La calotta glaciale della Groenlandia studiata in un modo completamente nuovo: alla ricerca ha preso parte l’Università Bicocca di Milano
Studiare le polveri minerali delle regioni artiche, sollevate e trasportate dal vento negli ultimi 120.000 anni, per capire i cambiamenti climatici. E in particolare per avere un’idea di come la calotta glaciale ha reagito ai bruschi cambiamenti di temperatura. È questa l’idea innovativa alla base di uno studio realizzato da un team internazionale di ricercatori tra i quali Barbara Delmonte e Giovanni Baccolo del laboratorio Eurocold del dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’Università di Milano-Bicocca.
Una carota di ghiaccio di 584 metri
Si tratta di un approccio completamente nuovo per studiare le variazioni del margine orientale della calotta di ghiaccio della Groenlandia negli ultimi 120.000 anni. Come hanno fatto a studiare le polveri? Analizzando una carota di ghiaccio di 584 metri di profondità prelevata presso il sito di Renland, nella regione di Scoresby Sund: una zona periferica rispetto alla calotta e quindi molto sensibile alle oscillazioni del margine glaciale. Ebbene, studiando le polveri stratificate, è stato possibile distinguere in modo inequivocabile i periodi in cui la calotta copriva queste aree marginali dai periodi in cui le aree proglaciali erano libere da ghiaccio e sottoposte all’azione dei venti.
La ricerca, intitolata “Ice core dustparticle sizes reveal past ice sheet extent in East Greenland“, è stata pubblicata il 3 ottobre su ‘Nature Communications’. Non è la prima volta che gli studiosi si concentrano sul comportamento e sull’estensione delle calotte glaciali polari nel passato per capire i modelli climatici, ma finora questo tipo di ricostruzione si basava su diversi parametri, come l’età di esposizione delle rocce nelle aree deglaciate circostanti i ghiacciai oppure la datazione di reperti organici. Stavolta, invece, i ricercatori hanno deciso di ‘interrogare’ le polveri minerali provenienti dalle regioni proglaciali, sollevate e trasportate dal vento negli ultimi 120.000 anni.
Grazie alla precisa datazione della carota di ghiaccio, è stato possibile affermare che il margine orientale della calotta era in fase di avanzata tra 113400±400 e 111000±400 anni dal presente, ovvero durante l’inizio dell’ultima era glaciale. Al contrario, era in fase di progressivo ritiro tra 12100±100 e 9000±100 anni dal presente, ovvero durante la prima parte dell’interglaciale in cui viviamo, l’Olocene.
Non sono state però rilevate evidenze significative di cambiamenti al margine della calotta durante l’ultimo periodo glaciale e specialmente in corrispondenza degli eventi di “Dansgaard-Oeschger”, caratterizzati da un riscaldamento climatico repentino seguito da un più graduale ritorno a condizioni glaciali.
Perchè analizzare il ghiaccio della Groenlandia
La calotta glaciale della Groenlandia è oggi particolarmente sensibile alle variazioni climatiche in atto. Tuttavia la ricostruzione dei limiti della calotta in epoche antecedenti l’ultima glaciazione avvenuta 18.000 anni fa (il periodo chiamato dagli studiosi l’Ultimo massimo glaciale, durante il quale si ebbe la massima espansione dei ghiacci) è molto difficile a causa della rimozione e del rimaneggiamento dei materiali ad opera dei ghiacciai in avanzata durante i periodi freddi. Ciò inevitabilmente impedisce di ricostruire il comportamento della calotta prima dell’ultima grande avanzata glaciale e durante le variazioni climatiche repentine verificatesi più di una ventina di volte nell’ultimo periodo glaciale, tra circa 116.000 e 18.000 anni dal presente.
Le polveri minerali
Non bisogna poi dimenticare, spiega la Dire (www.dire.it), che la polvere minerale depositata sulla calotta glaciale rappresenta uno dei fattori che contribuisce all’annerimento della neve superficiale (riduzione dell’albedo) con conseguente fusione del ghiaccio e perdita di massa. L’importanza di questo studio è quindi duplice: da un lato ha permesso di stimare i tempi di risposta della calotta nei confronti delle variazioni climatiche naturali avvenute nel passato, dall’altro ha fornito elementi che permetteranno in futuro di quantificare il contributo delle polveri minerali nei processi di “feedback” (retroazione) tipici del sistema climatico.