Le interstiziopatie sono complicanze polmonari che possono interessare alcuni pazienti con malattie reumatologiche autoimmuni: in Italia luci e ombre
Sono ancora troppe le differenze territoriali nella diagnosi e cura delle interstiziopatie polmonari (Interstitial Lung Disease, ILD) nelle malattie reumatologiche autoimmuni. Sono, infatti, presenti in Italia strutture sanitarie di eccellenza alle quali però si affiancano situazioni di grandi carenze. E’ pertanto necessario prevedere delle nuove modalità di inclusione del territorio.
E’ questo uno dei punti emersi in un incontro multidisciplinare del progetto RETE ILD, organizzato da ISHEO con il contributo incondizionato di Boheringer Ingelheim Italia S.p.A. Il progetto, giunto al secondo incontro nazionale, si intitola “Verso una proposta organizzativa di collaborazione multidisciplinare nella diagnosi e trattamento delle ILD in pazienti con MRA”.
L’evento online ha visto la partecipazione di specialisti reumatologi, pneumologi, radiologi, internisti, e il contributo delle Associazioni ANMAR e GILS, che hanno dato voce e portato il punto di vista dei pazienti.
“Il 50% degli ospedali italiani non ha una reumatologia né una pneumologia – ha affermato il prof. Antonino Mazzone, Direttore del Dipartimento Area Medica, Cronicità e Continuità Assistenziale dell’Asst Ovest Milanese di Legnano -. Identificare i centri HUB sarebbe fondamentale poiché consentirebbe di coinvolgere i centri SPOKE. È infatti necessario prevedere un sistema che permetta di includere nel dialogo i centri periferici per fornire dei riferimenti e adeguata formazione. Raggiungere il vasto territorio non può che prevedere il coinvolgimento dell’internista, figura presente in tutti gli ospedali e che rappresenta spesso il primo interlocutore per questi pazienti”. L’aspetto di inclusione del territorio è stato fortemente sottolineato anche dall’ ANMAR, Associazione Nazionale Malati Reumatici. “Il numero di pazienti reumatologici colpiti da interessamento polmonare non è irrilevante ed esistono delle complessità relative all’aspetto di diagnosi precoce – ha aggiunto Silvia Tonolo, Presidente di ANMAR -. Gli HUB dislocati sul territorio possono rappresentare dei punti di eccellenza e di riferimento che devono coinvolgere, includere e stimolare il territorio poiché è qui che ci sono i pazienti in attesa di diagnosi precoce e che hanno necessità di essere presi in carico al più presto”.
Si delinea una progettualità che parte dalla definizione di criteri di individuazione dei centri che possano rappresentare dei riferimenti sul territorio, per porre in comunicazione i centri, creare delle occasioni di confronto per definire delle metodologie di approccio comuni, modelli realmente applicabili e declinabili a livello nazionale, e uniformare il linguaggio. Gli step successivi del progetto RETE ILD prevedono l’organizzazione di incontri a livello regionale. L’inclusione del territorio avverrà con la divulgazione di un Vademecum che avrà l’obiettivo di stimolare il dibattito rispetto al tema della collaborazione multidisciplinare nell’ambito della diagnosi precoce e appropriatezza terapeutica. “E’ utile definire e prevedere la divulgazione di un documento unico che possa essere declinato a livello locale con delle variazioni, e quindi offerto come supporto ai centri nelle varie realtà locali – afferma il Prof. Gian Domenico Sebastiani, Direttore Unità Operativa Complessa di Reumatologia dell’Azienda Ospedaliera “San Camillo-Forlanini” di Roma -. Le diverse esperienze di successo ad oggi esistenti in Italia possono offrire elementi preziosi che, grazie alla continua collaborazione basata sulla condivisione delle esperienze, possono aiutare a produrre un documento valido. L’identificazione dei centri che fungono da HUB tuttavia deve necessariamente rispettare dei criteri decisi a monte, così come è fondamentale prevedere criteri di selezione degli specialisti che entrano a far parte dei team multidisciplinari”.
Collaborare per costruire un modello di collaborazione comune è dunque la sfida che si pone il progetto RETE ILD. Ad oggi è necessario partire stimolando il dibattito e allineando la comunicazione tra gli specialisti. Adottare un linguaggio comune per favorire il confronto e l’analisi multidisciplinare dei casi è un ulteriore aspetto, emerso come fondamentale per assicurare la migliore diagnosi e successiva assistenza ai pazienti. Affinché ciò accada è necessario avere specialisti adeguatamente formati. “La formazione è uno strumento di sensibilizzazione e di costruzione di team multidisciplinari efficaci, pertanto va implementata a livello capillare – ha affermato il prof. Nicola Sverzellati, Direttore di Unità Operativa di Scienze Radiologiche, Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Parma che continua -. Per quanto riguarda la radiologia toracica, necessaria nell’ambito della valutazione delle complicanze polmonari nelle malattie reumatologiche autoimmuni, molto è stato fatto dal punto di vista formativo ed ha portato ad una maggiore presenza di specialisti in radiologia toracica sul territorio nazionale. Ad oggi c’è ancora bisogno di lavorare sulla formazione, investire su training specifici per gli aspetti di valutazione qualitativa e quantitativa nell’ambito malattie infiltrative diffuse, e per cercare di arginare il fenomeno di variabilità interosservatoria. La radiologia è di supporto alla clinica e reattiva laddove ci sia una esigenza di ottimizzazione di un percorso, ma è necessario che venga interpellata”.
L’implementazione dei modelli di telemedicina, ulteriore aspetto emerso durante il dibattito, è fondamentale poiché questi strumenti consentirebbero di colmare nell’immediato importanti carenze territoriali, che potrebbero essere in futuro sanate attraverso l’implementazione di modelli di gestione e la formazione di figure specializzate che siano presenti in modo capillare sul territorio.
“Una reale necessità è rappresentata dal bisogno di avere specialisti reumatologi, pneumologi e radiologi con una expertise comprovata nell’ambito delle ILD, al fine di formare Team in grado di prendere in carico questi pazienti complessi, assicurando qualità nella diagnosi e nel follow-up” – ha concluso il prof. Carlo Vancheri, Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio dell’Università degli Studi di Catania -. “Si tratta infatti di pazienti e patologie estremamente complesse che richiedono adeguate competenze per una corretta valutazione. Per far ciò è necessario promuovere la formazione. Le modalità telematiche di comunicazione, inoltre, hanno dimostrato di poter trasmettere in maniera idonea immagini e dati clinici per una valutazione adeguata, che ha migliorato l’accuratezza diagnostica in molti casi”.
Il valore di questi strumenti è riconosciuto e supportato anche dagli stessi pazienti, poiché come affermato da Ilaria Galetti, rappresentante GILS “Sarebbe sempre auspicabile la presenza di un team multidisciplinare per la presa in carico dei pazienti affetti da patologie reumatiche autoimmuni poiché coinvolgono diversi organi. Ad oggi c’è una grandissima discrepanza tra centri del nord e del sud e bisogna, quindi, “portare la conoscenza” laddove non è presente. Le piattaforme di condivisione dei dati, ad esempio, rappresentano uno strumento prezioso il cui utilizzo consentirebbe ai pazienti di ricevere una valutazione di livello senza doversi necessariamente spostare, quindi una soluzione economicamente vantaggiosa per il paziente. L’ideale sarebbe sviluppare una piattaforma in cui condividere, in maniera del tutto sicura, i dati sensibili dei pazienti che possa essere utile soprattutto ai centri più piccoli dove c’è maggiore bisogno di un confronto con colleghi esperti”.