Tratto dal romanzo omonimo di Michele D’Ignazio, arriva in data unica al Teatro Trastevere lo spettacolo “Il mio segno particolare”
NOTE DELLA REGISTA E DELL’AUTORE
“Il mio segno particolare” è una favola per i grandi e per i piccoli, che sulla scena si trasforma in un viaggio su e giù per l’Italia e sempre più lontano, oltre i confini dell’oceano. Una storia che è anche un viaggio dentro se stessi, alla riscoperta della malattia e di come viverla attraverso il gioco. Una riflessione sulle imperfezioni (esteriori e interiori) che ci fanno come siamo, pezzi unici.
“Il mio segno particolare” gioca anche con il mondo dei supereroi e dei loro poteri. Alla fine della narrazione, però, ciò che emerge è proprio un elogio dell’arte di raccontare: è il nostro vero superpotere, perché permette di valorizzare ciò che ci capita, ci fa maturare, crea degli incredibili ponti con le storie degli altri. È importante non nascondersi o sentirsi in colpa per le proprie particolarità. Raccontare la propria storia è un modo per fare pace con il proprio passato, con la propria infanzia e di vederne gli aspetti più poetici ed essenziali.
L’arte del raccontare fa uso del linguaggio ed è ugualmente importante prendere coscienza delle parole che utilizziamo. Il linguaggio è qualcosa di potente: modificando in positivo i modi di dire e il loro significato, cambiamo il nostro sguardo sul mondo. E di conseguenza cambiamo noi stessi e il mondo che ci circonda. In francese i nei si chiamano grains de beautés: chicchi di bellezza. In spagnolo invece si chiamano lunares, perché sono satelliti e fanno pensare alla luna piena. E in inglese skin mole, come le montagnole marroni che le talpe creano nel terreno. Ma anche come il molo, quello dei porti con le navi pronte a salpare.
Di questi tempi viene molto utilizzata la parola “resilienza”. È una bella immagine, presa in prestito dalla fisica, di un corpo che sopporta una deformazione, uno stress e poi ritorna allo stato originario, dimostrando elasticità psichica e forza. È però più attinente a questa storia il concetto di “antifragilità”, di cui parla Nassim Taleb. Se la resilienza è la capacità di rimanere se stessi nonostante gli “urti” della vita, l’antifragilità è invece la capacità di diventare una cosa nuova e migliore, proprio grazie all’urto subìto. È abbracciare l’imprevisto, l’incertezza, il cambiamento, assumerne positivamente il rischio. È accettare che la vita è una costante trasformazione.