Un team di astronomi della University of Texas ha scoperto un buco nero stranamente massiccio nel nucleo della galassia nana Leo I, un satellite della Via Lattea
Ha l’aspetto sferoidale, un cuore di tenebre e un nome da papa. È Leo I, una galassia nana satellite della Via Lattea, visibile nella costellazione del Leone, a poco più di 800mila anni luce da noi. Fra le tante galassie nane che ruotano attorno alla nostra galassia, spicca per una carenza: pare contenga pochissima materia oscura. Motivo per cui un team di ricercatori, guidato dall’astrofisica Maria Jose Bustamante-Rosell della University of Texas a Austin (Usa), ha deciso di indagarne meglio la natura. Fra gennaio e febbraio del 2017 hanno dunque puntato verso Leo I, per sei notti in tutto, lo specchio da 2.7 metri dell’Harlan J. Smith Telescope dell’osservatorio McDonald, in Texas. Un telescopio equipaggiato con lo strumento ideale per questo genere di indagini: lo spettrografo Virus-W, l’unico a oggi in grado di consentire il tipo di osservazioni sul profilo della materia oscura richiesto. Ciò che è emerso dai dati è stata una sorpresa: al centro di questa piccola galassia c’è un buco nero enorme: 3.3 milioni di masse solari – paragonabile dunque a Sagittarius A* (4.4 milioni di masse solari), quello nel cuore della nostra galassia, la Via Lattea, che però è 30 volte più grande di Leo I.
Una scoperta che potrebbe costringere gli astronomi a riconsiderare gli attuali modelli sull’evoluzione delle galassie, poiché, sottolinea Bustamante, «non c’è nulla che possa spiegare un buco nero del genere nelle galassie sferoidali nane». Il risultato è tanto più importante in quanto è da una ventina d’anni che gli astronomi si avvalgono delle galassie sferoidali nane – qual è appunto Leo I – per comprendere come la materia oscura sia distribuita all’interno delle galassie. Un tipo di ricerca che richiede la misura del profilo della materia oscura: vale a dire, come la densità della materia oscura cambia man mano che ci si sposta dai confini esterni d’una galassia verso il suo centro. Per calcolare questo profilo gli astronomi osservano le orbite delle stelle: più velocemente si muovono, più materia è racchiusa nelle loro orbite.
Per Leo I questo tipo di misure non è una novità. Gli studi precedenti erano però stati condotti sulla velocità di singole stelle, in particolare quelle a velocità più basse, lasciando dunque in parte inesplorata la regione centrale della galassia. Un bias superato grazie ai nuovi dati. Ed è proprio andando a considerare le orbite delle stelle più interne che la stima della quantità di materia da esse racchiusa si è impennata. Facendo così intuire una massa sorprendente per il buco nero centrale.
«Se la massa del buco nero di Leo I è grande, ciò potrebbe contribuire a spiegare come i buchi neri crescano nelle galassie massicce», osserva uno dei coautori dello studio, Karl Gebhardt, anch’egli della University of Texas. Questo perché, man mano che le piccole galassie come Leo I precipitano in galassie più grandi, il buco nero della galassia più piccola si fonde con quello della galassia più grande, aumentandone così la massa. Un processo degno di nota, sottolineano i ricercatori, anche come potenziale oggetto d’indagine per i futuri interferometri per onde gravitazionali.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “Dynamical analysis of the dark matter and central black hole mass in the dwarf spheroidal Leo I”, di Maria Jose Bustamante-Rosell, Eva Noyola, Karl Gebhardt, Maximilian H. Fabricius, Ximena Mazzalay, Jens Thomas e Greg Zeimann