Covid: nei pazienti con leucemia o sindrome mielodisplastica il ritardo delle cure in terapia intensiva aumenta la mortalità
Nei pazienti con leucemia mieloide acuta, leucemia linfatica acuta o sindrome mielodisplastica, la presenza di neutropenia e la malattia oncologica attiva sono fattori di rischio forti e indipendenti di evoluzione della Covid-19 verso una forma grave, che richiede un ricovero in terapia intensiva. Tuttavia, una malattia attiva non rappresenta un rischio più alto di mortalità per Covid-19.
Questi i dati contenuti nel rapporto del Data Hub for Hematology dell’American Society of Hematology Research Collaborative (ASH RC), presentati all’ultimo congresso dell’ASH.
«I due fattori che hanno avuto un impatto sulla mortalità da Covid-19 sono stati una prognosi per la neoplasia primaria inferiore a 6 mesi e un ritardo nel ricovero in unità di terapia intensiva», ha dichiarato autrice principale dello studio Pinkal Desai, del Weill Cornell Medical College e del NewYork-Presbyterian Hospital, nonché nel corso di una conferenza stampa svoltasi durante il convegno annuale dell’ASH.
Fino ad ora, non c’erano dati su i fattori predittivi di infezione grave e gli esiti da Covid-19 nei pazienti con leucemia mieloide acuta, leucemia linfatica acuta e sindrome mielodisplastica. Tuttavia, si riteneva che i pazienti con malattia attiva potessero avere esiti peggiori a causa delle citopenie e della prognosi legate alla stessa patologia oncologica.
Gli sperimentatori hanno condotto un’analisi retrospettiva partendo da dati presenti nel registro dell’ASH RC che contengono le caratteristiche e gli esiti delle diagnosi confermate o presunte di Covid-19 in pazienti adulti con patologie ematologiche in corso o pregresse.
La raccolta dei dati è stata aperta a livello internazionale l’1 aprile 2020, con dati regolarmente aggiornati sul sito web dell’ASH.
Le caratteristiche dei pazienti e gli esiti sono stati analizzati cercando di identificare i fattori che mettono i pazienti a rischio di evoluzione grave o morte per Covid-19.
I fattori di stratificazione includevano lo stato della malattia (iniziale contro recidiva/refrattaria contro remissione) e il tipo di tumore ematologico; le variabili comprendevano età, comorbidità, tipo di tumore ematologico, (leucemie mieloide acuta o linfatica acuta, o sindrome mielodisplastica), conta dei neutrofili e dei linfociti e trattamento attivo al momento della diagnosi di Covid-19.
L’endpoint primario era rappresentato dalla mortalità, mentre la gravità della infezione da Sars-CoV-2, classificata come lieve (nessun ricovero ospedaliero), moderata (ricovero ospedaliero) o grave (ricovero in unità di terapia intensiva), era l’endpoint secondario.
L’analisi ha coinvolto 257 pazienti, di cui 135 con leucemia mieloide acuta (53%), 82 con leucemia linfatica acuta (32%) e 40 con sindrome mielodisplastica (16%), a cui era stata diagnosticata la Covid-19 a partire dal 2019.
Quasi la metà dei pazienti (49%) aveva un’età inferiore a 60 anni, per lo più si trattava di maschi (55%) e la maggior parte (74%) presentava comorbidità importanti.
Nella popolazione presa in esame, al momento della diagnosi di Covid-19 il 46% dei pazienti era in remissione, mentre il 44% era in fase attiva di malattia (per il 10% dei pazienti lo stato della malattia non era noto).
Due terzi dei pazienti aveva ricevuto una terapia sistemica antitumorale durante l’anno precedente e il 72% aveva una prognosi stimata di oltre 6 mesi. Inoltre, per la maggior parte dei pazienti (78%) l’ingresso in terapia intensiva era avvenuto senza ritardi.
La gravità è associata a neutropenia e malattia attiva
Le analisi multivariate hanno mostrato che la malattia attiva e la neutropenia alla diagnosi sono risultate indipendentemente associate alla forma grave della Covid-19 (OR 2,23; IC al 95% 1,18-4,29; P = 0,014 e OR 4,00; IC al 95% 2,24-10,60; P < 0,0001 rispettivamente).
Oltre a ciò, tra i pazienti che avevano sviluppato una forma grave di Covid-19, il 67% era in una condizione di malattia oncologica attiva contro il 33% che era in remissione, mentre tra i pazienti con forme non gravi, aveva una malattia attiva il 43% dei pazienti e il 57% era in remissione.
Tasso di mortalità maggiore per i pazienti con prognosi < 6 mesi o ingresso ritardato in terapia intensiva
Complessivamente, nella popolazione in esame, un paziente su cinque (21%) è deceduto a causa della Covid-19, il che rappresenta un tasso di mortalità superiore a quello valutato per il registro nel suo insieme (17%) o a quanto osservato nella popolazione generale nello stesso periodo.
«Si tratta di una popolazione particolarmente vulnerabile e sospettavamo che potesse andare peggio perché si tratta di pazienti immunocompromessi e, di fatto, la sopravvivenza media per i tumori ematologici acuti, se non trattati, è di 3-6 mesi», ha spiegato la Desai.
Le variabili associate alla mortalità dei pazienti con i tumori del sangue considerati nella ricerca e ospedalizzati con Covid-19 includevano una prognosi pre-infezione stimata per la malattia primaria inferiore a 6 mesi (OR 6,49; IC al 95% 2,12-22,57; P < 0,001) e un ritardo all’ingresso nell’unità di terapia intensiva (OR 4,12; IC al 95% 1,53-11,63; P = 0,005).
Aumento di cinque volte della probabilità di morte se rifiutato il ricovero in terapia intensiva
Gli sperimentatori hanno anche osservato che tra i pazienti che avevano rifiutato il ricovero in terapia intensiva la probabilità di morire è risultata cinque volte superiore rispetto a quella dei pazienti che invece avevano accettato di ricevere le cure in terapia intensiva.
I pazienti con maggiore probabilità di rinunciare alle cure in terapia intensiva sono risultati quelli più anziani, maschi, fumatori o con una malattia attiva o una sopravvivenza stimata pre-covid-19 inferiore a 6 mesi. Inoltre, la rinuncia al ricovero in terapia intensiva è risultata associata a una maggiore mortalità da Covid-19 in tutti i pazienti.
«I nostri dati suggeriscono che questi pazienti possono sopravvivere alla Covid-19 e la loro malattia di base non è associata a una mortalità più alta, e ciò significa che se viene loro fornito un trattamento appropriato e aggressivo, questo può aiutarli a riprendersi. Ma se ci sono decisioni che vengono ritardate dopo il loro ingresso in ospedale (per esempio, se trasferirli in terapia intensiva) questo gioca chiaramente un ruolo» ha dichiarato la Desai.
La ha poi aggiunto che i dati da loro osservati «… evidenziano che le terapie antitumorali non dovrebbero essere sospese, perché per molti di questi pazienti tale scelta potrebbe portare rapidamente la prognosi al di sotto dei 6 mesi». Inoltre, ha ribadito, «anche la vaccinazione contro la Covid-19 è di fondamentale importanza».
Quindi, poiché questa indagine presenta il limite di essere stata condotta prima che i vaccini fossero ampiamente disponibili, sarà necessario raccogliere dati di mortalità anche nei pazienti che hanno ricevuto la vaccinazione.
Bibliografia
P. Desai, et al. Clinical predictors of outcome in adult patients with acute leukemias and myelodysplastic syndrome and COVID-19 infection: report from the American Society of Hematology Research Collaborative (ASH RC) Data Hub. Blood (2021) 138 (Supplement 1): 280. Link