Domenica 19 settembre riapre la caccia. Il WWF protesta: “Per le regioni lo stato di calamità non riguarda mai la fauna”
Domenica 19 settembre apre la caccia in tutta Italia: inutili gli appelli alle regioni del WWF Italia e di tutte le associazioni ambientaliste e animaliste a sospendere l’attività venatoria per la stagione 2021/22 o, almeno, a ridurre tempi e luoghi di caccia in particolare nelle realtà territoriali che sono state pesantemente segnate dagli incendi estivi.
Non è un caso che la Legge nazionale sulla caccia e la tutela della fauna selvatica (Legge 157/1992, art. 19) preveda che le “regioni possono vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia (…) per importanti e motivate ragioni connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre calamità”.
La situazione è paradossale e vergognosa per quelle regioni che hanno invocato l’intervento dello Stato con la dichiarazione di “stato di calamità”, ma si son ben guadate dal bloccare, anche di un solo giorno, la caccia nelle aree devastate dagli incendi. Il numero e l’estensione degli incendi di questi mesi sta tuttora provocando notevolissimi danni, sia diretti che indiretti, alla fauna selvatica e agli habitat naturali, con un numero imprecisabile di animali morti e vastissime aree distrutte dal fuoco. Agli effetti nefasti degli incendi sulla natura si aggiungono quelli altrettanto pesanti causati dalla grave e perdurante siccità e caldo torrido.
“Ricordando la situazione ancora di piena emergenza (…) va sottolineato che la caccia colpirebbe alcune specie migratorie già in grave difficoltà nel reperire il cibo, in particolare dove gli incendi hanno parzialmente o interamente distrutto zone caratterizzate da boschi e macchia mediterranea. Il blocco dell’apertura della caccia appare dunque un provvedimento doveroso, ragionevole e responsabile”. A questo l’appello delle Associazioni i governatori regionali hanno risposto con aperture della caccia già dai primi giorni di settembre (le c.d. preaperture), e persino a specie per le quali Unione Europea e Ministero della Transizione ecologica hanno chiesto la non cacciabilità.
Partendo dall’obbligo di applicare la “Legge quadro sugli incendi” (legge 353/2000, articolo 10) che prevede il divieto assoluto di caccia per un periodo di 10 anni su tutti i terreni boscati percorsi dal fuoco, le regioni avrebbero dovuto adottare provvedimenti per alleggerire la pressione sulla fauna, già provata e stremata, rappresentata dall’attività venatoria. Considerata la difficoltà ad arginare gli incendi che, anche a causa dei cambiamenti climatici, diventano sempre più spesso dei “mega fire”, le regioni dovrebbero intervenire almeno per ridurre la pressione sulla fauna selvatica.
Invece, ancora una volta, gli unici interventi per salvare dalla morte da caccia di migliaia di animali selvatici italiani sono stati quelli delle Associazioni come il WWF e dei loro avvocati in tribunale: tra luglio ed agosto sono stati presentati ricorsi ai tribunali amministrativi regionali di Abruzzo, Calabria, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana e Veneto: escluso il TAR Puglia, dagli altri sette sono arrivati provvedimenti di sospensione delle preaperture e della caccia per alcune specie come la Tortora selvatica, il Moriglione e la Pavoncella perché specie in sofferenza. Chiarissime le parole del Tar dell’Aquila: “nel bilanciamento dei diversi interessi, in relazione alla natura delle censure dedotte sul piano procedimentale (per le evidenti le contradizioni con il convincente parere dell’ISPRA) e sostanziale per la violazione dei principi generali in materia, appare prevalente l’interesse pubblico generale – ma anche dei cacciatori più avveduti – alla conservazione ed al mantenimento della fauna selvatica (…)”.
Decine di migliaia di animali sono stati così salvati dalla carneficina che i cacciatori con la complicità delle regioni avrebbero voluto mettere in atto con le preaperture. Un comportamento che solleva ormai più di un dubbio sulla reale capacità delle giunte regionali di gestire il patrimonio faunistico nazionale quale bene comune di tutti e non passatempo per una sempre più ristretta minoranza armata.
Questi risultati hanno confermato come del tutto validi, applicabili e cogenti i principi generali sulla tutela degli animali selvatici e dei loro habitat stabiliti dalle leggi europee ed italiane che impongono allo Stato e alle regioni di mettere in atto le misure indispensabili per assicurare concretamente la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, come ha più volte ribadito anche la Corte Costituzionale.