Leucemia linfatica cronica ricaduta/refrattaria: nuovi studi confermano i benefici di acalabrutinib a 3 anni
Il trattamento con l’inibitore di BTK di nuova generazione acalabrutinib in monoterapia continua a mantenere la sua efficacia e il suo vantaggio significativo di sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto a due combinazioni standard, nei pazienti con leucemia linfatica cronica già sottoposti a trattamenti precedenti.
La conferma della superiorità di acalabrutinib arriva dai risultati di follow-up a 3 anni dello studio registrativo di fase 3 ASCEND, appena presentati al congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH).
I nuovi dati confermano, inoltre, che acalabrutinib presenta un buon profilo di tollerabilità e prolungando il follow-up non sono emersi segnali nuovi relativamente alla sicurezza del trattamento.
Riduzione del 71% del rischio di morte o progressione con acalabrutinib
«I dati a 3 anni confermano il vantaggio della monoterapia con acalabrutinib rispetto alle combinazioni di confronto, idealisib più rituximab o bendamustina più rituximab» ha dichiarato ai microfoni di PharmaStar il Principal Investigator dello studio, Paolo Ghia, Direttore del Programma di Ricerca Strategica sulla Leucemia Linfatica Cronica, presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e Professore Ordinario di Oncologia Medica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.
«A 3 anni il 63% dei pazienti del braccio acalabrutinib è risultato ancora vivo e libero da progressione, contro solo il 22% nel braccio di controllo» ha spiegato il Professore.
Inoltre, la monoterapia con acalabrutinib ha dimostrato di ridurre del 71% il rischio di progressione della malattia o decesso rispetto ai regimi di confronto.
Acalabrutinib ora disponibile anche in Italia
Gli inibitori della tirosin chinasi di Bruton (BTK) rappresentano un trattamento di scelta per i pazienti con leucemia linfatica cronica recidivata refrattaria.
Quando è stato disegnato lo studio ASCEND, le combinazioni dell’anticorpo anti-CD20 rituximab più l’inibitore della PI3K idelalisib o bendamustina rappresentavano trattamenti standard, ma associati a un certa tossicità.
Acalabrutinib è un inibitore covalente di BTK di nuova generazione, altamente selettivo, ed è un farmaco che si assume per via orale, in modo continuativo, fino alla progressione della malattia.
Proprio grazie ai risultati di un’analisi ad interim dello studio ASCEND acalabrutinib è stato approvato per il trattamento della leucemia linfatica cronica recidivata/refrattaria prima dall’Fda, poi dall’Ema, e pochi giorni prima del congresso ha ottenuto la rimborsabilità da parte dell’Aifa, per cui è ora disponibile anche per i pazienti italiani. Il farmaco è stato approvato anche per i pazienti con leucemia linfatica cronica al primo trattamento, sulla base dei risultati dello studio ELEVATE-TN.
«Anche in Italia avremo finalmente accesso a questo inibitore di BTK di nuova generazione, acalabrutinib, e questo sarà un vantaggio per i nostri pazienti, che – ricordiamo – sono soprattutto anziani con comorbidità, per cui un farmaco che è efficace e meglio tollerato ci permette di controllare più a lungo termine la malattia, con una migliore qualità di vita» ha sottolineato Ghia.
«Ricordo anche che in altri studi acalabrutinib ha dimostrato di essere superiore ad altri inibitori di BTK in termini di minore frequenza di fibrillazione atriale e ipertensione arteriosa, così come di sanguinamenti minori. Tutto questo fa sì che acalabrutinib possa essere meglio gestito nei nostri pazienti» ha aggiunto il Professore.
Lo studio ASCEND
Lo studio ASCEND (NCT02970318) è uno studio multicentrico internazionale, randomizzato, in aperto, nel quale si è valutato acalabrutinib in pazienti con leucemia linfatica cronica già trattati in precedenza, ma ricaduti o risultati refrattari a questi trattamenti.
Il trial ha coinvolto in totale 310 pazienti, assegnati secondo un rapporto 1:1 al trattamento con acalabrutinib in monoterapia (100 mg due volte al giorno) oppure con rituximab (375 mg/m2 per la prima infusione e poi 500 mg/m2 ev, per un totale di 8 o 6 infusioni), in combinazione con idelalisib 150 mg due volte al giorno oppure bendamustina (70 mg/m2) a discrezione del clinico, fino alla progressione della malattia o allo sviluppo di una tossicità non tollerabile.
«Nel braccio di confronto 119 pazienti su 155 sono stati assegnati alla combinazione idelalisib più rituximab, rendendo questo studio, di fatto, un confronto fra un inibitore di BTK e un inibitore di PI3K» ha specificato Ghia.
L’endpoint primario dello studio era la PFS, mentre gli endpoint secondari chiave comprendevano la sopravvivenza globale (OS), il tasso di risposta complessivo (ORR) e la sicurezza.
Da notare che, in caso di progressione della malattia confermata, era consentito il crossover dal braccio di controllo al braccio sperimentale, trattato con acalabrutinib.
Chi poteva partecipare e chi no
Per poter essere inclusi nello studio, i pazienti dovevano avere un’età ≥ 18 anni, una diagnosi di leucemia linfatica cronica come definita dall’International Workshop on Chronic Lymphocytic Leukemia, essere già stati sottoposti a una terapia sistemica precedente per la loro malattia e avere un performance status ECOG non superiore a 2.
Invece, erano esclusi dall’arruolamento i pazienti con linfoma o leucemia del sistema nervoso centrale noti, quelli con malattie cardiovascolari significative e anche quelli che erano stati precedentemente esposti a un inibitore del B-Cell Receptor (BCR) o di Bcl-2. Il trattamento precedente con bendamustina era consentito solo se nello studio la scelta dello sperimentatore per il regime di confronto era rappresentata dalla combinazione rituximab più idelalisib.
Le caratteristiche dei pazienti
«Le caratteristiche dei pazienti arruolati ricalcano quelle che ci aspetteremmo in una popolazione del ‘real world’» ha osservato l’autore che ha presentato i dati, Wojciech Jurczak, direttore del Dipartimento di ematologia del Maria Skłodowska – Curie National Research Institute of Oncology di Cracovia, in Polonia.
I partecipanti avevano un’età mediana di 67 anni e più della metà (il 67,1%) era di sesso maschile. Inoltre, il 48,7% dei pazienti aveva una malattia ‘bulky’ di dimensioni ≥ 5 cm.
Per quanto riguarda i trattamenti precedenti, i partecipanti avevano già effettuato una mediana di due linee di terapia, il 48,1% una linea, il 27,7% due linee, il 13,2% tre linee e l’11,0% quattro o più linee.
Con acalabrutinib, beneficio mantenuto e miglioramento significativo della PFS
«I dati a 3 anni sono rassicuranti, perché, anche con un follow-up più lungo, si mantiene il vantaggio del braccio acalabrutinib rispetto al braccio di confronto» ha rimarcato Ghia.
Nell’analisi primaria, ha ricordato il Professore, «dopo 16 mesi di follow up, l’88% dei pazienti era vivo e libero da progressione» contro il 68% dei controlli. Dunque, un 20% in più nel braccio acalabrutinib.
Proseguendo il follow-up, il vantaggio non solo si è mantenuto, ma è addirittura aumentato. Infatti, la differenza di PFS a 36 mesi fra i due bracci è risultata ora del 42% a favore del braccio trattato con l’inibitore di BTK (63% contro 21%).
Il trattamento con acalabrutinib ha confermato di migliorare in modo significativo la PFS, la cui mediana non è stata raggiunta in questo braccio, mentre è risultata di 16,8 mesi nel braccio di confronto (HR 0,29; IC al 95% 0,21-0,41; P < 0,0001).
Vantaggio di PFS con acalabrutinib anche rispetto alle singole combinazioni e anche nei sottogruppi
Inoltre, quando gli autori hanno confrontato acalabrutinib con ciascuna delle due combinazioni di confronto, presa singolarmente, il beneficio di PFS è risultato simile. La PFS mediana è risultata, infatti, di 16,2 mesi con idelalisib/rituximab (HR 0,31; P < 0,0001) e 18,6 mesi con bendamustina/rituximab (HR 0,25; P < 0,0001).
Un beneficio di PFS è stato osservato anche nei sottogruppi ad alto rischio. Nel sottogruppo di pazienti portatori della delezione 17p trattati con acalabrutinib, la PFS mediana non è stata raggiunta, mentre è risultata di 13,8 mesi in quelli del bracco di confronto (HR 0,13; ; IC al 95% 0,06-0,3; P < 0,0001) e la PFS a 36 mesi è risultata rispettivamente del 66% contro 5%.
Analogamente, nel sottogruppo di pazienti con IGHV non mutate la PFS mediana non è stata raggiunta in quelli trattati con acalabrutinib, mentre è risultata di 16,1 mesi in quelli trattati con idelalisib/rituximab o bendamustina/rituximab (HR 0,3; IC al 95% 0,21-0,42; P < 0,0001) e la PFS a 36 mesi è risultata rispettivamente del 61% contro 17%.
Risultati di OS influenzati dall’alto tasso di cross-over
Per quanto riguarda i risultati di OS, ha specificato Ghia, «finora non si è osservata una differenza statisticamente significativa fra i due bracci, probabilmente perché i pazienti che ricadevano nel braccio di controllo potevano effettuare un cross-over e passare al trattamento con acalabrutinib; questo, ovviamente, tende un po’ a eliminare le differenze fra i due bracci, a vantaggio dei pazienti, anche per motivi etici».
Infatti, ha riferito Jurczak, quasi il 50% dei pazienti del braccio trattato con le due combinazioni è passato al trattamento con acalabrutinib durante lo studio.
L’OS mediana non è ancora stata raggiunta in nessuno dei due bracci, ma Jurczak ha osservato che dopo 2 anni di follow-up si è iniziata a osservare una separazione delle curve di Kaplan-Meier. Inoltre, l’OS a 36 mesi è risultata dell’80% nel braccio acalabrutinib contro 73% nel braccio di confronto.
Confermata l’ottima tollerabilità di acalabrutinib
«I dati di follow-up a 3 anni dello studio ASCEND confermano anche l’ottima tollerabilità di acalabrutinib e che l’inibitore di PI3K, idelalisib, è molto meno tollerato, tant’è vero che la maggior parte dei pazienti in trattamento con questo farmaco ha dovuto interromperlo e la malattia è progredita» ha osservato Ghia.
«Non si sono segnalati eventi avversi nuovi o diversi da quelli attesi, le frequenze degli eventi avversi sono rimaste estremamente basse e, soprattutto, gli eventi avversi sono stati per lo più di grado 1 o 2» ha aggiunto il Professore.
Gli eventi avversi di qualunque grado più comuni con acalabrutinib, verificatisi in almeno il 20% dei pazienti, sono stati neutropenia (23%), cefalea (23%), infezioni del tratto respiratorio superiore (20%) e diarrea (21%); quelli più comuni nei pazienti trattati con idelalisib/rituximab sono stati neutropenia (47%) e diarrea (53%),mentre quelli più comuni con bendamustina/rituximab sono stati affaticamento (23%), neutropenia (34%), nausea (20%) e le reazioni infusionali (23%).
Eventi avversi gravi più frequenti con idelalisib/rituximab
Gli eventi avversi gravi hanno avuto una frequenza del 38% nei pazienti assegnati ad acalabrutinib, 63% in quelli trattati con idelalisib/rituximab e 26% in quelli trattati con bendamustina/rituximab. Gli eventi avversi gravi verificatisi in almeno il 5% dei pazienti in qualsiasi braccio sono stati piressia, polmonite e diarrea.
Jurczak ha osservato che nell’interpretare questi dati bisogna anche tenere conto del fatto che l’esposizione al trattamento è stata considerevolmente più lunga nel braccio acalabrutinib rispetto al braccio di confronto.
Inoltre, i pazienti che hanno dovuto interrompere il trattamento a causa di eventi avversi sono stati il 21% nel caso di acalabrutinib, 65% con la combinazione idelalisib/rituximab e 17% con bendamustina/rituximab.
Bibliografia
W. Jurczak et al. Three-Year Follow-up of the Ascend Trial: Acalabrutinib Vs Rituximab Plus Idelalisib or Bendamustine in Relapsed/Refractory Chronic Lymphocytic Leukemia. ASH 2021; abstract 393 Link