Il primo lavoro è in nero per 1 giovane su 4


Il primo lavoro? È in nero per uno su 4 sotto i 30 anni. Lo studio di Fondazione Adapt in Lombardia, Emilia-Romagna e Sicilia con oltre 1.100 questionari compilati

Il primo lavoro? È in nero per uno su 4 sotto i 30 anni. Lo studio di Fondazione Adapt in Lombardia, Emilia-Romagna e Sicilia con oltre 1.100 questionari compilati

Giovani e lavoro, tra stabilità e lavoretti. È l’oggetto dell’indagine realizzata dalla Fondazione Adapt per la Fondazione Unipolis. Uno studio che parte dalla presa d’atto della situazione italiana: nel 2020 la disoccupazione giovanile ha toccato il 22%, una quota tra le più alte dell’Europa (un primato condiviso con Spagna e Grecia), è il tasso occupazione degli under 29 più basso a livello comunitario. Una situazione sulla quale incide proprio l’organizzazione del mercato del lavoro, in cui l’ingresso dei giovani avviene soprattutto attraverso forme anomale, se non de tutto irregolari.

Il 25% dei giovani, rileva lo studio riportato dalla Dire (www.dire.it) (che si concentrato su Lombardia, Emilia-Romagna e Sicilia con oltre 1.100 questionari compilati), ha una prima esperienza lavorativa ‘in nero’ (nel terziario, nella ristorazione, come babysitter), una percentuale doppia rispetto a chi inizia con un cococo, quattro volte superiore ai giovani che hanno un primo impiego a tempo determinato e sette volte superiore a chi ottiene fin da subito un tempo indeterminato. Tanti i tirocini (354.000) extracurricolari attivati, ma solo il 14% dei ragazzi viene poi viene stabilizzato. Quanto ai contratti di ingresso, la maggior parte degli under 30 entra con un contratto a tempo determinato, seguito dall’apprendistato e la somministrazione. L’apprendistato, in particolare, risulta uno strumento ancora poco utilizzato, anche se garantisce continuità all’80% dei ragazzi dopo i primi 12 mesi. In Emilia-Romagna quasi il 70% dei ragazzi è stato impegnato nel volontariato. Uno dei temi cruciali è quello delle competenze acquisite in questa zona grigia del lavoro ‘fuori’ dal mercato tradizionale.

Il 25% dei giovani che hanno svolto periodi di tirocinio ritiene di aver acquisito competenze tecniche che potrebbero essere utili, percentuale che sale al 50% per chi ha fatto volontariato. “Serve un sistema di certificazione delle competenze acquisite anche nelle forme di lavoro” più flessibili, sostiene il presidente della Fondazione Adapt, Francesco Seghezzi, commentando la ricerca. Insomma, preso atto della situazione molto fluida, bisogna capire come fornire ai giovani strumenti e ‘pezzi di carta’ che li aiutino nel consolidamento della propria condizione lavorativa. “La condizione giovanile è a cavallo tra situazioni formalizzate e altre che sfuggono a queste regole. Importante che accanto a attività scolastiche ci siano attività extrascolastiche, esperienze legate al rapporto tra scuola e lavoro”, che rafforzino le competenze dei ragazzi, osserva il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, nel suo messaggio in occasione della presentazione dell’indagine.

“Siamo dentro a uno scenario di crescita molto importante in questa regione. L’Emilia-Romagna sta andando forte, ma il cambiamento avverrà a una velocità più forte di quello che pensiamo. La sfida del futuro sarà quella della conoscenza. Dobbiamo recuperare l’idea nuova di una cultura tecnica e scientifica, diversamente rischiamo di avere più mismatch tra domanda e offerta di lavoro nel post-lockdown che nel pre-lockdown. Dobbiamo fare un grande investimento sull’orientamento: in Germania investono 15 volte più di noi, che abbiamo un mercato del lavoro familistico e amicale”, conclude l’assessore regionale allo Sviluppo economico, Vincenzo Colla.