Hiv: terapia con TAF si conferma sicura ed efficace


Tenofovir alafenamide (TAF) è parte integrante, sicura ed efficace, di molti regimi a tre farmaci per il trattamento dei pazienti con HIV

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Tenofovir alafenamide (TAF) oggi è parte integrante di molti regimi a tre farmaci per il trattamento dei pazienti con HIV. Tali regimi vengono indicati delle linee guida DHHS (Department of Health and Human Services) e IAS (International AIDS Society) e i trattamenti a base di inibitori dell’integrasi sono considerati le terapie antiretrovirali (ART) iniziali.

La formulazione che prevede TAF insieme a emtricitabina (FTC) e bictegravir (BIC) rappresenta il riferimento nel trattamento iniziale, mentre altre associazioni di farmaci molto usate in passato e ancora oggi impiegate in casi particolari sono considerate di seconda linea. TAF è comunque quasi sempre presente, in combinazione con darunavir o rilpivirina, ma anche in compresse separate da combinare con le nuove opzioni come doravirina.

Efficacia di TAF
Tra i molti dati disponibili sull’efficacia di TAF, i due trial registrativi più importanti con la combinazione TAF/FTC/BIC in pazienti naïve ne hanno dimostrato l’efficacia a 48 settimane, ma entrambi avevano una fase di estensione in aperto per la valutazione a lungo termine. In uno dei due studi l’osservazione è arrivata a 192 settimane (4 anni) e ha confermato il mantenimento del successo virologico conseguito entro il primo anno di trattamento.

Di ancora maggiore interesse è l’analisi che riguarda i pazienti che iniziano il trattamento in una fase più avanzata dell’infezione (late presenter) o comunque con un’alta carica virale (fino a 100mila copie). Anche nel sottogruppo con oltre 100mila copie il confronto con le associazioni a base di dolutegravir più due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa non ha mostrato differenze in termini di raggiungimento della soppressione virale, anche se è stato ovviamente più lento rispetto ai soggetti con carica virale inferiore.

Anche negli studi registrativi 1878 e 1844, relativi allo switch a TAF/FTC/BIC da inibitori delle proteasi (PI) o da dolutegravir/abacavir/lamivudina (3TC), le fasi di estensione in aperto con dati fino a 144/168 settimane hanno confermato un’efficacia molto elevata nel mantenimento a lungo termine della terapia, anche se si è trattato di numerosità molto basse.

«Un dato interessante è che nei nostri ambulatori abbiamo una quota di pazienti in soppressione virologica con uno storico di mutazioni selezionate nel passato che ci pongono il problema di fin dove spingerci con la descalation e con la semplificazione, oppure che peso hanno queste vecchie mutazioni» ha fatto presente il Prof. Stefano Bonora, responsabile dell’Ambulatorio Infezione HIV presso l’Ospedale Amedeo di Savoia di Torino. «Un pool di 5 studi condotti nello switch ci indica che, andando a scorporare i pazienti che presentano queste mutazioni genotipiche (9%), con il passaggio a TAF/FTC/BIC tutti mantengono il successo virologico, un dato importante che dà l’idea della barriera genetica del regime».

Quando si parla di efficacia, anche quando una associazione funziona molto bene il clinico si domanda cosa accade quando si verifica un fallimento, quindi in che misura è possibile fidarsi della barriera genetica. Nei dati di tutti i principali studi registrativi, relativi a oltre 3.500 pazienti, in nessuno dei pochi soggetti che hanno avuto un fallimento con BIC in combinazione con TAF si è verificata la selezione di mutazioni di resistenza, confermando l’elevata barriera genetica che è fondamentale per il risparmio di classi.

A livello di pratica clinica sono stati condotti molti studi osservazionali. Una coorte importante è quella del trial BICSTaR, che ha arruolato e trattato 2.000 pazienti con la combinazione TAF/FTC/BIC. L’analisi a 12 mesi di oltre 1.100 soggetti ha evidenziato un’efficacia del 97% nei naïve e del 96% negli ART experienced, che si è confermata in tutti i sottogruppi. Da rilevare che nella pratica clinica reale si ottengono risultati che, in termini di efficacia elevata, sono del tutto simili ai trial clinici.

Tollerabilità di TAF
Tenofovir alafenamide è un profarmaco di tenofovir ed è un’evoluzione del precedente tenofovir disoproxil fumarato (TDF), con il vantaggio di un buon assorbimento e soprattutto di non persistere in circolo ma di concentrarsi all’interno delle cellule. Questo fa sì che il potenziale danno in termini renali e ossei sia decisamente inferiore rispetto al predecessore.

Nello studio registrativo di switch dai PI, i dati di sicurezza a lungo termine (circa 100 settimane) hanno evidenziato una bassa percentuale di discontinuation e di eventi avversi, in particolare a carico di reni e ossa.

I dati a lungo termine (192 settimane) nei naïve hanno mostrato una sostanziale stabilità del filtrato. Una riduzione iniziale è fisiologica ed è legata, come noto, all’effetto inibitorio di bictegravir, come anche di dolutegravir, sulla secrezione tubulare di creatinina che provoca un innalzamento non patologico di circa il 10-15% dei livelli di creatinina sierica. Sono stati rilevati incrementi nulli o contenuti dei marker di proteinuria tubulare che si verificavano invece con TDF.

I dati di sicurezza ossea di TAF rilevati dopo 48 settimane si mantengono anche nel lungo termine nei naïve, con un decremento massimo della densità minerale ossea a livello dell’anca del -1,4%, dopo 102 settimane, una riduzione quasi fisiologica.

A livello del profilo lipidico TAF non comporta un effetto ipolipemizzante come TDF. Negli studi a 144 settimane si sono verificati incrementi significativi del colesterolo totale, LDL e HDL rispetto al braccio trattato con dolutegravir senza TAF, ma sono stati estremamente ridotti in termini di differenza in mg/ml.

Il weight gain è un fenomeno molto complesso che viene analizzato in molti ambiti. È stato associato alla classe degli inibitori dell’integrasi, a dolutegravir e anche a TAF (studio sudafricano ADVANCE). I dati tra studi clinici e osservazionali sono molto discordanti, con incrementi di peso molto più limitati nei primi.

È interessante notare che nello studio di switch da PI il weight change nel tempo, circa 2 kg di incremento di peso nel braccio TAF/FTC/BIC, si manifesta entro il primo anno per poi restare inalterato fino al secondo anno. Da verificare specialmente le conseguenze cliniche, perché questo weight gain non è stato definitivamente associato a una sindrome metabolica o a un rischio diabete anche nella nell’analisi long-term dello studio Advance.

I patient reported outcomes (PROs) stanno diventando sempre più importanti nel valutare l’impatto fisico e mentale di una terapia sulla qualità di vita del paziente o la presenza di sintomi particolarmente fastidiosi. Nello studio di real life BICSTaR in pazienti naïve, nel primo anno di assunzione del farmaco è stato riportato un miglioramento della qualità di vita fisica e mentale, come anche di alcuni sintomi (astenia, cefalea). Anche i soggetti experienced hanno riferito una qualità di vita elevata; avevano PROs elevati già al basale grazie alla terapia precedente, ma dopo lo switch a TAF/FTC/BIC hanno ulteriormente migliorato la qualità di vita.

TAF e forgiveness
La forgiveness è la capacità di una terapia di mantenere un’attività che vada oltre l’intervallo di dosaggio, sia dal punto di vista farmacocinetico (emivita) che farmacodinamico (legame con il target). TAF è molto presente nelle associazioni, non per la sua potenza relativa che non è superiore ad altri farmaci, ma per la più lunga emivita intracellulare (può superare anche le 150 ore), seguito a ruota da FTC.

L’avvento di tenofovir è stato un cambiamento radicale nella storia della terapia antiretrovirale perché in precedenza, dal punto di vista della farmacologia delle associazioni, erano disponibili farmaci con emivita breve. L’utilizzo della combinazione di TAF e FTC, due molecole a emivita molto lunga, consente che anche in caso di salto di una o più dosi la replicazione virale venga comunque tenuta sotto controllo.

Nella gestione dei pazienti la forgiveness è importante in tutti quei casi in cui si devono fronteggiare elevate cariche di virus, quando non si dispone di un test genetico e quindi non c’è la sicurezza che tutti farmaci somministrati al paziente funzionino, in caso di incertezza in merito all’aderenza del paziente o in presenza di vecchie mutazioni delle quali non si conosce il peso attuale.

Uno studio recente su 400 pazienti sottoposti a regimi antiretrovirali a tre farmaci abbastanza moderni, fino a dolutegravir, ha valutato il rapporto tra l’aderenza media del paziente e il periodo più lungo (giorni o ore) trascorso senza assumere la terapia. Ne è emerso che fino a un’aderenza dell’80% non ci sono problemi, mentre al di sotto di questa soglia qualche trattamento comincia a fallire.

Nel caso di regimi di nuova generazione, spesso contenenti TAF, non si verificano problemi fino ad aderenze medie del 65-70% o svariati giorni di mancata assunzione. Altre combinazioni mostrano invece delle pecche: alcuni regimi non tollerano delle aderenze medie così basse mentre altre delle pause terapeutiche così lunghe.

«Poiché è difficile lo studio della forgiveness in vivo, ci sono studi in vitro che cercano di simularla. Nei pozzetti il virus soppresso viene testato con concentrazioni sempre più basse di varie associazioni di farmaci che simulano la mancata assunzione in vivo per uno o più giorni» ha concluso Bonora. «Si osserva che i regimi a due farmaci come dolutegravir/3TC permettono al virus la ripresa della replicazione già quando simulano un salto di due giorni, mentre con i regimi a tre farmaci è necessario non assumere la terapia per tre o quattro giorni perché la replicazione riprenda».