Dolore cronico, una malattia invalidante per un quarto della popolazione italiana adulta: l’importante è trattarlo quanto prima
In Italia, il dolore cronico interessa un paziente su 4 per un periodo di circa 8 anni, e più di un quinto della popolazione ne soffre per più di 20 anni. Il dolore è uno dei motivi principali per cui i pazienti affetti da patologie reumatiche si rivolgono al medico. Chi lo valuta, spesso, è lo specialista reumatologo che, attraverso la diagnosi, individua la terapia più appropriata per la persona che ne soffre. Può avere tante cause che lo originano: infiammatoria, come nel caso di un’artrite, di un’artrosi o di una lombalgia, o neuropatica, come accade nella sindrome del tunnel carpale o per un’ernia discale che comprime una radice nervosa; oppure può avere una genesi mista, come capita, per esempio, quando si associano più problematiche, non solo reumatologiche. E non è ancora tutto, c’è anche il dolore nociplastico, che presenta un’alterazione della nocicezione (i sistemi neurobiologici coinvolti nella percezione del dolore stesso), caratteristico di chi soffre di fibromialgia.
Qualunque natura abbia, però, il dolore compromette tutti i settori della vita di chi lo prova, sotto tutti i punti di vista, sia a livello fisico che psichico. Tant’è che molto spesso, il dolore cronico si accompagna a ansia e depressione, disturbi del sonno e fatica. “Il dolore cronico è un grave problema di salute pubblica, rappresenta una malattia invalidante per il 25% della popolazione italiana adulta”, afferma Daniela Marotto, Presidente del Collegio Reumatologi Italiani (CReI). “È una condizione cronica che compromette la qualità della vita e le relazioni personali di milioni di italiani. I costi sanitari diretti e indiretti stimati per i disturbi cronici del dolore variano tra il 2% e il 3% del PIL in tutta l’Unione Europea. Il dolore è il sintomo verso cui il paziente riveste più aspettative dalle terapie e chiede a noi medici maggiori risposte. Ansia, depressione e dolore sono intimamente interconnessi: la presenza di un dolore persistente diffuso non può che avere ripercussioni sullo stato psicologico del paziente e sulla vita di relazione, lavorativa, sociale. La presenza di ansia e depressione al tempo stesso determina un peggioramento della percezione del sintomo dolore. La cura dell’aspetto psicologico pertanto diviene di primaria importanza nella gestione dello stato doloroso”.
È importante, sottolineano i reumatologi, che non si trascuri il dolore sin dalle sue prime avvisaglie, pensando erroneamente che sia correlato all’avanzare degli anni. “È fondamentale, altrimenti diventa ‘dolore malattia’ e non più dolore correlato al solo problema di base”, rimarca la Dottoressa Laura Bazzichi, dell’Associazione Italiana sindrome Fibromialgica (AISF odv) di Pisa. “Noi reumatologi abbiamo il compito di individuare quanto prima le cause del dolore, facendo attenzione a che il dolore non diventi cronico, indipendentemente dalla rimozione della causa. Se nella popolazione generale l’incidenza della fibromialgia varia dal 2 al 7%, in chi ha una malattia reumatologica come il lupus, l’artrite reumatoide o la sindrome di Sjögren, la concomitanza della fibromialgia può variare dal 20 al 50% dei casi. Questo per sottolineare come il dolore, se non lo si prende in carico adeguatamente, può trasformarsi anche in un altro tipo di dolore”.
Come si gestisce il dolore cronico e con quali farmaci lo si tratta? “L’armamentario farmacologico per la cura del dolore cronico a disposizione dei reumatologi si è notevolmente ampliato nel corso degli ultimi anni. La ricerca in questo ambito sta facendo grandi passi in avanti”, afferma Laura Bazzichi. “Ogni malattia reumatologica ha i suoi farmaci: per esempio, un’artrite può essere trattata con i farmaci biotecnologici o con gli ultimi JAK-inibitori, che hanno un effetto rapido direttamente sul dolore. L’artrosi la possiamo aggredire localmente nelle sedi interessate anche con delle infiltrazioni intrarticolari di vari medicamenti, o con l’aiuto di terapie complementari, fino ad arrivare alla sostituzione protesica. In generale, abbiamo a disposizione anche gli antinfiammatori non steroidei, che vanno usati a dosaggi adeguati e per il più breve tempo possibile per ridurre gli effetti collaterali, e anche i cortisonici, che ci aiutano tantissimo nel trattamento delle malattie reumatologiche, alle giuste dosi e per il minimo tempo efficace. Utili gli adiuvanti, come i gapentinoidi, o i farmaci che alzano la soglia del dolore come la duloxetina, il tampendatolo e gli oppioidi deboli come i tramadolo. Non bisogna trascurare l’importanza di un corretto stile di vita, attraverso una corretta alimentazione associata a movimento fisico appropriato alle proprie necessità, e una adeguata igiene del sonno”.
E gli oppioidi? “Prima di tutto – specifica Laura Bazzichi – va detto che per la cura del dolore cronico di tipo non oncologico, gli oppioidi non sono il trattamento principe. Sono tanti gli effetti collaterali, non ultima la dipendenza. Possono, però, essere utilizzati per un breve periodo, spesso in associazione con il paracetamolo. Ci sono preparati anche sotto forma di cerotto light, che hanno meno effetti collaterali. Vanno però sempre somministrati e sospesi gradualmente, e sotto la guida del reumatologo che li prescrive. E se si pensa che una persona affetta da dolore cronico ne possa diventare dipendente, gli si può somministrare un test e valutare se è il caso di prescrivergli. I farmaci per il dolore cronico sono tanti e tra questi c’è anche la cannabis terapeutica e, non ultimo e da sempre utile, il paracetamolo”.
C’è anche chi fa abuso di antidolorifici e antiinfiammatori, senza avvisare il medico, nel momento in cui il dolore si fa sentire di più. “Quando si prende in carico un paziente reumatologico, bisogna costruire insieme a lui una strategia per la gestione del dolore. Il fai da te è sempre controproducente, ma se si prendono delle iniziative di testa propria c’è un motivo. Serve una migliore educazione al dolore, sia per i pazienti che per i medici, e un maggior dialogo: a volte migliorare l’ascolto e dedicare maggiore attenzione alla comunicazione con i pazienti crea il rapporto fiduciario medico paziente che migliora la consapevolezza del dolore e l’aderenza terapeutica”, conclude la Dottoressa Bazzichi.
FONTE: OSSERVATORIO MALATTIE RARE