Losartan ha maggiore efficacia antipertensiva


Prevenzione cardiovascolare: studi evidenziano una maggiore efficacia antipertensiva di losartan grazie al suo effetto uricosurico ancillare

Prevenzione cardiovascolare: studi evidenziano una maggiore efficacia antipertensiva di losartan grazie al suo effetto uricosurico ancillare

Ne hanno parlato, in un incontro virtuale dal titolo “Losartan ed effetto uricosurico”, il prof. Giovambattista Desideri, Ordinario di Medicina Interna e Geriatria dell’Università degli Studi dell’Aquila, e il prof. Roberto Pontremoli, Ordinario di Nefrologia dell’Università degli Studi di Genova.

In effetti, i livelli dell’acido urico sierico sono entrati nello screening dei pazienti a rischio cardiovascolare delle principali linee guida internazionali. Dato che i farmaci ipouricemizzanti sono indicati solo per il trattamento della gotta, assume rilievo un farmaco antipertensivo, come losartan, che possiede un evidente effetto ancillare di riduzione dell’uricemia.

Il danno d’organo nella valutazione del rischio cardiovascolare

Losartan presenta caratteristiche tali da renderlo il farmaco di prima scelta per il trattamento dell’ipertensione, afferma Desideri.

Per comprendere le motivazioni di questa affermazione è necessaria una premessa fondamentale, ovvero comprendere quali siano gli obiettivi che il clinico si pone quando visita un paziente iperteso: diagnosticare con certezza l’ipertensione; valutare l’ipertensione come primitiva (essenziale) o secondaria; stratificare il rischio globale del paziente.

A guidare il trattamento e la strategia terapeutica è il rischio globale, in quanto consente di identificare i valori ottimali di pressione, scegliere la classe di farmaco antipertensivo ed eventualmente prevedere ulteriori terapie oltre a quelle antipertensive, sottolinea.

In questo senso vengono in aiuto le Linee Guida, che integrano al loro interno le carte del rischio cardiovascolare; queste consentono al medico di valutare il rischio di eventi cardiovascolari maggiori a distanza di un determinato numero di anni in relazione ai parametri pressori ma anche ai diversi esami ematochimici e clinici.

Tali parametri, o fattori di rischio, comprendono la presenza di diabete o di un pregresso evento cardiovascolare; in questo contesto di profilazione del paziente e sua contestuale stratificazione del livello di rischio, un forte impatto può derivare dall’HMOD, il danno d’organo mediato dall’ipertensione.

Un danno d’organo anche subclinico – come la microalbuminaria, l’ipertrofia ventricolare sinistra, l’aterosclerosi extracardiaca a livello delle pareti carotidee o delle arterie femorali – fa aumentare notevolmente il rischio del paziente qualunque sia il valore pressorio.

Il danno agli organi bersaglio può essere considerato uno step intermedio tra esposizione a fattori di rischio ed eventi cerebrali, cardiovascolari e renali. Spesso il paziente non è neanche cosciente della sua esposizione a fattori di rischio.

Sicuramente in alcuni pazienti, fortunatamente una minoranza, è l’evento che si manifesta in prima battuta e in questi casi la terapia inizia direttamente dalla prevenzione secondaria.

La maggior parte dei pazienti, invece, prima di avere un evento transita attraverso una fase intermedia, quella del danno d’organo subclinico. In questa fase non soltanto il paziente può essere intercettato e trattato appropriatamente, ma il danno d’organo, modificandosi nel tempo, consente di monitorare nel tempo le condizioni del paziente e rivalutare il rischio.

La terapia non deve essere allora solo in grado di ridurre la pressione arteriosa; se si dimostra in grado, oltre al controllo pressorio, di far regredire l’ipertrofia ventricolare sinistra o l’albuminuria, fornisce ai pazienti un beneficio additivo.

Nello studio Life, l’albuminuria ha dimostrato di essere uno straordinario predittore di rischio: all’aumentare dei valori di albuminuria, aumentano gli eventi cardiaci, indipendentemente dal trattamento; la microalbuminuria può essere quindi definita un predittore del rischio cardiovascolare. (fig. 1)

Fig. 1 – Studio Life. Relazione tra albuminuria e rischio cardiovascolare sugli eventi cardiaci.

Se il danno d’organo subclinico, l’ipertrofia ventricolare sinistra, le variazioni del filtrato glomerulare o l’albuminuria sono fattori di rischio, un ruolo importante è svolto anche dall’acido urico, correlato al danno d’organo subclinico e che può avere un ruolo causale nel determinare il danno ai reni, ai vasi e al cuore, con una relazione diretta tra danno e concentrazione ematica.

Negli ultimi 20-30 anni sono stati condotti numerosi studi che hanno dimostrato come sia l’iperuricemia a provocare danno renale e diabete. Se si analizzano i dati del database dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD), si osserva ancora che l’acido urico è un predittore di sviluppo di malattia renale cronica nella popolazione affetta da diabete di tipo 2. (fig. 2)

Fig.2 – Annali AMD. Acido urico predittore di sviluppo di malattia renale cronica nella popolazione con diabete 2.

Nel complesso, emergono due concetti rilevanti. 1) Iperuricemia e ipertensione arteriosa sono associazioni causali frequenti. Le evidenze mostrano come nel paziente iperteso il danno renale sia più cospicuo quando lo stesso paziente è anche iperuricemico. 2) Ridurre l’uricemia non ha valore meramente ‘cosmetico’ ed è possibile ridurre i valori sierici di acido urico  mentre si svolge un’azione di protezione cardiovascolare con un farmaco antipertensivo.

Le importanti evidenze dello studio Life
Nonostante i venti anni dalla pubblicazione, lo studio Life è ancora di grandissima attualità, osserva Pontremoli. Questo studio è stato in grado di dimostrare non solo la riduzione dei valori pressori nei pazienti in trattamento con losartan, ma soprattutto una riduzione della mortalità maggiore di quella osservata con il trattamento con atenololo.

Lo studio Life è finora l’unico studio, nel campo dell’ipertensione, che ha consentito di confrontare due farmaci attivi alla pari, nel senso che i farmaci provocano una riduzione della pressione arteriosa uguale nei due bracci. Nessuno studio ha mai ottenuto la stessa equivalenza in termini antipertensivi osservata tra atenololo fino a 100 mg e losartan fino a 100 mg.

Lo studio è stato condotto in pazienti con ipertensione primitivAa e ipertrofia ventricolare sinistra in prevenzione primaria; la selezione di pazienti con danno d’organo ha consentito di aumentare il numero di eventi e ridurre la durata del follow up, in modo tale da avere risultati statisticamente significativi con un campione che può essere meno numeroso e in tempi più brevi.

Lo studio è stato condotto in doppio cieco e l’endpoint primario era un composito di infarto non fatale, ictus non fatale o morte cardiovascolare. Tra i risultati emersi dall’analisi dei dati, lo studio Life mostra come l’ipertrofia ventricolare sinistra costituisca un fattore di rischio straordinario per le malattie cerebrovascolari, determinando un rischio maggiore di avere un ictus che di avere un infarto, in quanto le due condizioni riflettono molto il carico emodinamico.

Come accennato, prosegue Pontremoli, a rendere così significativi i risultati del Life è il fatto che entrambi i farmaci (losartan e atenololo) riducono i valori pressori in modo analogo. Diventa così possibile confrontare i risultati a livello degli endpoint senza bisogno di utilizzare fattori correttivi e aggiustamenti statistici.

In questo studio la pressione arteriosa sistolica e diastolica è sostanzialmente la stessa tra i due bracci di trattamento. La differenza in termini di endpoint composito è di -13% con losartan rispetto ad atenololo, mentre riguardo l’endpoint relativo all’ictus la riduzione è del 25%. Questa diminuzione di incidenza di eventi rappresenta il vero valore aggiunto di losartan.

Nel sottogruppo delle persone con diabete si osservano dati ancora più convincenti, perché si tratta di una popolazione a rischio aumentato. L’endpoint di mortalità cardiovascolare presenta in questo caso una diminuzione del 36-38%. (Fig.3)

Fig. 3 – Studio LIFE. Superiore effetto protettivo cardiovascolare di losartan nei pazienti con diabete.

Tra i risultati ottenuti riguardanti la prevenzione, si rileva una diminuzione dell’insorgenza di fibrillazione atriale e di arteriopatia periferica, il tutto ottenuto a parità di valori pressori, così come dell’ipertrofia ventricolare sinistra. In generale, quindi, si ossserva una riduzione del danni d’organo con losartan rispetto all’atenololo.

Evidenze analoghe si rilevano anche per i pazienti con maggiore albuminuria (superiore a 3 mg/mmoli) che avevano più eventi;  proprio in questi pazienti losartan dimostra di ridurre in una maggiore percentuale di casi gli eventi rispetto ad atenololo, in quanto in grado di ridurre maggiormente l’albuminuria, parametro correlato con l’endpoint.

La novità inaspettata dello studio Life ha riguardato invece l’effetto di losartan e di atenololo sulla concentrazione di acido urico: mentre atenololo aumentava la concentrazione di acido urico sierico per la diminuita perfusione renale connessa alla diminuzione dei valori pressori, losartan riduceva comunque questa concentrazione o la faceva aumentare in modo minore rispetto ad atenololo.

Losartan aumenta l’uricosuria senza causare un aumento del rischio di calcolosi urinaria da acido urico perché al contempo alcalinizza anche le urine. Si tratta di una specifica caratteristica farmacologica di losartan.

Inattesa per i ricercatori è stata l’osservazione che la diminuita concentrazione di acido urico correlava con le variazioni  osservate degli endpoint; è risultato che la variazione della concentrazione di acido urico può giustificare il 30% dell’effetto osservato in relazione alla diminuzione degli eventi.

Questo dato è altamente significativo, dal momento che losartan non fa parte del prontuario dei farmaci ipouricemizzanti, autorizzati al momento solo nella gotta, ma è un sartano indicato per il trattamento dell’ipertensione che associa al suo meccanismo d’azione principale anche questo effetto ancillare di riduzione dell’acido urico. (fig. 4)

Fig. 4 – Studio LIFE. Riduzione di acido urico sierico associata a effetto benefico sugli esiti.

Ulteriori informazioni dallo studio Renaal
Lo studio Renaal esplora una condizione diversa e integra i dati forniti dal Life, prosegue Pontremoli. Se il Life arruola pazienti con ipertensione essenziale, nel Renaal la popolazione iscritta presenta malattia renale cronica da diabete di tipo 2, composta da pazienti con proteinuria e creatinina almeno leggermente aumentate.

Si tratta di uno studio di confronto con placebo, ma i livelli pressori dei due bracci sono simili. Obiettivo dello studio era valutare la velocità con cui i pazienti raggiungevano l’end stage kidney disease, cioè la dialisi.

È stata osservata una riduzione del 16% del rischio relativo di progressione fino alla dialisi; questo significa probabilmente cominciare la dialisi sei mesi o un anno dopo rispetto a una terapia che ha controllato la pressione in modo analogo ma senza l’utilizzo di RAS inibitori.

Non a caso, dalla presentazione dei risultati di questo studio nel 2000, le linee guida considerano come farmaci di riferimento quelli che inibiscono il sistema renina-angiotensina-aldosterone. Se si osservano i risultati dell’endpoint di variazione di filtrato glomerulare, si osserva un aumento ancora maggiore, in quanto si è ridotta l’albuminuria.

Lo studio Renaal non ha la potenza statistica per valutare una riduzione della mortalità ma se si valutano in modo combinato gli endpoint renale e di mortalità cardiovascolare si osserva un beneficio. Benefici si osservano anche nella riduzione del rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco (fig. 5), così come nella riduzione della proteinuria.

Fig. 5 – Studio RENAAL. Riduzione del rischio di ospedalizzazione per scompenso cardiaco nei pazienti trattati con losartan rispetto al placebo.

Per quanto riguarda la concentrazione di acido urico, non si osserva una sua diminuzione bensì una riduzione della velocità di progressione dell’aumento della concentrazione stessa nel tempo.

Anche nello studio Renaal si può osservare come i pazienti che hanno un incremento minore della concentrazione di acido urico hanno una minore incidenza di endpoint. Anche in questo studio si osserva come le variazioni di acido urico siano correlate alla variazione di endpoint.

Le implicazioni cliniche nella scelta di un sartano
Per inquadrare correttamente l’utilizzo di losartan, occorre considerare che è stato il primo sartano a essere entrato in commercio; tutti gli altri farmaci della stessa classe hanno potuto dimostrare una loro efficacia nella riduzione dei valori pressori, ma senza provare in maniera convincente una riduzione della mortalità e degli eventi cardiovascolari, sottolinea Pontremoli.

Per quanto riguarda la riduzione dell’uricemia, i dati relativi agli altri sartani non sono solo carenti, ma perfino contrari. In uno studio di confronto, nell’arco di otto settimane, i valori di acido urico si sono ridotti con losartan ma non con irbesartan; questo a dimostrare che la riduzione dell’uricemia non è un effetto di classe ma un effetto farmacologico-chimico della singola molecola, che inibisce URAT1 e che è in grado di promuovere l’uricuria, alcalinizzando allo stesso tempo anche le urine con conseguente diminuito rischio di calcolosi uratica.

Nella scelta del farmaco antipertensivo il medico desidera un farmaco efficace, con poche controindicazioni e una buona tollerabilità; sceglie normalmente, in accordo con le linee guida, un ACE-inibitore o un sartano; la predilezione viene data quasi sempre al sartano per il profilo di tollerabilità migliore.

I sartani sono i farmaci raccomandati dalle linee guida nei pazienti ad alto rischio. Nel caso di pazienti a basso rischio, quando il farmaco presenta una buona tollerabilità, assenza di effetti collaterali e una dimostrata efficacia, il medico si comporta in modo analogo al paziente ad alto. All’interno della categoria dei sartani, la scelta è guidata ancora dalla riduzione dei valori pressori e dalla dimostrata capacità di ridurre gli eventi cardiovascolari.

Riguardo la capacità di ridurre gli eventi, questa è stata dimostrata solo con losartan, mentre olmesartan non ha ottenuto questi risultati né nello studio Roadmap né nell’Orion, ma neanche in altri studi in cui si è valutata la progressione renale; l’unica certezza è il suo effetto antipertensivo.

Infine, rileva il nefrologo, riguardo le variazioni di uricemia, losartan ha dimostrato le sue proprietà ipouricemizzanti e ha dimostrato che le variazioni di uricemia correlavano con le variazioni di danno d’organo e con le variazioni di endpoint. Quindi tutti gli studi condotti per cercare di dimostrare che l’uricemia correla con il rischio cardiovascolare hanno avuto conferma dagli studi Renaal e Life, dove le variazioni di uricemia indotte da losartan correlavano con le variazioni di rischio.

Interruzione del circolo ipertensione-iperuricemia-danno d’organo
La riduzione dell’uricemia come effetto pleiotropico del trattamento con losartan è l’aspetto più potenzialmente implicato nella protezione cardiovascolare, insieme all’effetto antinfiammatorio delle statine.

Se si utilizza un farmaco che inibisce il sistema renina-angiotensina-aldosterone come losartan, l’aspettativa è una riduzione pressoria, del danno d’organo, del numero di eventi cardiovascolari e cerebrovascolari; losartan, nello studio Life, ha dimostrato di poter soddisfare queste richieste, in quanto riduce i valori pressori ma presenta un vantaggio del 25% in termini di riduzione dell’ictus.

Lo studio Life ha anche dimostrato una riduzione dei livelli circolanti di acido urico o il loro mancato incremento nello studio Renaal, effetto che si manifesta con un contributo rilevante alla protezione cardiovascolare. Losartan diventa pertanto una scelta privilegiata nel momento in cui si è di fronte alla necessità di svolgere opera di prevenzione cardiovascolare e di ridurre la pressione arteriosa e l’uricemia.

Sono presenti evidenze solide di efficacia antipertensiva, protezione del danno d’organo, protezione dagli eventi e riduzione dell’uricemia. Le varie espressioni del danno d’organo e l’uricemia sono correlate tra loro in modo bidirezionale in un circuito riverberante; la scienza ha dimostrato che se l’ipertensione condiziona l’iperuricemia, l’iperuricemia condiziona l’ipertensione con un meccanismo progressivo di potenziamento e amplificazione del danno d’organo.

Oggi è possibile spezzare questo circolo con losartan, che ha piena indicazione per agire sui due determinanti di questo connubio dannoso: ipertensione, danno d’organo da ipertensione e uricemia, conclude Pontremoli.

I MESSAGGI CHIAVE

  1. Nella scelta della terapia per un paziente iperteso, fondamentale è un’accurata stratificazione del rischio individuale.
  2. Tra i principali fattori di rischio da considerare vi sono: parametri pressori, esami ematochimici e delle urine (microalbuminuria), presenza di diabete o malattia renale cronica, rilievo elettrocardiocardiografico o ecografico di ipertrofia ventricolare sinistra, aterosclerosi, danno d’organo mediato dall’ipertensione, e l’iperuricemia che vari studi hanno dimostrato essere correlata al rischio cardiovascolare e al danno d’organo.
  3. Losartan è l’unico farmaco antipertensivo che presenta l’effetto ancillare di essere uricosurico e quindi di ridurre l’uricemia. Gli unici altri farmaci autorizzati per ridurre l’iperuricemia sono gli antigottosi.
  4. Nel fondamentale studio Life, losartan – messo a confronto con atenololo – ha dimostrato che una riduzione dell’acido urico sierico è associata a un effetto benefico degli esiti e che le variazioni dell’uricemia sono correlate alle variazioni degli endpoint.
  5. Lo stesso studio Life ha evidenziato la superiorità di losartan rispetto ad atenololo in termini di endpoint composito (mortalità, numero di eventi, etc) e di ictus, oltre a mostrare una maggiore protezione cardiovascolare nelle persone con diabete. Ha dato prova, inoltre, di possedere effetti nefroprotettivi, con riduzione dell’albuminuria.
  6. Lo studio Renaal, condotto in pazienti con nefropatia cronica, ha dimostrato inoltre una riduzione della proteinuria, dell’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca, una ridotta progressione dell’aumento dell’uricemia, un miglioramento del filtrato glomerulare con riduzione dell’albuminuria e un ritardo del tempo alla dialisi.
  7. Così come l’ipertensione condiziona l’iperuricemia, l’iperuricemia a sua volta condiziona l’ipertensione con un meccanismo progressivo di amplificazione del danno d’organo. Questo circolo vizioso può essere spezzato con losartan, grazie alla sua azione antipertensiva e all’effetto uricosurico ancillare.