Corsa al Quirinale, si muove il partito di Draghi che ieri ha visto Mattarella e Fico. Ipotesi Cartabia per sostituirlo a Palazzo Chigi
Quando mancano cinque giorni all’inizio delle votazioni per il Colle, la discussione nei partiti ha cambiato baricentro, passando dalle ipotesi sul Quirinale a quelle su Palazzo Chigi. In attesa che Berlusconi sciolga la riserva, si muove il partito che lavora per l’elezione di Mario Draghi al Colle. Ad alimentare le trattative sono le due visite che il premier ha fatto ieri, prima a Sergio Mattarella, poi nel primo pomeriggio, a Montecitorio da Roberto Fico. Colloqui coperti dal più stretto riserbo dei partecipanti, ma evidentemente incentrati sulle prossime elezioni per la presidenza della Repubblica. Di più: in Parlamento, tanti sono convinti che si sia trattato di una sorta di commiato da parte del presidente del Consiglio.
Nella corsa per il Colle, Draghi è in testa, spiegano fonti di maggioranza. Gli altri possibili candidati (Meloni annuncia di aver pronta l’indicazione di un uomo e di una donna, Salvini ribadisce di custodire il nome che metterà d’accordo tutti) sarebbero presumibilmente falcidiati dai veti incrociati. Le candidature al Colle che fioriscono nelle segreterie dei partiti, poi, hanno un effetto collaterale non secondario agli occhi di un Parlamento che ha il più alto numero di neo-parlamentari e che si avvicina pericolosamente alla tagliola di un terzo dei suoi membri con la prossima legislatura: non garantiscono un governo per il dopo.
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Questo, spiegano fonti di partito che lavorano alla candidatura Draghi, è ancora il punto debole anche nella marcia del premier verso il Colle. Ma gli sherpa confidano che sia un inciampo passeggero, se non altro perché un governo delle larghe intese, Draghi lo ha già presieduto. “Se non ci riesce lui, non ci riesce nessuno”, è la convinzione del ‘partito di Draghi’ in Parlamento. La dimostrazione viene proprio dal lavorio sotterraneo sull’esecutivo che verrà che è in corso nei colloqui tra i leader. Un lavorio incessante, anche se non è approdato a soluzioni. La premessa, in ogni caso, è che possa avvenire solo a partire dall’elezione di Draghi al Quirinale.
Nel centrosinistra, spiega la Dire (www.dire.it), a rompere il filo rosso che porta da piazza Colonna al Quirinale è il Movimento 5 Stelle. La riunione di Giuseppe Conte coi maggiorenti 5S si è conclusa con la richiesta a Draghi di restare dov’è. Si tratta di una frattura netta con il Pd, che sostiene la linea opposta. Nei colloqui riservati i Democratici cercano di convincere gli alleati che non è scontata la permanenza dell’ex presidente della Bce a capo del Governo. “Non lo si può obbligare”, ripetono. Per i pentastellati, invece, il punto di caduta può ben essere la richiesta a Mattarella di accettare la rielezione.
La situazione è ben più caotica nel centrodestra. Le speranze residue che Berlusconi possa portare a fine corsa la sua candidatura si infrangono con le parole di Salvini sulla partecipazione al governo che verrà e con la minaccia di Meloni di non votare Draghi al Colle, se questa fosse la premessa per “un governo dell’inciucio” incubato tra le segreterie e palazzo Chigi. Di fatto, il timore degli alleati è che Berlusconi possa tramutarsi a breve nel primo sponsor di Draghi. Una circostanza che basterebbe al premier per ottenere i voti necessari all’elezione, dal quarto scrutinio, quando serviranno solo 505 voti. Chiarito questo passaggio, confidano i draghiani di Camera e Senato, anche la partita sul Governo si metterebbe su un piano inclinato, perché conquisterebbe alla causa molti indecisi.
Le trattative sono ancora allo stato embrionale, ma si ragiona già sul nodo della premiership. I partiti hanno respinto il ‘governo di Alexa’, l’ipotesi cioè che potesse essere Daniele Franco a presiedere l’esecutivo. Circola con insistenza il nome di Marta Cartabia, che oggi ha avuto un colloquio con Draghi. Se lo schema andasse in porto, il nuovo esecutivo vedrebbe la partecipazione di esponenti di primo piano dei partiti. Salvini ha chiesto con insistenza il rimpasto, e in molti nel centrosinistra temono che possa chiedere il Viminale per sé. Se così fosse, giurano, sarebbe preferibile andare a votare.