Leucemia mieloide acuta: il trattamento con azacitidina orale in mantenimento conferma di migliorare la sopravvivenza rispetto al placebo
Il trattamento con azacitidina orale in mantenimento conferma di migliorare la sopravvivenza rispetto al placebo in pazienti con leucemia mieloide acuta in prima remissione dopo la chemioterapia intensiva. Lo evidenziano i dati aggiornati dello studio di fase 3 QUAZAR AML-001 (NCT01757535) presentati al congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH).
Dopo oltre un anno di follow-up aggiuntivo rispetto all’analisi primaria, a un follow-up mediano di 51,7 mesi, la sopravvivenza globale (OS) mediana è risultata di 24,7 mesi (IC al 95% 18,7-30,5) con azacitidina orale contro 14,8 mesi (IC al 95% 11,7-17,6) con il placebo (HR 0,69; IC al 95% 0,56-0,86; P = 0,0008).
Inoltre, in entrambi i bracci, una sopravvivenza a lungo termine, di almeno 3 anni è risultata associata a un rischio citogenetico intermedio e alla presenza di mutazioni di NPM1 alla diagnosi, oltre che alla negatività della malattia minima residua (MRD) dopo la chemioterapia intensiva. In particolare, il raggiungimento dell’MRD-negatività è risultato due volte superiore nei pazienti trattati con azacitidina orale rispetto ai controlli (37% contro 19%).
Beneficio di OS di azacitidina mantenuto nel lungo termine
L’OS mediana è rimasta invariata rispetto al follow-up precedente. Infatti, l’analisi primaria, a un follow-up mediano di 41,2 mesi, aveva mostrato un prolungamento significativo dell’OS nel braccio trattato con l’ipometilante orale rispetto al braccio di controllo, con una mediana di 24,7 mesi (IC al 95%, 18,7-30,5) contro 14,8 mesi (IC al 95%, 11,7-17,6), rispettivamente (P < 0,001).
Tuttavia, ha affermato l’autore che ha presentato i dati, Andrew H. Wei, dell’Alfred Hospital di Melbourne, «le curve di OS del braccio aazacitidina e del braccio placebo ora hanno mostrato una separazione maggiore rispetto all’analisi primaria» e «questi dati aggiornati indicano che il mantenimento con azacitidina orale produce un beneficio di sopravvivenza mantenuto nel lungo termine nei pazienti fragili anziani con leucemia mieloide acuta alla prima remissione».
Con la terapia standard alti tassi di recidiva
Nei pazienti con leucemia mieloide acuta di età fino a 60 anni, con la chemioterapia intensiva di induzione standard si possono ottenere tassi di remissione completa che vanno dal 60 all’80%.
Per i pazienti più anziani, questi tassi cadono a valori compresi tra il 40 e il 60% con una probabilità dell’80% di ricaduta, che in ultima analisi rappresenta il maggiore limite al raggiungimento della sopravvivenza a lungo termine in questi soggetti.
Lo studio QUAZAR AML-001
Nello studio QUAZAR AML-001, un trial internazionale di fase 3, randomizzato, in doppio cieco, gli sperimentatori hanno valutato l’azacitidina orale, un agente ipometilante con un profilo farmacocinetico/farmacodinamico diverso rispetto a quello dell’azacitidina iniettabile, come opzione di mantenimento per i pazienti con diagnosi di leucemia mieloide recente (de novo o secondaria), in remissione dopo una chemioterapia intensiva.
I pazienti eleggibili dovevano avere un’età superiore o uguale a 55 anni, un profilo citogenetico a prognosi intermedia o sfavorevole alla diagnosi, un performance status ECOG ≤3 e dovevano essere alla prima remissione completa dopo la chemioterapia di induzione, con o senza consolidamento, prima dello screening dello studio. L’appartenenza della leucemia mieloide al tipo core-binding-factor e l’eleggibilità del paziente al trapianto di cellule staminali ematopoietiche rappresentavano, invece, fattori di esclusione dall’arruolamento.
Entro 4 mesi dal raggiungimento della prima remissione completa i pazienti sono stati assegnati secondo un rapporto 1:1 al trattamento con azacitidina orale 300 mg (238 pazienti) o placebo (234 pazienti) una volta al giorno per 14 giorni di un ciclo di terapia di 4 settimane.
Le analisi del midollo osseo sono state eseguite ogni 3 mesi per i primi 2 anni, ogni 6 mesi per il terzo anno e poi, in seguito, come indicato clinicamente. Wei ha spiegato che i pazienti con evidenza di blasti precoci, con una conta dei blasti nel midollo osseo tra il 5% e il 15% potevano assumere azacitidina orale o placebo con una schedula estesa a 21 giorni. Tuttavia, coloro in cui la conta dei blasti raggiungeva il 15% dovevano cessare la terapia ed entrare nel follow-up per la valutazione della sopravvivenza.
All’apertura del cieco, avvenuta nel luglio 2019, i pazienti in terapia con azacitidina orale potevano continuare il farmaco, se ne beneficiavano, mentre i controlli interrompevano l’assunzione del placebo e rimanevano in follow-up per la valutazione per la sopravvivenza.
Vantaggio del 7% nell’OS a 5 anni con azacitidina
L’OS a 3 anni è risultata del 37,4% nel braccio sperimentale contro 27,9% nel braccio di controllo, con un miglioramento pari, quindi, al 9,5% con l’agente ipometilante rispetto al placebo.
L’OS a 5 anni, invece, è risultata rispettivamente del 26,2% contro 19,2%, differenza che si traduce in un vantaggio del 7% nel bracco trattato con azacitidina.
Nell’analisi più recente effettuata (settembre 2020) era in vita il 22,7% dei pazienti nel braccio sperimentale contro il 15% dei controlli.
Analisi dell’impatto dei fattori legati al paziente sull’OS
Per capire se l’OS fosse influenzata da fattori legati al paziente, gli sperimentatori hanno confrontato le caratteristiche di base dei pazienti in diversi sottogruppi. Per questa analisi, la sopravvivenza a lungo termine è stata definita come la sopravvivenza ad almeno 3 anni dalla randomizzazione, mentre sono stati definiti pazienti non sopravviventi a lungo termine quelli morti o censurati per l’OS prima dei 3 anni.
La coorte dei lungosopravviventi è risultata costituita da un totale di 140 pazienti, 83 dei quali hanno ricevuto azacitidina orale e 57 il placebo, mentre quella dei sopravvissuti non a lungo termine trattati con azacitidina orale da un totale di 155 pazienti.
Rispetto ai pazienti non lungosopravviventi, quelli lungosopravviventi avevano maggiori probabilità di avere una citogenetica a rischio intermedio e a una mutazione di NPM1 alla diagnosi, oltre che esser MRD-negativi allo screening eseguito dopo la chemioterapia intensiva.
Inoltre, il tasso di conversione della MRD, da positiva a negativa, si è rivelato significativamente più alto nei sopravvissuti a lungo termine rispetto ai pazienti deceduti prima dei 3 anni o censurati (P < 0,0001). Infatti, sebbene i pazienti che hanno raggiunto l’MRD-negatività siano stati, complessivamente, il 37%, nella coorte dei lungo sopravviventi la percentuale è risultata più alta rispetto alla coorte dei sopravviventi non a lungo termine: 76% contro 22%, rispettivamente.
Bibliografia
Wei AH, et al. Long-term overall survival (OS) with oral azacitidine (oral-AZA) in patients with acute myeloid leukemia (AML) in first remission after intensive chemotherapy (IC): updated results from the phase 3 QUAZAR AML-001 trial. Blood. 2021;138(suppl 1):871. Link