Pubblicato il libro “Abili, disabili ma tutti diversamente abili” scritto dalla senatrice Paola Binetti: ripercorre le tappe fondamentali del percorso verso l’inclusione
Tanti passi fatti, altrettanti e forse più numerosi quelli da fare ancora. Molte le barriere che sono cominciate a cadere, ma ancora troppi gli ostacoli all’effettiva partecipazione alla vita civile e sociale. È una lettura prospettica quella che la senatrice Paola Binetti, tra le principali artefici dell’approvazione del Testo Unico Malattie Rare, propone nel volume “Abili, disabili, ma tutti diversamente abili. Cosa sta cambiando nell’ottica dei diritti umani”, appena pubblicato per le Edizioni Magi. Una lettura che ripercorre le tappe fondamentali del percorso verso l’inclusione delle persone disabili e delle loro famiglie tutt’altro che concluso e di cui alcuni riconoscimenti legislativi, come l’approvazione della legge 104 del 1992 e della Convenzione ONU del 2006, segnano solo un passaggio. “In tutti i campi quel che resta da fare è ancora moltissimo – chiosa l’autrice nelle prime pagine del volume – e fortunatamente sarà sempre molto, perché l’evoluzione socio-politica del sistema in cui viviamo tollera sempre meno discriminazioni di qualsiasi tipo a qualsiasi livello”.
La prospettiva dei diritti umani e il valore della differenza
Nel dibattito sulla disabilità occorre andare oltre la prospettiva medico/assistenziale, avverte Binetti, abbandonando una volta per tutte la logica paternalistica che troppo spesso, ancora oggi, respinge le persone con disabilità in una “ghettizzazione protettiva”, per lasciare che altri si esprimano in loro vece. In questo quadro la tanto celebrata “differenza” assume un valore all’interno del sistema sociale, ma solo a patto di non trasformarla in un’ulteriore forma di discriminazione. Al tempo stesso, il panorama dei diritti umani si amplia a dismisura fino al punto da comprendere tutti, perfino i “presunti abili”. “Si punta a creare un modello di società inclusiva, che riconosca il valore delle persone in quanto esseri umani, senza dover valutare le persone in base alle loro capacità e al loro rendimento sul piano economico”, precisa Binetti. Perché, come si legge poco più avanti nel corso del volume, prendendo in considerazione l’intero arco di una vita, diventa chiaro che tutti, prima o dopo, possono sperimentare la disabilità sulla propria pelle, basti pensare a una malattia grave o agli effetti della vecchiaia sul corpo e sullo spirito. Per collocare la disabilità nella prospettiva dei diritti umani è necessario, dunque, recuperare il protagonismo delle persone disabili, un protagonismo che contempli anche quel senso di responsabilità indispensabile per poter prendere le decisioni e superare le sfide. Insomma, “non di assistenzialismo o di pietismo hanno bisogno le persone con disabilità, ma di una solida comprensione che le aiuta a prendere atto oltre che dei loro diritti anche dei loro talenti e della relativa responsabilità nello svilupparli”. In questo le storie personali della schermitrice Bebe Vio e dei tanti atleti paralimpici, che hanno scelto di fare sport a livello agonistico, possono essere illuminanti tanto quanto quelle di altri esponenti della società civile che hanno dato il loro contributo alla battaglia per la difesa dei diritti delle persone con disabilità.
Il Capability Approach
A chi intende puntare sui diritti umani e riconoscere il valore delle differenze, senza trasformarle in discriminazioni, viene in soccorso il Capability Approach: un paradigma sempre più diffuso, fa notare l’autrice, che “permetto lo sviluppo e la valorizzazione delle potenzialità di ognuno, senza esporlo a situazioni e condizioni inadeguate, riducendo ostacoli, anche di natura socio-culturale ed eliminando fin dall’inizio possibili barriere architettoniche”. Un approccio alla disabilità, insomma, che trasforma la diversità in opportunità, favorendo il processo di partecipazione delle persone disabili, chiamate a dare contenuto a quei diritti che, altrimenti, potrebbero rimanere confinati su un piano meramente teorico. Eppure, anziché fare perno sulle potenzialità individuali e la centralità delle relazioni, nelle politiche istituzionali e sociali permane una forte impronta assistenziale, riabilitativa e compensativa. “Paradossalmente – commenta Binetti – invece di un Ministero per la Disabilità avremmo bisogno di un Ministero l’inclusione e la coesione sociale”.
La questione femminile e la doppia discriminazione
Uno dei temi più interessanti su cui il volume invita a riflettere è quello delle donne che, nel vasto e multiforme mondo della disabilità, sono doppiamente discriminate, in quanto donne e in quanto disabili. C’è una questione femminile che va avanti da anni “con concrete manifestazioni di oggettiva discriminazione sia pure involontaria” spiega la senatrice: pur essendo al primo posto sia nel ruolo di caregiver familiari sia all’interno delle professioni di cura, le donne vengono totalmente dimenticate quando manifestano esse stesse una disabilità. Le prime critiche, emerse verso la metà degli anni Ottanta, riguardano i movimenti femministi e i Disability Studies, accusati di non aver dato voce alle donne con disabilità: impedendo loro di rendere pubbliche le proprie esperienze, infatti, non si è fatto che accentuarne la condizione di emarginazione sociale, esponendole a un rischio maggiore di subire abusi e violenze.
Disabilità e bioetica
Una riflessione a parte merita l’ultimo capitolo del volume dedicato alle questioni riguardanti il fine vita, compresa la raccolta di firme per il referendum popolare per approvare una legge sull’eutanasia. È un argomento difficile e complesso che, a differenza dei molti altri trattati nel volume, non vede il giudizio unanime dei molti – singoli, gruppi, organizzazioni grandi e piccole – che si battono per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone con disabilità. “È una delle grandi sfide che il nostro tempo ci pone sul piano bioetico e giuridico”, afferma l’autrice che, alcune righe più giù, accusa la narrazione mediatica sul tema colpevole, nella sua opinione, di orientare il sentire dell’opinione pubblica facendo leva sul sentimento di pietà suscitato dalla descrizione dettagliata, e in qualche modo strumentale, delle indicibili sofferenze a cui sarebbero sottoposte alcune persone con gravissima disabilità. Se l’aiuto medico a morire dovrebbe essere riservato unicamente a persone perfettamente capaci di intendere e di volere ma non più in grado di sopportare il dolore, il rischio è quello di scivolare velocemente fino all’eutanasia per gli incapaci. La riflessione non può dunque non considerare la necessità di tutela per le persone gravemente depresse, i malati di Alzheimer e perfino i minori. “La disabilità, drammaticamente rappresentata, è stata la chiave per l’approvazione dell’eutanasia, in quella che molti hanno definito una sorta di eugenetica del XXI secolo. Disabili con diritto a morire perché è stato sottratto loro il diritto a vivere”. Il giudizio dell’autrice è netto, il tema è fortemente divisivo. Tuttavia il valore intrinseco della bioetica è proprio il pluralismo, ben venga dunque un confronto aperto e franco tra quelle parti della società civile impegnate per la tutela dei diritti delle persone con disabilità.