Il dolore cronico causa problemi fisici, mentali e socio relazionali ma anche economici: nasce il Manifesto per la gestione della patologia
Il dolore cronico causa problemi fisici, mentali e socio relazionali ma anche economici, con spese annue che in Italia superano i 4 mila euro a paziente. Il 21% delle persone affette non sa a chi rivolgersi e il 33%, prima di giungere a un centro specializzato si sottopone a terapie inadeguate consultando inutilmente dai tre ai sette specialisti. A tal fine è stato presentato il “Manifesto sul dolore. Le proposte per una migliore gestione dei pazienti con dolore cronico”, in occasione del tavolo tecnico regionale Lazio, organizzato da Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, con lo scopo di promuovere azioni efficaci per migliorare i percorsi di assistenza e cura.
Il dolore cronico è stato riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come uno dei maggiori problemi mondiali di salute pubblica in generale, in quanto interessa tutte le fasce di età con una maggiore prevalenza nelle donne. In Italia colpisce una persona su 5, il 21,7 per cento della popolazione, e una persona su 4 ne soffre in media per 7 anni. La malattia ha conseguenze invalidanti dal punto di vista fisico, psichico e socio relazionale. Il 90 per cento dei casi è trattabile e curabile, eppure ancora oggi ben il 40 per cento delle persone con dolore cronico non è a conoscenza delle cure disponibili. Trascorrono, inoltre, circa due anni tra l’esordio e il primo accesso medico e i tempi per ricevere una diagnosi corretta sono superiori ai cinque anni.
Con lo scopo di migliorare i percorsi diagnostico-terapeutici dedicati al dolore cronico è stato presentato oggi il “Manifesto sul dolore. Le proposte per una migliore gestione dei pazienti con dolore cronico”, in occasione del tavolo tecnico della regione Lazio organizzato da Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, e realizzato con il contributo incondizionato di Sandoz. Il documento è promosso da AISD – Associazione Italiana Per lo Studio del Dolore, Cittadinanzattiva, Federdolore – Società Italiana dei Clinici del Dolore, Fondazione ISAL, Fondazione Onda, SIAARTI – Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva e SIMG – Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie.
“Manca a tutt’oggi una cultura condivisa sul dolore cronico e questo rappresenta il principale ostacolo nell’accesso tempestivo ai percorsi di diagnosi e cura”, commenta Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda. “Occasioni di confronto tra Istituzioni, comunità scientifica e società civile, come l’incontro odierno, rappresentano opportunità preziose e concrete per dare un impulso positivo nella costruzione di questa cultura e nel delineare le possibili strategie per rafforzare la rete territoriale di terapia del dolore. L’avvento della pandemia ha reso ancora più difficile la battaglia contro il dolore cronico per l’impatto sulla continuità delle cure nei pazienti diagnosticati e per le nuove diagnosi mancate. A ciò si aggiunge il dolore cronico sviluppato come sequela dell’infezione da Covid-19”.
Nonostante siano passati più di 10 anni dall’approvazione della Legge 38 che ha riconosciuto il dolore cronico come una patologia che necessita di una propria specifica rete di assistenza e cura a cui i cittadini hanno diritto di poter accedere, l’assistenza per le persone con dolore cronico risulta essere approssimativa e insoddisfacente: il 21 per cento delle persone affette non sa a chi rivolgersi e il 33 per cento, prima di giungere a un centro specializzato si sottopone a terapie inadeguate consultando inutilmente dai tre ai sette specialisti, con perdita di tempo e risorse. In media i costi sociali ed economici pro-capite superano i 4 mila euro annui, che pesano sul Servizio Sanitario Nazionale con circa 1.400 euro l’anno e più di 3 mila euro direttamente sulle persone, legati in particolare alla perdita di produttività e di ore lavorative.
“È difficile comprendere a fondo cosa voglia dire «dolore cronico»”, afferma Silvia Natoli, Professore associato in anestesia e rianimazione, Università Tor Vergata, Roma. “Non si tratta solo di dolore che duri più di un certo lasso di tempo – per convenzione, 12 settimane – né è il sintomo di una malattia incurabile. Il dolore cronico, ricorrente o persistente, è una condizione che genera un’alterazione dello stato di salute, tenuto conto della definizione di salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità quale ‘Stato di completo benessere psichico, fisico e sociale dell’uomo dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale e non la sola assenza di malattia’.
Nonostante diverse azioni siano state intraprese dalle istituzioni affinché i soggetti affetti da dolore cronico siano curati in modo coordinato, continuativo e specialistico, come si addice ad ogni patologia cronica, la disciplina ‘terapia del dolore’ stenta ad essere compresa e riconosciuta a diversi livelli: dai pazienti, da molti colleghi medici e dalle istituzioni stesse. La ‘medicina del dolore’ è una disciplina che integra percorsi di diagnosi, di riabilitazione, di gestione personalizzata di terapie mediche e chirurgiche più o meno invasive. Essa, pertanto, ha bisogno di una rete che sia coordinata, promossa, indirizzata e monitorata per esprimerne al massimo le sue potenzialità”.
Il “Manifesto sul dolore. Le proposte per una migliore gestione dei pazienti con dolore cronico” vuole promuovere azioni efficaci per migliorare la raccolta dei dati relativi al paziente con dolore cronico, rafforzare il network tra i clinici, definendo a livello nazionale percorsi di cura, assicurare un programma di formazione continua e aggiornata del personale medico e promuovere una “cultura” del dolore cronico, attraverso una corretta informazione sulla malattia e sulle effettive possibilità di curarla.
“Ci tenevo a portare un mio saluto ed un contributo a questa importante iniziativa promossa dalla Fondazione Onda sul tema del dolore cronico”, dice Alessio D’Amato, Assessore Sanità e integrazione Socio-Sanitaria, Regione Lazio. “Vorrei porre l’attenzione al tema dell’informazione. Ancora oggi purtroppo in molti non sanno della Legge 38 e delle sue peculiarità. Si sta facendo molto in merito ai network clinici ad esempio, ma molto ancora si può e si deve fare. Penso innanzitutto alla salute delle donne ed in particolare la prevenzione del tumore al seno. Avere una buona collaborazione con voi e con tutto il mondo dell’associazionismo lo ritengo fondamentale per avere un Servizio sanitario sempre più vicino ai bisogni delle persone e con una migliore qualità delle cure offerte. Per questo vi ringrazio del lavoro che state facendo e che sarà un valido contributo per le politiche sanitarie regionali”.
“Purtroppo, il dolore, nelle sue varie forme, tocca molte patologie ed è per questo che l’impegno per l’attuazione della Legge 38 deve riguardare una ampia platea di associazioni di pazienti, da quelle che si occupano di malattie reumatiche a quelle oncologiche, dalle cefalee alle patologie neurodegenerative o le complicanze del diabete”, conclude Teresa Pet rangolini, Patient Advocacy Facilitator, Regione Lazio. “Inoltre, l’incidenza del dolore sulle donne amplia ancora di più l’attenzione sulla medicina di genere. La lotta al dolore non è una questione di nicchia ma un impegno corale per avere percorsi chiari, servizi accessibili, ascolto e informazioni diffuse e capillari per facilitare l’accesso alle cure. La Regione Lazio ha promosso la Sanità Partecipata proprio per dare spazio alla collaborazione tra istituzioni e associazioni dei pazienti, Il tema del dolore e della sua gestione deve stare dentro questa strategia partecipativa che punta a rendere concreta la centralità dei diritti, primo fra tutti quello a non soffrire”.