Malattie da accumulo lisosomiale: cresce la fiducia nello screening neonatale secondo una ricerca effettuata dalla Emory University
L’attuale tecnologia di screening neonatale è in grado di individuare le malattie da accumulo lisosomiale, ma non di distinguere un individuo con malattia a esordio precoce da un altro che invece svilupperà la patologia più tardi nel corso della vita: solo un attento follow-up potrà stabilire l’andamento della condizione. Ciò ha fatto nascere delle controversie di natura etica sull’identificazione alla nascita delle condizioni genetiche a esordio tardivo, anche perché non c’è ancora un consenso, da parte degli esperti, sull’opportunità di trattare preventivamente i pazienti con questa diagnosi. Come dimostra un articolo del 2011 di Osservatorio Malattie Rare, già dieci anni fa si discuteva di questo problema.
Le malattie da accumulo lisosomiale sono un gruppo molto eterogeneo di condizioni che causano l’accumulo di substrati nei lisosomi cellulari, processo che poi porta a un progressivo danno d’organo. Negli ultimi anni, grazie ai progressi tecnologici e alla disponibilità di nuovi trattamenti, lo screening neonatale è diventato disponibile per diverse di queste malattie. Ma se il test è essenziale per iniziare subito il trattamento e salvare la vita dei bambini che presentano la malattia in età infantile (ovvero i casi più gravi), continua il dibattito sulla diagnosi di malattie in forma più lieve e ad esordio tardivo. Entrano in gioco, infatti, tanti altri fattori: il rischio di medicalizzazione del bambino, che verrebbe sottoposto a visite più frequenti per il monitoraggio dei sintomi, lo stigma sociale, la discriminazione e la creazione di popolazioni pre-sintomatiche di “pazienti in attesa”.
I ricercatori della Emory University di Atlanta si occupano da anni di chiarire meglio questi aspetti: nel 2015 hanno intervistato 38 fornitori di assistenza sanitaria genetica, i quali hanno ritenuto che fra le malattie da accumulo lisosomiale discusse, quella di Pompe fosse la più adatta allo screening neonatale, e quella di Krabbe la meno adatta. Le mucopolisaccaridosi di tipo I e di tipo II, nel complesso, sono state considerate favorevolmente per lo screening, ma quella di tipo I ha ottenuto un punteggio più alto per via di una maggiore efficacia delle opzioni terapeutiche percepita dagli intervistati. Le malattie di Fabry e di Gaucher sono state invece giudicate meno favorevolmente, a causa della loro età di insorgenza più avanzata.
Nel 2016, gli studiosi di Atlanta hanno indagato le opinioni sullo screening neonatale di 91 adulti affetti da malattia di Fabry, Gaucher e Pompe a esordio tardivo. La maggioranza dei pazienti – il 78,8% – era d’accordo con l’uso dello screening neonatale per identificare la propria condizione: in particolare, i pazienti ritenevano che una diagnosi ricevuta da neonato avrebbe potuto contribuire a migliorare la loro salute attuale.
Oggi, due ricercatrici della Emory University, Emily C. Lisi e Nadia Ali, che già avevano preso parte a quest’ultimo studio quantitativo, hanno proseguito l’indagine a livello qualitativo, tramite interviste approfondite a 36 pazienti adulti: 11 con malattia di Fabry, 8 con malattia di Gaucher e 17 con malattia di Pompe a esordio tardivo. Trentaquattro dei trentasei partecipanti (l’88,9%) erano a favore dello screening neonatale per la propria condizione, ed entrambi i contrari avevano la malattia di Gaucher. Alcuni fattori hanno influenzato favorevolmente i partecipanti nei confronti dello screening neonatale: un’età di esordio della malattia più precoce, l’aver vissuto una lunga odissea diagnostica, l’aver seguito un trattamento meno efficace e il desiderio di aver potuto prendere diverse decisioni di vita (ad esempio nelle relazioni, nella carriera o nello stile di vita) essendo a conoscenza della propria diagnosi. Al contrario, le preoccupazioni per la discriminazione in ambito assicurativo e per gli oneri fisici o psicologici sono state associate a opinioni meno favorevoli.
Secondo lo studio, pubblicato sul Journal of Genetic Counseling, la capacità dei genitori di prendere decisioni riproduttive future sulla base del risultato dello screening neonatale del loro bambino è stata considerata positivamente da alcuni partecipanti e sfavorevolmente da altri, e la condizione specifica dei partecipanti (Fabry, Gaucher o Pompe) ha contribuito a orientare queste diverse opinioni. I partecipanti con malattia di Fabry e malattia di Pompe hanno preferito lo screening neonatale per iniziare un trattamento precoce e prevenire danni d’organo irreversibili, mentre un minor numero di pazienti con malattia di Gaucher ha menzionato questo beneficio. I partecipanti con malattia di Pompe hanno avuto l’odissea diagnostica più lunga, mentre quelli con malattia di Fabry avevano maggiori probabilità di sentirsi incompresi e di subire accuse di simulazione, ed entrambi gli aspetti hanno pesato sulle loro opinioni favorevoli riguardo allo screening.
Questa ricerca amplia i risultati degli studi precedenti, esaminando come le diverse esperienze di malattia contribuiscano a modellare le opinioni dei pazienti sull’inclusione della loro patologia nei programmi di screening neonatale. Comprendere le sfumature del loro vissuto, infatti, potrà aiutare i consulenti genetici a fornire un migliore supporto psicosociale e una guida preventiva a questi pazienti. Inoltre, in futuro sarà fondamentale ascoltare i pareri delle persone affette da malattie da accumulo lisosomiale oggi diagnosticate grazie allo screening neonatale, quando saranno abbastanza grandi da poter condividere le loro opinioni.