Al Congresso europeo di cardiologia focus sull”infezione da SARS-CoV-2 e il Long Covid nei loro noti e potenziali rapporti dannosi per il cuore
L’infezione da SARS-CoV-2 e il Long-COVID, nei loro noti e potenziali rapporti dannosi per il cuore, sono stati oggetto di una sessione del Congresso europeo di cardiologia (ESC 2021). Tra i relatori, Aldo Pietro Maggioni, direttore Centro Studi ANMCO di Firenze, ha offerto un quadro dello stato delle conoscenze su queste problematiche cliniche, sempre più rilevanti per il loro impatto epidemiologico.
Infiammazione e trombosi
«I meccanismi noti (o perlomeno descritti in ormai 18 mesi di pandemia) con i quali il COVID-19 può danneggiare il cuore sono almeno due» ha spiegato Maggioni. «Uno è l’infiammazione. Questa cioè può localizzarsi in qualche caso – non molto frequente – anche a livello miocardico e dare luogo a miocardite e quindi a un danno d’organo miocardico».
«L’altro meccanismo» ha proseguito «si fonda su fenomeni trombotici che sono molto evidenti nei casi di infezione polmonare dove si rilevano micro- e macro-trombosi a livello dei vasi polmonari. Questo può accadere anche a livello di vasi più rilevanti e dare luogo a forme ischemiche. Sono questi, quindi, i due meccanismi noti di eventuale compromissione cardiaca da COVID-19».
«In ogni caso» ha precisato Maggioni «la compromissione cardiaca ‘primitiva’ di soggetti che non hanno nulla dal punto di vista cardiologico non è così frequente non è cere non è certamente uno dei motivi principali dell’aggravarsi del paziente».
«La compromissione cardiaca in primis non è la causa più rilevante di ricovero» ha ribadito Maggioni. «Di gran lunga più rilevanti sono i problemi polmonari con difficoltà respiratoria e i problemi neurologici. Questi ultimi sono molto frequenti e includono disturbi come depressione, stanchezza persistente molto a lungo, in qualche caso cefalea anch’essa molto persistente».
La sindrome del Long-COVID. Possibili rischi cardiovascolari?
Gli studi sul Long-COVID si stanno abbastanza accumulando nel tempo, ha detto Maggioni. «Ormai le descrizioni di pazienti post-Covid con presenza di sintomi e necessità di andare in Pronto Soccorso e le segnalazioni di opportunità dell’assistito di essere trattenuto in ospedale sono molte e vengono da diversi Paesi del mondo».
In ogni caso, puntualizza il cardiologo, nel Long-COVID ci sono eventi anche di tipo cardiologico ma non diversi se si prende una popolazione di controllo e della stessa età e con lo stesso tipo di comorbilità.
I ricoveri post-Covid e i predittori di riospedalizzazione
«Il fenomeno della riospedalizzazione sorge in un soggetto che è stato dimesso dopo COVID ed è un fenomeno che è descritto in diverse parti del mondo» ha proseguito Maggioni. «Abbiamo due studi italiani pubblicati che per numerosità di pazienti non sono particolarmente ampi ma sono comunque sono significativi».
In alcune centinaia i pazienti, ha riportato, la probabilità di essere riammessi entro 60 giorni dalla dimissione si aggira attorno al 5% con la necessità di andare in Pronto Soccorso attorno al 10-15%. Nella gran parte dei casi i pazienti vengono dimessi, nel 5% circa i pazienti vengono ricoverati e le cause principali di ricovero sono di nuovo il tipo prevalentemente respiratorio.
«C’è uno studio più accurato fatto su 300 mila pazienti negli Stati Uniti in cui la percentuale di ricoveri entro 60 giorni dalla dimissione è un po’ più alta, attorno all’11%. ma anche all’interno di questo studio più ampio le cause principali sono generalmente di natura respiratoria» ha aggiunto Maggioni.
Sono state fatte anche alcune valutazioni su quali siano i predittore di nuovo ricovero ancora e questi fattori predittivi sono risultati l’età avanzata, la presenza di comorbilità, la presenza di deficit cognitivo (da considerarsi probabilmente sintomo proxy, cioè di accompagnamento, in una situazione di maggiore fragilità) e ancora la presenza di elevati marker infiammatori nonostante la situazione clinica sia stabile tanto da essere stati dimessi.
La gestione dei pazienti riammessi
«Data la natura molto diversa della sintomatologia e dei segni e sintomi che portano un nuovo ricovero – anche la sede di ricovero può essere diversa (ambiente infettivologico/pneumologico/neurologico) quello che sembra importante nella scelta è un approccio multidisciplinare» ha affermato Maggioni.
«Anche andando a guardare con attenzione alla letteratura che ha a che fare con il Long-COVID» ha concluso «e data proprio l’eterogeneità dei sintomi e delle modalità di presentazione, non esistono ancora linee guida chiare di trattamento perché non si tratta di una condizione fisiopatologica unica ma si tratta di una grande varietà di segni e sintomi. Quindi i pazienti si devono gestire appropriatamente in reparti specifici».
Maggioni AP. Post-COVID-19 hospital admissions in Italy: the size of the problem. ESC2021