ISA-AII (Italian Stroke Association) lancia la prima campagna nazionale sul post evento rivolta alle oltre 150mila persone colpite ogni anno da ictus
Oltre 150mila persone colpite ogni anno e 913.000 che vivono dopo un ictus: sono i due principali numeri che descrivono questa patologia cerebrovascolare in Italia. Rappresenta la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e il cancro, ma è in assoluto la prima causa di disabilità e per molti pazienti la riabilitazione diventa difficile, se non impossibile, in gran parte per la mancata informazione sulle possibilità di recupero offerte dalle cure disponibili. Da qui la decisione di promuovere Strike on Stroke, la prima campagna di sensibilizzazione di ISA-AII (Italian Stroke Association-Associazione Italiana Ictus), la società scientifica multidisciplinare che riunisce gli specialisti che si occupano della patologia cerebrovascolare. L’obiettivo è aumentare il livello di consapevolezza di pazienti, caregiver e medici specialisti sul post ictus e sulle possibilità di ripresa.
La campagna si articola in diverse attività. In primo luogo, due survey: una rivolta ai neurologi, per capire come gli specialisti affrontano il post ictus, il percorso offerto ai malati, il loro livello di consapevolezza e quali terapie vengono proposte. Un’altra invece sarà indirizzata ai pazienti e cercherà di comprendere quali difficoltà incontrano nel loro percorso, le paure, le angosce, i dubbi. Accanto a queste si svilupperà una forte campagna social anche attraverso uno spot, accompagnato da talk show online.
“Quello del post ictus è un tema trascurato, tanto nella pratica clinica che nella comunicazione – afferma il professor Mauro Silvestrini, presidente di ISA-AII (Italian Stroke Association-Associazione Italiana Ictus) –, entrambe centrate sui trattamenti fisioterapici e del dolore. Tuttavia, la spasticità è presente in circa il 19% dei casi 3 mesi dopo l’attacco e dal 17% al 38% ad un anno dall’evento acuto[1], ma solo pochi pazienti hanno accesso a trattamenti specifici. Si apre dunque un’ampia area di intervento su riabilitazione e qualità di vita, anche in relazione all’efficacia dei miorilassanti ad azione periferica e della tossina botulinica, considerata quella più efficace per la spasticità di tipo focale. È necessario dunque sviluppare percorsi di sensibilizzazione per i medici perché possano informare circa le nuove opportunità offerte dalla ricerca – continua Silvestrini –. A loro volta ai malati devono essere forniti tutti gli strumenti per poter chiedere indicazioni e rassicurazioni al personale medico-sanitario.”
“Quello della riabilitazione è uno dei problemi più rilevanti – sottolinea Nicoletta Reale, past president di A.L.I.Ce. Italia ODV (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) –. È complesso e difficile, perché il paziente e soprattutto i famigliari e i caregiver cercano percorsi clinici che possano favorire una ripresa che, se ben pilotata, può dare risultati importanti. Troppo spesso, però, non si trovano percorsi codificati e presenti in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale, con migliaia di malati abbandonati quasi a loro stessi.”
“Il post ictus è una fase estremamente delicata – aggiunge il professor Danilo Toni, past president di ISA-AII – ma che risulta ancora oggi trascurata. Merita invece una seria attenzione perché le possibilità di ripresa sono evidenti e non trascurabili. I pazienti che vivono dopo un ictus presentano esiti più o meno invalidanti del danno cerebrale. Per molti di loro ricevere una corretta informazione in fase riabilitativa può cambiare la situazione clinica. Esistono ancora troppe disomogeneità territoriali nella distribuzione delle unità neurovascolari (stroke unit) che prendono in carica il paziente – aggiunge Toni –. Bisogna invertire questa tendenza senza dimenticarsi, però, di affrontare il tema della prevenzione primaria, che rimane uno dei capisaldi per ridurre il carico di malattia nel nostro Paese. I numeri di casi e la mortalità per fortuna stanno calando in Italia, grazie al maggiore controllo dei fattori di rischio che riusciamo a garantire tra la popolazione over 60. Sono risultati importanti e incoraggianti. Tuttavia, per migliorare ulteriormente l’assistenza ai pazienti si rende necessaria anche una maggiore informazione tra tutti gli attori coinvolti”.