La produzione nazionale di mele arriva a 23 milioni di quintali l’anno e la metà viene esportata all’estero, soprattutto Germania, Egitto e Oriente
Quinto incontro del ciclo 2021 de “I Mercoledì dell’Archiginnasio. L’Odissea del cibo dal campo alla tavola” dedicato alla mela. I relatori dell’incontro sono stati il Dott. Roberto Piazza, Accademico Ordinario Accademia Nazionale di Agricoltura, la Prof.ssa Silvana Hrelia, Ordinario di Biochimica Università di Bologna, il Dott. Giorgio Palmeri, Delegato Bologna dei Bentivoglio Accademia Italiana della Cucina. Il ciclo di conferenze “I Mercoledì dell’Archiginnasio. L’Odissea del cibo dal campo alla tavola”, che si tengono una volta al mese da aprile a novembre al link https://meet.jit.si/MERCOLEDIARCHIGINNASIO vede Accademia Nazionale di Agricoltura, Delegazioni bolognesi dell’Accademia Italiana della Cucina e Società Medica Chirurgica di Bologna insieme per divulgare la buona comunicazione in campo alimentare favorendo la conoscenza al pubblico delle fasi di produzione, qualità salutistiche e storia in cucina delle eccellenze agroalimentari italiane. Di seguito quanto emerso durante l’incontro.
La produzione nazionale è di 20/23 milioni di quintali esportata in tutto il mondo
“L’Italia è leader mondiale nella produzione di mele. Le regioni settentrionali, in particolare quelle dell’arco Alpino, che producono il 70 % delle mele nazionali. In Piemonte le province di Cuneo e Torino con 80/90.000 ton. l’anno, in Lombardia la Valtellina con 40/50.000 ton, in Trentino la zona principale è la “Val di Non” con 450/500.000 ton e in Alto Adige la Val Venosta dove si producono 800/900.000 ton di mele. Seguono poi il Veneto e l’Emilia-Romagna, dove la produzione di “Fuji” è di ottima qualità e sull’Appennino si ritorna a coltivare la storica “Rosa Romana”. Accanto alle varietà tradizionali – ha esordito il Dott. Roberto Piazza – i genetisti sono sempre alla ricerca di nuove varietà, per accontentare i diversi gusti dei consumatori e offrire agli agricoltori varietà sempre più resistenti alle malattie, diminuendo significativamente il numero dei trattamenti con gli agrofarmaci. Quasi la metà delle mele che produciamo in Italia, 20/23 milioni di quintali l’anno, è esportata in Europa, con a capo la Germania, in Egitto e Oriente. Nell’ultimo ventennio tutti i produttori italiano di mele hanno assimilato i concetti di salubrità, basso impatto ambientale, lotta biologica e lotta integrata, e sono al primo posto in Europa e nel mondo”.
Povera di calorie, fonte di vitamine e dal ruolo chemio protettivo
“Numerosi sono i potenziali effetti benefici per la salute delle mele. Il consumo regolare di questo frutto come parte di una dieta equilibrata concorre sicuramente alla prevenzione delle patologie cronico-degenerative e alla protezione della salute. La mela – ha proseguito la Prof.ssa Silvana Hrelia – è povera di calorie, ed è composta principalmente da carboidrati e acqua. Anche se il frutto è ricco di zuccheri semplici (come il fruttosio, il saccarosio, e il glucosio) presenta un indice glicemico basso e questo è sicuramente dovuto al buon contenuto di fibre. E’ anche una buona fonte di vitamine e sali minerali. Ma il vero patrimonio salutistico delle mele risiede nella loro particolare ricchezza di componenti “nutraceutici”. La mela contiene un’ampia varietà di componenti nutraceutici, tra cui l’acido idrossicinnamico, la floretina, le antocianine e soprattutto la quercetina. Quest’ultima molecola, presenta un’elevatissima attività antiossidante ed è stata ampiamente studiata per quanto riguarda il suo ruolo chemiopreventivo, vale a dire la sua capacità di inibire l’insorgenza o ritardare la progressione di un tumore, cardioprotettivo e neuroprotettivo. Sono molti i fattori che possono influenzare il contenuto in nutraceutici delle mele, tra cui il grado di maturazione, lo stoccaggio e il cultivar. I cultivar antichi possiedono attività antiossidante superiore ai cultivar moderni, per cui la riscoperta e valorizzazione dei vecchi cultivar risponde pienamente alle richieste di salute da parte dei consumatori”.
La mela e i dolci, un connubio perfetto
“In cucina la diffusione della mela in epoca antica non ha avuto un particolare rilievo e solo dall’epoca rinascimentale e dall’età barocca l’utilizzo di talune specie di mele hanno trovato ampia diffusione. Fu con l’avvento della cucina borghese alla fine dell’800 – ha concluso il Dott. Giorgio Palmeri, e quindi con una caratterizzazione delle preparazioni del territorio, che si ampliò la gamma delle proposte utilizzando le consuetudini che le cucine regionali offrivano, laddove la coltura della mela era più sviluppata. A partire da Pellegrino Artusi, con la sua opera “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, iniziarono proposte sull’utilizzo delle mele in cucina come le “mele all’inglese”, le “frittelle di mela” e le “mele in gelatina”, tutte composizioni destinate ai desserts. L’affermazione di una cucina più legata al territorio ha quindi consentito, anche attraverso l’estro di molti cuochi e sulla scia delle tradizioni regionali, di affrontare proposte innovative in cucina con l’utilizzo delle mele, nelle proprie specie più diffuse. Anche fra i primi piatti non mancano i “risotti con mele renette”, il “risotto alla mela verde con zenzero o buccia di limone, i “knodel con le mele” a base di mele, uova, farina, burro, zucchero e pangrattato, la “polenta con le mele” con l’utilizzo di mele valdostane cotte in acqua, vino, zucchero, cannella e chiodi di garofano, le “pappardelle con le mele limoncelle” cucinate con olio, aglio, guanciale e amido di riso. Più variegate rimangono però le proposte sui dolci come “lo strudel”, “la sfogliata di mele”, frittelle, torte, crostate, conserve e gelatine, molto comuni a varie regioni italiane”.