Alzheimer: il trattamento aggiuntivo di levetiracetam, anticonvulsivante di ampio uso, apporta benefici a memoria spaziale e funzioni esecutive
Secondo i risultati di uno studio clinico randomizzato pubblicato online sui “JAMA Neurology”, levetiracetam, farmaco anticomiziale, è risultato ben tollerato ed è sembrato migliorare le prestazioni relative alla memoria spaziale e ai compiti di funzione esecutiva nei pazienti con malattia di Alzheimer (AD).
«Studi preclinici in modelli murini transgenici di AD hanno portato alla scoperta che la soppressione dell’attività epilettiforme con farmaci anticomiziali era associata a miglioramenti nel comportamento così come nei segni istopatologici di ipereccitabilità cronica di rete nell’ippocampo» scrivono gli autori dell’articolo, guidati da Keith Vossel, del Dipartimento di Neurologia della Los Angeles’ David Geffen School of Medicine presso la University of California.
«Levetiracetam è un farmaco anticonvulsivante ampiamente utilizzato di cui è stata segnalata la capacità di sopprimere i picchi epilettiformi e migliorare la funzione sinaptica e cognitiva nei modelli murini di AD» aggiungono. «Si è rilevato inoltre che il trattamento con levetiracetam – spesso a basse dosi – è ben tollerato ed efficace nel sopprimere le convulsioni nei pazienti con AD e disturbi convulsivi».
Questi risultati ottenuti precedentemente hanno costituito per i ricercatori le fondamenta per esaminare il potenziale di levetiracetam nel migliorare la funzione cognitiva nei pazienti con AD.
VideoEEG notturno ed esame magnetoencefalografico, metodi di screening
Vossel e colleghi hanno condotto lo studio clinico di fase 2a randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, incrociato, denominato “the Levetiracetam for Alzheimer’s Disease – Associated Network Hyperexcitability”.
I ricercatori hanno analizzato i dati di 34 pazienti adulti con AD in due istituzioni accademiche (University of California, a San Francisco, e University of Minnesota, a Twin Cities) tra il 16 ottobre 2014 e il 21 luglio 2020. I partecipanti avevano un’età pari o inferiore a 80 anni e hanno ottenuto almeno 18 punti alla Mini-Mental State Examination e/o meno di due punti nel Clinical Dementia Rating score.
La videoelettroencefalografia durante la notte e un esame magnetoencefalografico a riposo di 1 ora hanno costituito la procedura di screening. Un gruppo (n = 17) ha ricevuto placebo due volte al giorno per 4 settimane seguito da un periodo di washout di 4 settimane, quindi 125 mg di levetiracetam orale due volte al giorno per 4 settimane. L’altro gruppo (n = 17) ha ricevuto il trattamento secondo una sequenza inversa.
Sul totale dei partecipanti, il 61,8% era costituito da donne mentre l’età media generale era di 62,3 anni.
Risultati incoraggianti, specie negli esiti secondari
La capacità del trattamento con levetiracetam di migliorare la funzione esecutiva secondo il punteggio composito “NIH Executive Abilities: Measures and Instruments for Neurobehavioral Evaluation and Research” (NIH-EXAMINER) è stata utilizzata come esito primario.
La cognizione, misurata tramite la “Stroop Color and Word Test interference naming subscale” e l’”Alzheimer’s Disease Assessment Scale-Cognitive Subscale”, così come la disabilità, sono state impiegate come esiti secondari. Le prestazioni su un test di apprendimento con percorso virtuale e i punteggi dei test cognitivi e funzionali nei partecipanti con attività epilettiforme sono stati esiti esplorativi.
Hanno completato lo studio 28 pazienti (82,4%), di cui 10 (35,7%) hanno mostrato attività epilettiforme. Il trattamento con levetiracetam non ha alterato i punteggi compositi NIH-EXAMINER (differenza media rispetto al placebo = 0,07 punti; IC 95%, da 0,18 a 0,32 punti) né le misure secondarie.
Tuttavia, ha migliorato le prestazioni alla “Stroop interference naming subscale” (miglioramento netto rispetto al placebo = 7,4 punti; IC al 95%, 0,2-14,7) e al test di apprendimento con percorso virtuale (P = 0,02) tra i partecipanti con attività epilettiforme. Nessun partecipante ha interrotto il trattamento a causa di eventi avversi.
«Le implicazioni di queste evidenze sono sostanziali se si considera il fatto che circa il 60% dei pazienti con AD sperimenta convulsioni e attività epilettiforme subclinica» scrivono Vossel e colleghi. «Gli approcci antiepilettici completerebbero e potenzialmente migliorerebbero altre strategie per il trattamento dell’AD, comprese quelle mirate all’aggregazione proteica nonché alla diffusione e all’infiammazione della malattia».
«I futuri studi clinici sull’AD trarrebbero beneficio dall’inclusione di valutazioni neurofisiologiche ogni qualvolta ciò fosse possibile e dall’aggiunta di farmaci antiepilettici quando fosse rilevata attività epilettica o epilettiforme» concludono Vossel e coautori.
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Bibliografia:
Vossel K, Ranasinghe KG, Beagle AJ, et al. Effect of Levetiracetam on Cognition in Patients With Alzheimer Disease With and Without Epileptiform Activity: A Randomized Clinical Trial. JAMA Neurol. 2021 Sep 27. doi: 10.1001/jamaneurol.2021.3310. [Epub ahead of print] Link