Amiloidosi, pubblicato il Quaderno AmyTour: il documento raccoglie i bisogni riferiti dai pazienti e i temi trattati dai clinici in 3 anni
Il dialogo tra medici e pazienti è una delle tappe fondamentali per conoscere, sensibilizzare e confrontarsi su una malattia. Ed è esattamente ciò che hanno fatto le persone affette da amiloidosi e gli specialisti: a testimoniare ciò è il Quaderno AmyTour, un documento a cura di Osservatorio Malattie Rare e realizzato in collaborazione con fAMY Onlus-Associazione Italiana Amiloidosi Familiare, edito da Rarelab con il contributo non condizionante di Pfizer e Sobi. Non una pubblicazione qualsiasi, bensì un documento che riassume i principali bisogni dei pazienti e i relativi temi trattati dai clinici nel corso dei cinque incontri di AmyTour, un progetto lanciato a partire dal 2018 in alcune città italiane – Roma, Messina, Milano, e successivamente online a causa della pandemia – allo scopo di affrontare, in un contesto informale e con l’aiuto dei massimi esperti, i diversi aspetti che influiscono sulla vita delle persone affette da amiloidosi e di far emergere i loro bisogni insoddisfatti.
Il Quaderno – strutturato in 11 capitoli – ripropone dunque le domande rivolte dai pazienti agli specialisti con le relative risposte: un ulteriore tassello nel mosaico della consapevolezza di questa malattia rara, indispensabile per poter raggiungere l’obiettivo di una diagnosi e un trattamento precoci.
Le amiloidosi sono un gruppo di malattie, ereditarie o acquisite, nelle quali si ha un accumulo di materiale proteico – la cosiddetta sostanza amiloide, spesso in forma di fibrille – all’interno di vari tessuti e organi. Si tratta, in genere, di patologie multisistemiche che compromettono la funzionalità di vari organi vitali (cuore, reni, apparato gastrointestinale, fegato, cute, nervi periferici, occhi) e richiedono quindi un approccio multidisciplinare. Si conoscono più di 30 tipologie di amiloidosi e alcune delle forme più frequenti sono l’amiloidosi AL (da catene leggere immunoglobuliniche), l’amiloidosi AA (infiammatoria/reattiva o secondaria) e l’amiloidosi ATTR (da accumulo di transtiretina).
È evidente, quindi, che per curare l’amiloidosi occorre saperla riconoscere. Come ha sottolineato nel Quaderno la Prof.ssa Anna Mazzeo (Neurologo, UOC Neurologia e Malattie Neuromuscolari – AOU Policlinico G. Martino di Messina), è importante che il clinico sospetti questa patologia, così da arrivare alla diagnosi in una fase quanto più precoce possibile. Effettivamente, negli ultimi anni, la possibilità di condurre un test genetico ha consentito di fare la diagnosi anche quando la malattia non si è ancora manifestata: l’indagine, essendo di facile esecuzione, ha portato alla scoperta di molti più casi rispetto al passato. Ma oltre alla diagnosi, è fondamentale focalizzarsi sulla gestione pratica della patologia, soprattutto nel caso dell’amiloidosi cardiaca. La nutrizione, ad esempio, è importante per prevenire i peggioramenti clinici e per far sì che l’organismo continui a lavorare in uno stato di benessere, così come l’esercizio fisico risulta essere un aspetto essenziale, ha ricordato il Dr. Francesco Cappelli, Cardiologo, Centro di Riferimento Toscano per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi – AOU Careggi, Firenze.
Il counselling genetico nell’amiloidosi è un altro punto da non sottovalutare. Lo ha ribadito anche la Prof.ssa Paola Mandich (Genetista, Dipartimento di Neuroscienze, Riabilitazione, Oftalmologia e Genetica – Università degli Studi di Genova): per quanto riguarda l’amiloidosi familiare, la consulenza genetica non è fatta solo a una persona, ma a una famiglia. Le informazioni date dallo specialista non sono rivolte esclusivamente al paziente, ma anche ai suoi familiari, e gli esperti si pongono come “mediatori” che possono aiutarlo a comunicare il rischio di malattia, il tipo di malattia, e a proporre e gestire il test genetico. Anche per questo un’équipe multidisciplinare può essere di grande aiuto per le persone con amiloidosi, senza dimenticare la figura del neurologo che, come ha evidenziato il Dr. Davide Pareyson (Neurologo, Direttore Unità Malattie Neurodegenerative e Neurometaboliche Rare – Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta, Milano), deve inserirsi e coordinarsi con gli altri specialisti nel contesto, per prendere in carico il soggetto affetto da tutti i punti di vista.
Nel Quaderno AmyTour, poi, viene affrontata la gestione degli effetti gastrointestinali della malattia. Secondo la Dott.ssa Annalisa Tortora (Gastroenterologa, UOC Medicina e Gastroenterologia, Ambulatorio Malattie Rare Gastroenterologiche ed Epatologiche – Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Roma) è presente un duplice problema: da un lato quello della diagnosi (associazione tra sintomatologia e presenza di amiloidosi), dall’altro quello della terapia (indicazione a trattamento dell’amiloidosi e della sintomatologia). Ma non solo l’apparato gastrointestinale è coinvolto dalla malattia, anche gli occhi: è importante tenerli sotto osservazione perché i segni iniziali potrebbero favorire una diagnosi precoce, come ha scritto il Prof. Angelo Maria Minnella, Oftalmologo, UOC Oftalmologia – Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, Roma.
Un percorso di fisioterapia in acqua, se inserito intelligentemente in un approccio multidisciplinare e integrato all’interno di un progetto riabilitativo individuale, può essere un valido strumento per cercare di gestire i sintomi delle amiloidosi, ha messo in evidenza il Dr. Emanuele Ventura, Fisioterapista, proprio perché effettivamente si registra un miglioramento della qualità della vita. A proposito dei trattamenti, invece, la Dott.ssa Laura Obici (Internista, Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche – Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia) ha fatto notare come negli ultimi anni l’avanzamento rapido delle opzioni terapeutiche stia radicalmente cambiando lo scenario della malattia, in modo da offrire a tutti una terapia efficace. Perciò, con l’obiettivo di arrivare al trattamento quanto prima possibile, è essenziale la diagnosi precoce. Resta rilevante la partecipazione dei pazienti agli studi clinici, senza la quale non si sarebbero compiuti passi in avanti.
Obici, poi, si è soffermata a parlare della sua esperienza al Policlinico San Matteo di Pavia nella gestione del paziente con amiloidosi durante la pandemia: una situazione nella quale è stato particolarmente utile ricorrere alla terapia domiciliare e al supporto terapeutico domiciliare. Una situazione simile è stata anche quella gestita dal Prof. Marco Canepa (Cardiologo, Ospedale Policlinico San Martino IRCCS di Genova): tra le varie azioni compiute con i colleghi c’è quella di aver telefonato ai pazienti per raccogliere sintomi e segni che potessero essere utili a capire le loro condizioni cliniche ed eventualmente ottimizzare il trattamento. Da qui la necessità rimarcata da Canepa di attivare al più presto percorsi di telemedicina – come la televisita – calibrati in base alle necessità dei pazienti e alla disponibilità delle risorse.
Il Quaderno “AmyTour, pazienti e medici dialogano sull’amiloidosi” si conclude con le considerazioni di Andrea Vaccari, Presidente di fAMY Onlus, che ha messo in evidenza come l’informazione, diretta sia ai medici che ai pazienti, è veramente essenziale. L’amiloidosi è una malattia complessa ma oggi sempre più conosciuta, anche grazie a diverse campagne informative promosse negli ultimi anni e a iniziative come la recentissima istituzione della Giornata Mondiale dell’Amiloidosi, che si celebra il 26 ottobre, ha ricordato Vaccari. L’informazione è vita e non è solo un modo di dire: è fondamentale per sconfiggere questa malattia.