Gli inibitori della pompa protonica non sono correlati alla malattia grave generata dal Covid secondo una nuova ricerca USA
A differenza di quanto emerso in una ricerca precedente, gli inibitori della pompa protonica non sono correlati alla malattia grave generata dal virus SARS-CoV-2 tra i veterani statunitensi, secondo i risultati di uno studio pubblicato sulla rivista Gut.
«Per quanto riguarda il Covid-19, la nostra solida analisi ponderata per il punteggio di propensione fornisce ai pazienti e ai medici ulteriori evidenze a supporto della sicurezza degli inibitori della pompa protonica» hanno scritto il primo autore Shailja Shah e colleghi del dipartimento di gastroenterologia presso il Veterans Affairs San Diego Healthcare System a La Jolla, in California.
In un precedente studio su una coorte di pazienti sudcoreani, i ricercatori avevano riferito che l’uso corrente di PPI rispetto al non utilizzo era associato a un aumento statisticamente significativo del rischio degli endpoint compositi: ossigenoterapia, ricovero in unità di terapia intensiva, uso della ventilazione meccanica o deccesso (OR composito 1,63) e ricovero in terapia intensiva, ventilazione meccanica o decesso (OR composito 1,79).
Per confermare questi dati, gli autori del nuovo studio hanno analizzato retrospettivamente una coorte di quasi 100mila veterani statunitensi, 15mila dei quali sono risultati positivi al virus SARS-CoV-2. L’uso ambulatoriale corrente di PPI è servito come esposizione primaria ed è stato confrontato con il non utilizzo di questi farmaci (6.262 utilizzatori di PPI e 8.696 non utilizzatori). La necessità di ricorrere alla ventilazione meccanica o il decesso entro 60 giorni dall’infezione sono serviti come outcome composito primario. Gli esiti compositi secondari includevano il ricovero in ospedale o in terapia intensiva. Gli esiti gravi di Covid-19 tra gli utilizzatori attuali di PPI rispetto a chi non ne faceva uso sono stati valutati con modelli di regressione logistica ponderata.
Secondo i risultati della coorte non ponderata, gli utilizzatori attuali di PPI rispetto ai non utilizzatori erano più anziani, più spesso fumatori o ex fumatori e avevano più comorbidità. Tutte le covariate sono state bilanciate dopo la ponderazione.
Maggior rischio di Covid grave non confermato
Nella coorte non ponderata sono state rilevate probabilità più elevate negli utilizzatori rispetto ai non utilizzatori di esiti compositi primari (9,3% contro 7,5%, OR = 1,27) e secondari (25,8% contro 21,4%, OR = 1,27). Tuttavia dopo la ponderazione del punteggio di propensione l’uso di PPI rispetto al non utilizzo non è risultato correlato con i risultati compositi primario (8,2% contro 8%, OR = 1,03) o secondario (23,4% contro 22,9%, OR = 1,03). Non sono state osservate interazioni significative tra età e uso di PPI sui risultati compositi o individuali.
«La somministrazione di ossigeno potrebbe non essere correlata alla gravità del Covid-19 e può essere considerata un protocollo di routine, soprattutto all’inizio della pandemia. Allo stesso modo, il ricovero in terapia intensiva può essere influenzato da fattori del sistema sanitario, come la disponibilità di posti letto» hanno fatto presente gli autori. «Per evitare alcuni bias presenti in altre ricerche, nel nostro studio abbiamo anche tenuto conto del periodo di tempo della pandemia e dell’evoluzione della gestione clinica, considerando la prevalenza del Covid-19 e la geografia degli Stati Uniti».
Shah S et al. Proton-pump inhibitor use is not associated with severe COVID-19-related outcomes: a propensity score-weighted analysis of a national veteran cohort. Gut. 2021 Oct 18;gutjnl-2021-325701. leggi