Eurispes ha avviato una ricerca sul consumo dell’e-cigarette nei Paesi Ue, con particolare riferimento agli aspetti occupazionali della filiera della produzione e della vendita
Proseguendo nel proprio impegno nella lotta alle malattie tabacco-correlate, l’Eurispes da anni sta studiando il ruolo dei nuovi strumenti che superano la combustione, che è la causa principale di tali patologie. Lo strumento che in molti paesi si sta maggiormente imponendo è la sigaretta elettronica.
L’Eurispes ha prodotto diverse ricerche incentrate sulla riduzione del rischio che si realizza nel passaggio dei fumatori adulti “tradizionali” a questi Psc (Prodotti senza combustione), e ha segnalato l’opportunità che, come avviene in diversi paesi a noi vicini, anche in Italia le autorità sanitarie prendano concretamente in considerazione il ruolo potenziale dei Psc in logica di sanità pubblica.
Ciò non sta avvenendo, in linea con la sostanziale chiusura che continua a manifestarsi verso i nuovi strumenti. Si vedano in proposito i lavori preparatori per l’imminente Cop 9 (Conferenza delle Parti) sul tabacco prevista per novembre, che considerano alla stessa stregua e analogamente pericolosi i prodotti del tabacco e i nuovi prodotti.
Molti studi clinici internazionali indipendenti, invece, attestano incontestabilmente il rischio ridotto dei nuovi strumenti in misura superiore al 90%. Per quel che riguarda i dati di mercato, la fascia di consumatori di sigaretta elettronica si va consolidando, proprio grazie ai benefici che molti riscontrano sul proprio stato fisico passando dal tabacco combusto ai nuovi strumenti.
Il mercato dei Psc sta, quindi, crescendo, ma la regolamentazione dei prodotti del tabacco ad essi applicata limita la possibilità di comunicare ai fumatori adulti l’opportunità di passare a consumi a rischio ridotto, o di utilizzare la sigaretta elettronica nella fase di cessazione dall’uso dei tradizionali prodotti del fumo. Inoltre, anche in Italia si stanno applicando forti aumenti delle accise, avvicinandole progressivamente a quelle dei prodotti del tabacco. Tutto ciò limita le prospettive di sviluppo di questo interessante mercato e penalizza un gran numero di piccole e medie imprese che nell’ultimo decennio si sono sviluppate nell’area della sigaretta elettronica.
In questo quadro, l’Eurispes ha avviato la realizzazione di una ricerca sul consumo dell’e-cigarette nei paesi Ue, con particolare riferimento agli aspetti occupazionali della filiera della produzione e della vendita dei liquidi. Anticipando alcuni risultati per quel che riguarda l’Italia, è possibile produrre una fotografia particolarmente interessante.
Sullo sfondo, i “numeri” che si accompagnano al consumo tradizionale di tabacco sono purtroppo stabili. Nel nostro Paese la diminuzione di fumatori riscontrata a cavallo del 2010 si è arrestata, ed oggi in Italia ben 11,5 milioni di cittadini consumano tabacco: il 23% della popolazione adulta. Le morti annue per malattie tabacco-correlate sono valutate tra le 80.000 e le 90.000. I costi sanitari sostenuti per assistere i cittadini malati assommano a circa 9 miliardi annui.
Gli utilizzatori di sigaretta elettronica sono in crescita, nel 2020 si sono attestati a circa 1.300.000, ovvero all’11,3% della popolazione di fumatori tradizionali. Anche per il 2021 il dato appare in crescita, collocando l’Italia in una posizione intermedia rispetto ad altri paesi europei. Si consideri che in Francia il rapporto è intorno al 30%, mentre in Gran Bretagna e in Irlanda sfiora il 50%.
Il valore del mercato italiano dell’e-cigarette ha superato nel 2020 i 480 milioni di euro: cifra di per sé già rilevante, ma con forti prospettive di crescita considerando che nella vicina Francia supera i 950 milioni.
L’Eurispes ha calcolato che la filiera dell’e-cigarette in Italia impiega direttamente circa 13.700 unità di lavoro tra produzione di liquidi, loro distribuzione e vendita al dettaglio. A questi vanno aggiunti i numeri dell’indotto che si collega al crescente volume d’affari del settore. Molti gli occupati nel retail: nel Paese esistono, infatti, 2.200 negozi specializzati nella vendita esclusiva dei prodotti della sigaretta elettronica, che inoltre sono acquistabili in buona parte delle 54.000 tradizionali rivendite di tabacco e in molte farmacie. Numerosi occupati sono impegnati nelle aziende di produzione, in quelle dell’import-export dei liquidi e nella gestione dei portali e dei siti di vendita on line.
Le imprese che costituiscono la filiera di produzione sono quasi un centinaio, nella maggior parte dei casi si tratta di piccole e medie imprese nate ad hoc, o che già operavano nella preesistente filiera alimentare e che si sono specializzate nella produzione di liquidi a base di prodotti naturali, incontrando spesso successo anche all’estero.
In un’ottica di riduzione del rischio, la discesa del consumo del tabacco tradizionale legata alla crescita dell’utilizzo dei nuovi strumenti appare una delle poche prospettive concretamente attuabili.
Puntare esclusivamente alla “cessazione”, fornendo per altro come unico strumento a supporto l’accesso a centri antifumo poco performanti, e negare il potenziale valore di altri strumenti quanto meno “a rischio ridotto” come i Psc, sono politiche e indirizzi che, ad oggi, non hanno prodotto i risultati sperati. Meno di 10.000 accessi annui ai centri antifumo di fronte a 11,5 milioni di fumatori, rappresentano poche gocce in un mare di consumatori che – come registrato nelle indagini campionarie dell’Eurispes – per il 78,7% negano la possibilità di qualsiasi percorso di cessazione. Nello specifico, il 30,5% dei fumatori afferma che dovrebbe smettere, ma non vuole farlo; il 26,3% che dovrebbe, ma ritiene di non riuscirvi; il 21,9% che non ha alcuna intenzione di smettere di fumare sigarette.
Infine, è sintomatico che il 74,1% dei fumatori sostiene che, se fosse scientificamente provata l’esistenza di prodotti meno dannosi per la salute rispetto a quello tradizionali, vorrebbe essere informato. Un dato su cui sarebbe opportuno riflettere.