della CIRS maggiore di 6 e, quindi, la popolazione dello studio era unfit rispetto a quella di altri studi di prima linea su ibrutinib, tra cui RESONATE 2 e ILLUMINATE».

Rischio di progressione o morte ridotto del 78%
Dopo un follow-up mediano di 27,7 mesi, la combinazione di ibrutinib più venetoclax ha migliorato in modo significativo la PFS rispetto alla chemioimmunoterapia con clorambucile più obinutuzumab, riducendo il rischio di progressione o morte del 78% (HR 0,216; IC al 95% 0,131-0,357).

La PFS mediana non è ancora stata raggiunta nel braccio assegnato al regime sperimentale, mentre è risultata di 21 mesi  (IC al 95% 16,6-24,7) nel braccio di confronto.

Il beneficio della combinazione con venetoclax è risultato coerente nei vari sottogruppi, tra cui quello dei pazienti con comorbilità e indipendente dall’età e dalle caratteristiche biologiche sottostanti come lo stato mutazionale delle IGHV e la presenza o meno della del(11q).

Inoltre, i pazienti trattati con il regime chemo-free hanno avuto risposte più profonde e durature rispetto a quelli trattati con la chemioimmunoterapia. Un risultato, questo, probabilmente correlato al meccanismo d’azione sinergico di ibrutinib e venetoclax, ha osservato Kater.

Tassi di risposta e MRD non rilevabile più alti con ibrutinib/venetoclax
Anche il tasso di CR è risultato significativamente più alto nei pazienti trattati con ibrutinib più venetoclax rispetto a clorambucile più obinutuzumab: 38,7% contro 11,4% (P < 0,0001). Inoltre, i pazienti che hanno mantenuto una risposta dopo 2 anni sono stati più del doppio nel braccio trattato con il regime sperimentale rispetto al braccio di confronto: 90% contro 41%.

Il trattamento con la combinazione chemo-free si è anche associato a tassi di MRD non rilevabile nel midollo osseo significativamente più alti rispetto alla chemioimmunoterapia sia quando questo parametro è stato valutato nel midollo osseo (51,9% contro 17,1%; P < 0,0001) sia quando valutato nel sangue periferico (54,7% contro 39,0%; P = 0,0259).

«La durata della risposta potrebbe essere più importante della profondità della risposta» ha commentato in un’intervista Paolo Ghia, Professore di Oncologia Medica e direttore del Strategic Research Programma di Ricerca Strategico sulla Leucemia Linfatica Cronica e  dell’Unità Neoplasie delle Cellule B all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Infatti, a un anno dalla fine del trattamento, l’85% dei pazienti con MRD non rilevabile alla fine del trattamento con ibrutinib più venetoclax manteneva uno stato di MRD non rilevabile.

I dati sull’OS sono ancora immaturi, ha riferito Kater. Al momento dell’analisi dei dati, si erano verificati 11 decessi nel braccio trattato con il regime chemo-free e 12 decessi nel braccio clorambucile più obinutuzumab (HR 1,048; IC al 95% 0,454-2,419). Le cause di morte sono risultate simili nei due bracci dello studio e le più comuni sono state le infezioni e gli eventi cardiaci.

L’autore ha sottolineato che è importante valutare anche il tempo al trattamento successivo, che è risultato più lungo con ibrutinib più venetoclax rispetto a clorambucile più obinutuzumab. «Con un follow-up mediano di 27,7 mesi», ha riferito Kater, la combinazione ibrutinib più venetoclax ha ridotto dell’86% il rischio di dover ricorrere a una terapia di seconda linea rispetto alla chemioimmunoterapia convezionale.

Profili di sicurezza coerenti con quelli attesi
I profili di sicurezza in entrambi i bracci sono stati quelli previsti, dati i profili di sicurezza ormai ben noti di ibrutinib, venetoclax e clorambucile più obinutuzumab quando utilizzati un una popolazione di pazienti con leucemia linfatica cronica anziani e con comorbilità, ha riferito Kater.

Gli eventi avversi più comuni di grado ≥3 esorditi durante il trattamento sono stati neutropenia/riduzione della conta dei neutrofili (34,9%), diarrea (10,4%) e ipertensione (7,5%) nel braccio trattato con ibrutinib e venetoclax, e neutropenia/riduzione della conta dei neutrofili (49,5%), trombocitopenia (20,0%), polmonite (5,7%) e TLS (5,7%) nel braccio trattato con la chemioimmunoterapia.

Possibile nuovo standard di cura
«Se si prendono questi dati dello studio GLOW insieme con quelli dello studio CAPTIVATE nella popolazione dei pazienti unfit, ora abbiamo esperienza su un ampio spettro più di 400 pazienti affetti da leucemia linfatica cronica trattati in prima linea con ibrutinib più venetoclax» ha detto Kater.

«Questa combinazione potrebbe diventare il nuovo standard di cura», ha detto Elizabeth Macintyre, direttrice del dipartimento di ematologia biologica presso l’Institut Necker Enfants-Malades di Parigi, in conferenza stampa.

Kater ha detto di ritenerlo auspicabile, aggiungendo che per il momento si tratta di un’opzione e una buona opzione di scelta sia per i pazienti fit sia per quelli unfit.

Bibliografia
Kater, et al. Fixed duration ibrutinib and venetoclax (I+V) versus chlorambucil plus obinutuzumab (CLB+O) for first-line (1L) chronic lymphocytic leukemia (CLL): primary analysis of the phase 3 GLOW study. EHA 2021; abstract LB1902. Link

Exit mobile version