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Porfiria epatica acuta: molti non sanno di averla

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Porfiria epatica acuta, parla la dottoressa Paola Manzini: “Troppe persone affette non sanno di esserlo, servono più diagnosi”

Porfirie acute, troppo poche perché sia vero”: è questo il titolo di un webinar che si è svolto a Torino, al quale hanno partecipato i principali specialisti dei centri di riferimento italiani per la patologia. L’evento, sponsorizzato dall’azienda farmaceutica Alnylam, ha messo in luce la possibilità che i pazienti affetti da una forma acuta di porfiria siano molti di più di quelli attualmente diagnosticati. Ne parla il responsabile scientifico del webinar: la dr.ssa Paola Manzini, che dirige il Centro di Coordinamento Regione Piemonte e Valle d’Aosta per le Porfirie, con sede presso l’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino.

Dottoressa Manzini, perché si ritiene che la porfiria epatica acuta sia sottodiagnosticata?

“Lo riteniamo basandoci sulle stime di prevalenza della malattia in Europa, che sono comprese tra 0,7 e 1,5 casi per 100.000 abitanti. Avendo tra Piemonte e Valle d’Aosta una popolazione di 4 milioni e mezzo di abitanti, ci dovremmo attendere da 30 a 70 pazienti con porfiria acuta. Ad oggi, invece, ne abbiamo diagnosticati 17, pertanto ci aspettiamo che nelle nostre due Regioni ci siano dai 15 ai 50 pazienti che non sanno di avere una forma di porfiria acuta”.

Come è possibile individuarla più precocemente?

“Migliorare la diagnosi della patologia è possibile solo aumentando la consapevolezza dei clinici, ai quali questi pazienti possono rivolgersi a causa dei loro sintomi, e rendendo facile per i clinici stessi la prescrizione e l’esecuzione degli esami diagnostici”.

In caso di mancata diagnosi, a quali rischi si espone il paziente?

“Purtroppo le porfirie acute possono essere malattie molto severe, che se non diagnosticate e correttamente trattate possono portare anche al decesso del paziente. Il libro “Paula”, di Isabel Allende, è la storia del rapporto tra l’autrice e sua figlia e degli ultimi mesi di vita di quest’ultima, in coma per un attacco di porfiria acuta. Nella maggioranza dei casi i pazienti passano anni tra accessi in pronto soccorso e visite specialistiche senza trovare risposta alle loro crisi, che possono essere anche molto violente e che compromettono la loro qualità di vita”.

Quali sono i fattori scatenanti delle crisi?

“Possono essere moltissimi: farmaci, alcool, digiuno, diete ipocaloriche, stress. In alcuni casi, poi, i fattori che portano allo scatenamento della crisi non sono riconoscibili”.

Perché è così importante la presenza di un team multidisciplinare? Da quali specialisti dovrebbe essere composto?

“Un approccio multidisciplinare è importante perché i sintomi della porfiria acuta mimano molteplici patologie di competenza plurispecialistica e compromettono organi differenti, rendendo il paziente un soggetto che può essere intercettato da moltissimi specialisti differenti. I clinici che operano nei pronto soccorso, sia medici che chirurghi, possono trovarsi a gestire un paziente con attacco acuto e dolore addominale; così come i gastroenterologi, ai quali si rivolgono i pazienti che hanno dolori addominali ricorrenti, o i ginecologi, i quali vedono giovani donne che collegano al ciclo mestruale la comparsa di dolori addominali severi. I neurologi e gli psichiatri, inoltre, sono spesso coinvolti per i sintomi neurologici e psichiatrici che questi pazienti possono presentare. Ma anche i nefrologi, perché i soggetti che mantengono elevati livelli di precursori delle porfirine nel sangue possono sviluppare nel tempo danni renali”.

Nel corso del webinar si è parlato anche del lavoro svolto dal gruppo multidisciplinare della Città della Salute per la creazione di una flow-chart decisionale e diagnostica pratica per l’uso in Pronto Soccorso. Qual è il suo funzionamento?

“Abbiamo dapprima valutato quali erano gli ostacoli diagnostici in Pronto Soccorso e abbiamo concluso che oltre alla scarsa consapevolezza sulla patologia vi erano delle difficoltà prescrittive e logistiche per l’effettuazione degli esami che servono a porre diagnosi. Oltre a questi problemi, legati alla fase iniziale del processo diagnostico, c’era poi una problematica legata alle tempistiche di esecuzione dei test, che non sono compatibili con le tempistiche ristrette di permanenza dei pazienti in Pronto Soccorso qualora la crisi dolorosa si risolva e non porti al ricovero. Pertanto, il risultato dei test è disponibile solo a paziente già dimesso e la refertazione tramite lettera di dimissioni non è possibile. Abbiamo quindi chiesto aiuto al Servizio di informatica e telematica del nostro ospedale e abbiamo creato un pacchetto di esami facilmente prescrivibile dai clinici. Abbiamo prodotto un kit pre-assemblato con tutto ciò che serve per raccogliere il campione di urine e schermarlo dalla luce; abbiamo poi creato un percorso del campione che segue il percorso standard dei campioni in urgenza. È il laboratorio d’urgenza che stoccherà il campione per l’invio – il giorno successivo – al laboratorio specialistico competente che non lavora in urgenza. Abbiamo infine implementato, associato alla refertazione standard, l’invio di un ‘alert’ al nostro Centro di Coordinamento per le Porfirie da parte del laboratorio competente, in ogni occasione in cui viene evidenziato un risultato patologico dei due test diagnostici. Sarà poi cura del Centro di Coordinamento convocare direttamente il paziente per il proseguimento dell’iter diagnostico e terapeutico. Il progetto partirà in luglio e intendiamo valutarne gli esiti tra circa un anno, per effettuare eventualmente correzioni o modifiche laddove risultasse necessario”.

FONTE: OSSERVATORIO MALATTIE RARE

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