Quanto conterà il voto dei franchi tiratori nella corsa al Quirinale? Le ansie dei parlamentari che temono per la fine della legislatura
Vivono all’ombra del voto segreto e si cibano preferibilmente di gossip ansiogeni, che a loro volta alimentano tra i propri simili. Gli animali politici più temuti nelle elezioni per il Colle sono i franchi tiratori. Mai come questa volta i loro morsi possono fare male, anche perché nel Parlamento figlio della crisi dei partiti, di tiratori scelti dal volto coperto ce ne sono tanti e sono determinati.
LEGGI ANCHE: LIVE | Quirinale, seconda giornata di votazioni. Centrodestra propone Moratti, Nordio e Pera
Ma chi è, e cosa pensa il franco tiratore del 2022? Per rispondere bisogna procedere per approssimazioni. Il perfetto franco tiratore è il deputato o senatore che teme per la sua riconferma. Anzi, è quasi sicuro che non ci sarà. Quando il Parlamento taglierà un terzo dei suoi attuali membri, sarà probabilmente messo fuori. È quasi sempre giovane, almeno dal punto di vista politico, se è vero che deputati e senatori che non sedevano in Parlamento nella precedente legislatura sono il 65,91% alla Camera e il 64,26% al Senato. Poco radicato nella vita del proprio partito, è uno dei 274 che dal 2018 ad oggi ha cambiato casacca. Non sarà inserito in un collegio sicuro, non sarà piazzato in un listino bloccato.
Partorito da partiti deboli, a differenza del passato, quando il franco tiratore serviva reconditi fini ideologici o beghe di corrente, questa volta non risponde alle segreterie ma al proprio personale tornaconto: se la legislatura finisse anzitempo, perderebbe tra i 14mila e i 16 mila euro al mese. Da centomila euro in su, spiega in un approfondimento la Dire (www.dire.it). Se il Parlamento non arriverà al 24 settembre, dovrà anche integrare i contributi che gli mancano per la pensione. “Al voto mai” è il personale mantra del franco tiratore. Pierferdinando Casini, recordman del Parlamento con i suoi 38 anni da onorevole, ne è inconsapevolmente l’idolo indiscusso.
Con questo habitus mentale un numero variabile tra i 300 e i 400 parlamentari legge in queste ore le cronache della Quirinal-story. Atterriti, partecipano a riunioni di partito dove apprendono di ultimatum e diktat. L’agenzia Dire ha raccolto le confessioni di alcuni parlamentari che rispondono a questo identikit. Parole sincere, pronunciate dietro l’anonimato. Confessioni a cuore aperto fatte da chi ovviamente premette di riferire altre confessioni inconfessabili, confessate dai colleghi. “Qui è pieno di franchi tiratori, con chi parli, parli…”, si guarda intorno in Transatlantico un giovane parlamentare pugliese. Quanta empatia nei suoi occhi.
La prima preoccupazione del franco tiratore ha un nome e cognome: Mario Draghi. Deve restare a Palazzo Chigi. “Perché se va via bisogna sostituirlo. E come fai? È ‘na parola…”, spiegano. Da queste parti il premier ispira diffidenza, va detto. “Draghi ha raccontato a Salvini che se non lo eleggiamo al Quirinale lui lascia anche Palazzo Chigi. Allora vedi che non c’è da fidarsi?”. È il teorema del “nonno” al servizio delle istituzioni. Secondo questo schema siccome Draghi ha avvertito i partiti che è pronto a un passo indietro dal Governo se non dovesse salire al Colle, “allora significa che se pure lo eleggiamo, quello che fa? Diventa presidente della Repubblica e invece di favorire la nascita del Governo, scioglie le Camere e manda tutti a votare? E mica siamo fessi”. Diffidenza ispira diffidenza.
Ma non è più facile che un governo nasca sotto l’egida di Draghi al Colle? Lui in fondo un governo di larghe intese lo ha già presieduto. “Lo si vedrà con le trattative di queste ore. Ma allora perché Draghi si è messo a telefonare, a fare incontri? Vuol dire che non ha niente in mano“. Il franco tiratore porta una personale contabilità. “Non ci fissiamo sui numeri che servono per l’elezione al Quirinale. È vero che nelle prime tre votazioni ci vogliono i due terzi, cioè 673 voti. E che dalla quarta, ne servono solo 505. Ma Draghi ha bisogno dei numeri che ottenne alla sua prima fiducia al Governo“. Furono 535 sì alla Camera, e 262 al Senato. Una valanga. “Se per essere eletto al Quirinale scende sotto quella soglia può sempre dire che non basta e scioglie le Camere”. Terrore puro. “L’angoscia de le genti che son qua giù…”, per dirla con Dante.