Sclerosi multipla: ofatumumab alleato contro il Covid


I pazienti con sclerosi multipla trattati con ofatumumab non mostrano forme severe di Covid-19 secondo i risultati di un nuovo studio

I pazienti con sclerosi multipla trattati con ofatumumab non mostrano forme severe di Covid-19 secondo i risultati di un nuovo studio

I pazienti con sclerosi multipla (SM) trattati con ofatumumab nello studio di estensione in aperto ALITHIOS hanno avuto casi non gravi di COVID-19 e si sono ripresi relativamente rapidamente. Il dato è stato riferito alla riunione del Consortium of Multiple Sclerosis Centers del 2021.

Più in dettaglio, dei 139 pazienti con SM recidivante-remittente con COVID-19 inclusi nello studio, il 94% ha avuto casi lievi o moderati e il 96% è guarito entro 20 giorni, ha spiegato Anne Cross, della Washington University di St. Louis.

Dieci persone sono state ricoverate in ospedale e una persona è deceduta. Non c’erano prove che l’incidenza di COVID-19 o gli esiti gravi fossero più alti nelle persone trattate con ofatumumab rispetto alla popolazione generale o ad altri pazienti con SM, ha specificato Cross.

Studio di sorveglianza post-marketing
Ofatumumab, un farmaco anti-CD20, è stato approvato dalla FDA nell’agosto 2020 per i pazienti adulti con SM con sindrome clinicamente isolata, malattia recidivante-remittente e malattia secondariamente progressiva attiva. Come ocrelizumab – che è stato approvato nel 2017 dalla FDA e nel 2018 dall’EMA e dall’AIFA per la SM recidivante e progressiva primaria – ofatumumab provoca l’esaurimento delle cellule B.

Ocrelizumab è un trattamento per infusione, mentre ofatumumab viene somministrato mediante iniezione sottocutanea mensile.

L’attuale studio ha seguito principalmente i pazienti arruolati in ALITHIOS, uno studio di estensione in aperto che ha seguito soggetti arruolati negli studi registrativi per ofatumumab. Il tempo medio di somministrazione del farmaco era di 2,2 anni al momento dell’infezione e l’età media dei pazienti era di 37,7 anni.

Cross e colleghi hanno esaminato i casi di COVID-19 che si sono verificati nella popolazione in studio con un cutoff dei dati al 29 gennaio 2021. Hanno anche esaminato i rapporti post-marketing dei casi di COVID-19 in pazienti trattati con ofatumumab fino al 31 gennaio. «I casi sono stati definiti come “provati” sulla base della conferma di laboratorio o “sospetto COVID-19” in caso di presenza di segni e sintomi ma nessuna conferma di laboratorio» ha detto Cross nella sua presentazione.

Nella maggior parte dei casi, gradi lievi o moderati di malattia da SARS-CoV-2
Al cutoff dei dati, 139 dei 1.703 pazienti (8,2%) inclusi in ALITHIOS hanno riportato COVID: 115 sono stati confermati e 24 sono stati classificati come sospetti. L’età media al basale per questi pazienti era di circa 38 anni e la maggior parte (64%) erano donne.

Dei 115 pazienti con COVID-19 confermato, il tempo tra la prima dose di ofatumumab e l’insorgenza di COVID è stato di 2,3 anni. Dodici persone hanno avuto una polmonite e, come accennato, otto sono state ricoverate in ospedale mentre una paziente, una donna di 48 anni, è morta.

Ventidue pazienti dello studio ALITHIOS hanno interrotto il trattamento con ofatumumab ma nessuno lo ha sospeso temporaneamente. Tutti i 139 casi di COVID-19 avevano livelli di IgG superiori al limite inferiore della norma prima o durante il periodo in cui avevano la malattia da SARS-CoV-2.

Risultati simili sono stati osservati nei rapporti post-marketing di 26 casi confermati e due sospetti di COVID. La maggior parte dei casi erano lievi o moderati e non si è avuto nessun decesso.

«La risposta immunitaria a SARS-CoV-2 è stata valutata in modo indipendente da questo studio in tre casi con COVID-19 lieve confermato» ha osservato Cross. «Nessuna risposta anticorpale è stata osservata in nessuno dei tre. Tuttavia, sono state osservate risposte immunitarie delle cellule T contro SARS-CoV-2 in tutti e tre i pazienti».

I risultati devono essere interpretati anche tenendo conto che, nel mondo reale, molti pazienti con terapie di deplezione delle cellule B sono più anziani, possono avere più comorbilità rispetto ai pazienti che sono arruolati negli studi clinici e sono in trattamento più a lungo.

È importante inoltre notare che il limite per i dati in questo studio è stato nel gennaio 2021, è stato fatto osservare. A quella data, è probabile che la maggior parte dei pazienti non fosse vaccinata.

Alla luce di dati recenti presentati all’ECTRIMS che suggeriscono come i pazienti con cellule B impoverite possano ancora montare una robusta risposta delle cellule T ai vaccini COVID-19, l’auspicio è che gli esiti con la disponibilità del vaccino anti-COVID possano essere ancora migliori di quelli riportati in questo studio.

Fonte:
Cross AH, et al. Outcomes of COVID-19 in patients with relapsing multiple sclerosis receiving ofatumumab: data from the ALITHIOS study and post-marketing surveillance” CMSC 2021. Abstract DMT13. Link