Malattie infiammatorie croniche intestinali: nuovi studi scientifici analizzano il ruolo della nutrizione a supporto della terapia
La prevalenza della malnutrizione nei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI), dagli studi ad oggi disponibili, è molto variabile con stime che vanno dal 16% al 69%. La stima dipende dalla definizione di malnutrizione e dal metodo di screening utilizzato, oltre che dalla popolazione di pazienti presi in esame (pazienti in fase attiva di malattia, pazienti in fase quiescente, pazienti ospedalizzati, pazienti ambulatoriali). In molti contesti il dato è sottostimato e in alcuni casi emerge mancanza di conoscenza del problema malnutrizione, mancata rimborsabilità delle terapie nutrizionali e scarsa attenzione da parte delle Istituzioni.
La nutrizione nella gestione delle MICI
Nella gestione del paziente con MICI serve un’equipe multidisciplinare che si occupi non solo degli aspetti patologici e clinici della malattia ma anche dell’aspetto nutrizionale.
“L’aspetto nutrizionale è uno dei punti da tenere in considerazione durante ogni visita ambulatoriale; sono sempre più frequenti i pazienti che pongono spesso domande in relazione alla dieta e il ruolo che essa occupa nella gestione quotidiana delle MICI. Lo stato nutrizionale è stato recentemente considerato come una delle misure degli outcome di malattia.
La malnutrizione è più frequentemente riscontrata nei pazienti affetti da malattia di Crohn dato il maggiore coinvolgimento del piccolo intestino, nonché di resezioni ed interventi chirurgici; “tuttavia anche nella colite ulcerosa, soprattutto nelle forme gravi che sono ospedalizzate bisogna valutare lo stato nutrizionale” ha sottolineato la prof.ssa Fabiana Castiglione, Responsabile “IBD Unit” Gastroenterologia, AOU “Federico II” di Napoli.
“Il centro di nutrizione clinica dell’Università Federico II ha rafforzato negli ultimi anni la collaborazione con la gastroenterologia anche attraverso protocolli di studio e di ricerca che hanno portato a pubblicazioni su riviste internazionali di grande impatto scientifico” ha evidenziato il prof. Fabrizio Pasanisi, Direttore UOC Medicina Interna e Nutrizione Clinica, AOU “Federico II” di Napoli.
Il punto di vista del gastroenterologo
E’ importante tener presente che la malnutrizione non va considerata soltanto come sotto-nutrizione in quanto il termine è molto più ampio ed include anche deficit di micronutrienti, l’obesità (anche se è rara in questi pazienti) e anche alterazioni del metabolismo di tipo muscolare” ha spiegato la dr.ssa Olga Maria Nardone, Gastroenterologa presso “IBD Unit” Gastroenterologia – AOU “Federico II”.
La malnutrizione ha un forte impatto sugli outcome clinici dei pazienti con MICI; nei pazienti ospedalizzati infatti aumenta il tasso di mortalità di 3.4 volte, il tempo di degenza ospedaliera di 1.9 volte ma anche il tasso di cure a livello domiciliare. L’impatto ovviamente si ripercuote anche a livello economico e quindi sulle spese sanitarie.
Una delle maggiori difficoltà è la mancanza di programmi di screening nutrizionali standardizzati; nella pratica clinica quotidiana ci sono ancora tante domande che non hanno risposta come: qual è la figura professionale che deve occuparsi dell’aspetto nutrizionale? Spesso, per mancanza di tempo, è difficile ambulatorialmente dedicare uno spazio adeguato e molto spesso c’è bisogno di personale specializzato, ma mancano le risorse. Per tale motivo servirebbero dei test rapidi e semplici da incorporare nelle procedure standard in modo da incrementare l’accesso a tutti i pazienti con MICI.
Come fare lo screening
Esistono dei tool da considerare, il più comune è il MUST (Malnutrition Universal Screening Tool) che consta di tre fasi: un primo step in cui viene misurato il body mass index, un secondo step in cui viene misurata la perdita di peso involontaria nei precedenti 3-4 mesi e un terzo step in cui viene considerato l’effetto della malattia sulla perdita di peso. Dalla somma di questi tre score viene fuori il rischio totale di malnutrizione da cui segue il management che va da un minimo che richiede uno standard of care routinario a casa, al rischio medio che richiede l’osservazione e un follow up molto stretto e infine un rischio elevato che richiede trattamenti altamente specializzati.
Recentemente nel 2021 sono stati pubblicati diversi studi che hanno valutato l’’effetto delle diete nelle MICI e da tutte queste esperienze emerge che lo screening nutrizionale è importantissimo nei pazienti affetti da MICI e da qui l’importanza di un linguaggio comune e un team multidisciplinare che collabori per valutare e gestire il paziente implementando l’utilizzo di strumenti che anche i pazienti possono autosomministrarsi per semplificare la pratica clinica quotidiana.
“Questo lavoro di team con il coinvolgimento di dietisti e nutrizionisti da noi è già in atto e vengono eseguite approfondite valutazioni clinico-nutrizionali, anche se non sempre è possibile per tutti i pazienti dato l’impegno richiesto e la mancanza di risorse umane adeguate per una quantità di lavoro così elevata” ha commentato il prof. Pasanisi.
Il punto di vista del pediatra
Nel bambino la malnutrizione è associata a ritardo di crescita soprattutto se si arriva alla diagnosi tardivamente; nel 90% dei casi può coesistere un calo ponderale.
La malnutrizione nel bambino dipende dall’aumento del metabolismo basale causato dalla malattia che sottrae energia, quindi, i primi sintomi sono relativi alla crescita; in parte dipende anche dal malassorbimento, perché purtroppo ci sono molti bambini che vengono sottoposti a resezione intestinale, ma anche da diete restrittive e dai sintomi della malattia perché talvolta in fase attiva il bambino può rifiutare il cibo.
I pediatri sono concordi sul fatto che è necessario un assessment calorico come parte del follow up del paziente con MICI; in età pediatrica si usa un diario dei 3-5 giorni precedenti la visita per valutare l’intake calorico.
Durante la visita vengono presi in considerazione anche lo z-score di peso, altezza e BMI ma soprattutto la valutazione della crescita lineare ogni 6-12 mesi su percentili adeguati per età. In età pediatrica vengono anche utilizzati il plicometro, per valutare la massa grassa, e la bioimpedenziometria che valuta anche la massa magra.
E’ consigliabile in questi casi aumentare l’intake proteico del 25% finché il bambino non avrà recuperato il calo ponderale e di evitare diete restrittive.
Nutrizione enterale
Nei bambini la nutrizione enterale riduce anche il rischio di ricorso precoce a farmaci immunosoppressori e riduce la perdita di densità minerale ossea. Inoltre, chi fa nutrizione enterale esclusiva può rifarla anche altre volte, anche se il 50% dei pazienti dopo la prima volta la rifiutano.
“La nutrizione enterale è importante soprattutto in tre categorie di pazienti: alla diagnosi o nel decorso di malattia quando si necessiti di catch up vaccinale (es. morbillo, varicella…) prima di iniziare una terapia immunosoppressiva; nel paziente affetto da malattia perianale complessa alla diagnosi come ponte tra curettage chirurgico ed inizio anti-TNF; nel paziente candidato a intervento chirurgico in elezione come booster nutrizionale pre-intervento.
Nella pratica clinica il protocollo di nutrizione enterale esclusiva si avvale di una formula polimerica, somministrata per os, con progressivo incremento dei volumi (max in 2-4 giorni); generalmente la fase di trattamento dura tra le 6-8 settimane; ed ad essa segue una fase di reintroduzione con un nuovo pasto ogni 2-3 giorni con progressiva riduzione del volume della formula per un periodo di altre 2-3 settimane” spiega il dott. Massimo Martinelli, Gastroenterologo pediatra DAI Materno Infantile – AOU “Federico II”.
I fattori che influenzano la compliance sono: età superiore ai 10 anni; alti volumi; scarsa palatabilità.
La nutrizione enterale esclusiva migliora lo stato nutrizionale, ha effetti antinfiammatori; riduce la permeabilità intestinale; modifica il microbioma; permette di non esporsi ad alimenti potenzialmente infiammatori ed esclude i tablet food (ha una composizione soprattutto in grassi che potrebbero essere di beneficio).
“Quando viene scelto un regime alimentare per un paziente, sarebbe il caso di tenere conto che viene condizionata anche la dieta di tutta la famiglia; quindi, in termini di restrizioni mentali bisogna tenere conto anche di questo aspetto” sottolinea Salvo Leone, Direttore Generale AMICI onlus.
Circa il 70% dei piccoli pazienti trae beneficio ed efficacia dalla nutrizione enterale esclusiva, bisogna però considerare che alcuni poi abbandonano perché non è certo una nutrizione semplice da portare avanti.
L’impatto della componente psicologica condiziona il transito intestinale, quindi, c’è molto da lavorare anche in termini di comunicazione con il medico che si occupa di MICI per ridurre nausea, diarrea etc spesso legate all’ansia. La comunicazione conta per il 50% nella terapia.
Il punto di vista del nutrizionista clinico
“La malnutrizione deriva da una diminuzione dell’intake calorico causato dalla sintomatologia come dolori addominali, nausea, vomito ma anche uso di farmaci come glucocorticoidi, un aumento delle richieste energetiche legato allo stato infiammatorio, la modificazione della mucosa intestinale e malassorbimento intestinale con sopracrescita batterica” spiega la dr.ssa Lucia Alfonsi, Nutrizionista Responsabile Ambulatorio Nutrizione Artificiale Domiciliare (NAD) – UOC Medicina Interna e Nutrizione Clinica – AOU “Federico II”.
Ovviamente le alterazioni dell’assorbimento vanno a discapito di elementi come zinco, rame, vitamina D (fondamentale per la prevenzione della distruzione della mucosa), ma anche diminuzione di amminoacidi.
“Il counseling dietistico è importante per valutare l’adeguatezza della nutrizione seguita dal paziente e quindi se ci sono deficit, stimando anche il rapporto calorico e valutando eventuali intolleranze come quella al lattosio che spesso si verifica essendoci un problema della mucosa intestinale” aggiunge Alfonsi.
La nutrizione enterale esclusiva è la prima linea di trattamento nei bambini e negli adolescenti per indurre la remissione nella malattia di Crohn in fase attiva mentre nell’adulto non ci sono prove così forti. La nutrizione parenterale va, invece, praticata in tutti quei casi in cui con la nutrizione per os o con la nutrizione enterale non si soddisfa il fabbisogno energetico oppure quando la nutrizione enterale è controindicata (ostruzione intestinale, emorragia intestinale, deiscenze anastomotiche, fistola ad alta gittata in cui questa nutrizione è salvavita).
Quindi, considerato l’elevato rischio di malnutrizione collegato alle malattie infiammatorie croniche intestinali è importante eseguire una valutazione dello stato nutrizionale sistematica, dalla diagnosi alla remissione, al fine di migliorare l’outcome. Nei pazienti malnutriti affetti da MICI la terapia nutrizionale è indispensabile anche per ottimizzare il timing chirurgico oltre che per il recupero funzionale.
I bisogni dei pazienti con MICI
Un’indagine fatta nel 2017 sull’opinione dei pazienti rispetto ai farmaci biosimilari ha evidenziato che il 46% dichiarava che era già stato informato su questi farmaci e solo il 5% rispondeva di aver rifiutato la somministrazione di un biosimilare.
Ogni anno un malato spende per curarsi 700 euro extra LEA e aggiungendo la perdita di produttività si arriva a 2258 euro compresi gli alimenti ai fini medici speciali.
Sempre da indagine AMICI emerge che 1 paziente su 2 non riceve indicazioni circa l’alimentazione dal proprio gastroenterologo e la maggior parte presenta un tipo di dieta occidentale, 2/3 presenta intolleranze verso 1 o più cibi e circa il 43% afferma di usare integratori. Questi ultimi non sono inseriti nei LEA.
In conclusione, va alzato il livello di attenzione su tutte queste problematiche, sull’importanza della valutazione dello stato nutrizionale, sull’efficacia della nutrizione nel rendere migliore la qualità di vita in parallelo alla terapia ma che servono i PDTA specifici, serve inserire nei LEA integratori ed altri alimenti a fini medici speciali. L’associazione dei pazienti insieme ai clinici sono pronti a insistere con le istituzioni per ascoltare queste richieste e rendere migliore la vita di chi convive con le malattie infiammatorie croniche intestinali per migliorarne la qualità della vita e ridurre la disabilità a lungo termine.