Agroalimentare: le indicazioni geografiche trainano il settore. Dop e Igp sono gli elementi di maggior appeal verso i consumatori
L’Italia ha un record: è il Paese d’Europa che ha il più alto numero di prodotti “Ig”, cioè le indicazioni geografiche, e queste, dal 2010 al 2021, sono cresciute da 695 a 876, cioè 181 in più. Nell’intera Unione, le Ig sono 3.358 (+757 dal 2010 al 2021) e fanno registrare un fatturato di 75 miliardi l’anno.
Sono i numeri che emergono dal convegno “Made in Italy agroalimentare e le indicazioni geografiche: le strategie per spingere la crescita” svoltosi nell’ambito di “Cibus”, il 20° salone internazionale dell’alimentazione, a Parma.
I dati sono stati illustrati da Mauro Rosati, direttore della Fondazione Qualivita che ha condotto lo studio con Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare). Nel solo 2020, l’Italia ha visto la registrazione di 14 prodotti, 12 di cibo e due vini, facendo segnare numeri importanti: 180.000 operatori coinvolti e 285 consorzi di tutela riconosciuti. E con un valore di produzione delle Ig che dal 2003 al 2020 è salito da 5 a 17 miliardi di euro. «Il 100% delle province italiane – ha detto Rosati – ha un ritorno economico da Dop e Igp. Non c’è un singolo Comune o azienda che non faccia parte di una filiera che conduca alle Ig».
Tra le Regioni che hanno il maggior impatto delle Dop e Igp sul proprio Pil al primo posto c’è il Veneto con 3,9 miliardi, davanti a Emilia-Romagna (3,5), Lombardia (2,1) e Piemonte (1,3).