Spesso la neuropatia da porfiria viene confusa con disturbi da somatizzazione, AIDP e avvelenamento da piombo: importante la diagnosi differenziale
La diagnosi di porfiria epatica acuta è complessa a causa della sua presentazione clinica variabile e per la somiglianza con altre condizioni che neurologi e medici del pronto soccorso incontrano più frequentemente. Si osservano diversi modelli di neuropatia porfirica: il quadro clinico dipende infatti dal decorso della malattia al momento della presentazione, che può essere caratterizzato da attacchi singoli o ricorrenti.
La diagnosi differenziale diventa quindi fondamentale, come sottolineano tre esperti statunitensi in uno studio pubblicato sulla rivista Current Neurology and Neuroscience Reports. I neurologi, in particolare, dovrebbero essere a conoscenza dei diversi modelli di neuropatia da porfiria epatica acuta e della loro gestione aggiornata poiché, se non viene trattata, comporta una disabilità neurologica il cui onere aumenta ad ogni attacco.
La prima condizione da considerare nella diagnosi differenziale è la poliradicoloneuropatia demielinizzante infiammatoria acuta (AIDP), una neuropatia infiammatoria che fa parte dello spettro clinico della sindrome di Guillain-Barré. Attenzione anche a non confondere la neuropatia porfirica con i disturbi da somatizzazione, costituiti da sintomi che non hanno cause di tipo organico e che sono associati a un disagio psicologico e sociale, ma che sono comunque tali da indurre il paziente ad assumere farmaci, a consultare medici e ad alterare il proprio stile di vita.
Storicamente, nella diagnosi differenziale della neuropatia da porfiria epatica acuta è stato importante includere anche la neuropatia da piombo. Oggi l’avvelenamento da piombo (noto come saturnismo) è raro; tuttavia, dovrebbe essere considerato nelle comunità economicamente svantaggiate e, in particolare, nei bambini con carenza di calcio o anemia falciforme. Un pattern biochimico costituito da acido delta-aminolevulinico (ALA) urinario elevato con livelli normali di porfobilinogeno (PBG), infine, si osserva non solo nei pazienti con la rarissima porfiria da deficit di ALA deidratasi (ADP) – meno di 12 casi riportati – ma anche in quelli affetti da un’altra malattia metabolica ereditaria, la tirosinemia ereditaria di tipo 1.
“Analogamente alla maggior parte delle assonopatie indotte da tossine e farmaci, gli esiti a lungo termine della neuropatia porfirica dipendono in modo cruciale dalla diagnosi precoce, dall’intervento tempestivo e dall’evitamento dei fattori scatenanti”, spiegano gli autori dello studio. “Rimangono grandi lacune nella nostra conoscenza della fisiopatologia di questa condizione, ma la maggior parte delle prove sono a sostegno del fatto che la neurotossicità sia indotta dall’acido delta-aminolevulinico (ALA), piuttosto che dal porfobilinogeno (PBG)”.
Rimangono sconosciute anche le ragioni per cui i pazienti con porfiria epatica acuta presentino prevalentemente manifestazioni disautonomiche, sia acute che croniche. “Suggeriamo che il sistema nervoso autonomo sia interessato principalmente nelle regioni in cui la barriera ematoliquorale è meno selettiva, cioè nei gangli autonomi e nel plesso mioenterico. Anche la patogenesi del dolore cronico che si verifica tra gli attacchi è ancora poco chiara, e il potenziale ruolo fisiopatologico della neuropatia delle piccole fibre necessita di ulteriori studi”, sottolineano gli esperti statunitensi.
Fino a poco tempo fa, le opzioni di trattamento per questa patologia includevano solo misure di supporto e infusioni di emina per via endovenosa. Un significativo progresso è rappresentato oggi dall’introduzione di una nuova terapia profilattica, basata sull’approccio di RNA interference (RNAi), indicata per i pazienti con attacchi neuroviscerali ricorrenti: questo farmaco, chiamato givosiran, è stato approvato in Europa nell’aprile 2020 ed è divenuto rimborsabile in Italia dall’aprile scorso. “Gli effetti a lungo termine di givosiran sul recupero motorio, sul dolore cronico e sulle manifestazioni disautonomiche devono ancora essere determinati”, concludono gli autori dello studio, che ne evidenziano però i prolungati benefici clinici e biochimici con il dosaggio mensile: givosiran è infatti in grado di ridurre la frequenza degli attacchi di malattia e la necessità di infusioni di eme, oltre ad essere caratterizzato dalla facilità d’uso e dall’assenza di effetti collaterali correlati all’accesso endovenoso.