Dall’Etna emissioni eccezionali di CO2, molto superiori a quelle di altri vulcani attivi, provenienti da serbatoi profondi
L’Etna emette quantità di CO2 molto superiori a quelle di altri vulcani attivi e ciò si deve a serbatoi di carbonio profondi presenti sotto l’Italia meridionale, che liberano anidride carbonica a causa del movimento della placca ionica. È la scoperta di un team di geologi delle Università di Firenze e di Colonia e dell’Istituto di geologia ambientale e geoingegneria (Igag)del Cnr, che ha utilizzato un sistema di analisi innovativo per ricostruire i processi alla base delle emissioni di CO2 di origine vulcanica. Lo documenta lo studio pubblicato sulla rivista Geology.
“Nel corso dei tempi geologici, le emissioni vulcaniche hanno rappresentato una delle principali cause delle variazioni della CO2 atmosferica”, racconta il coordinatore dello studio Riccardo Avanzinelli, associato di Petrologia e Petrografia dell’Ateneo fiorentino e associato al Cnr-Igg, “ma la quantità di gas che si libera durante le eruzioni non è direttamente collegata a quella del magma. L’Etna è forse l’esempio più eclatante: emette flussi di anidride carbonica che rappresentano il 10% (9.000 tonnellate al giorno) di tutta la CO2 di origine vulcanica, tre volte quella del Kilauea delle Hawaii, nonostante quest’ultimo erutti quattro volte più magma”.
Per rintracciare la fonte di tali emissioni i ricercatori hanno studiato il rapporto tra due elementi rari, il Niobio (Nb) e il Tantalio (Ta), rapporto che è generalmente costante nelle rocce vulcaniche e viene modificato solo in pochi processi geologici, come le infiltrazioni di fluidi arricchiti in carbonio presenti nel mantello litosferico sottostante la crosta terrestre.
“Abbiamo analizzato in particolare la composizione della lava dell’Etna e del Vulture, vulcano inattivo da tempo (attivo tra 130 e 800 mila anni fa), perché il magma durante la sua risalita ‘registra’ quel che succede nel mantello terrestre e fornisce informazioni sui processi geodinamici in atto e su quelli remoti”, spiega Alessandro Bragagni, primo firmatario dell’articolo e assegnista di ricerca Unifi. “Grazie agli strumenti ad altissima precisione adottati, abbiamo rilevato in entrambi i casi un rapporto Nb/Ta anomalo”.
Tale rapporto rivela la presenza di porzioni di mantello arricchite in carbonio a circa 50 km di profondità al di sotto dell’Italia meridionale. Il particolare assetto e la geodinamica delle placche in questa regione favoriscono il rilascio e la risalita di anidride carbonica nei due vulcani.
“Simili serbatoi di carbonio potrebbero essere nascosti sotto altri vulcani, e il nostro approccio darà un contributo alla comprensione del loro ruolo nel bilancio dell’anidride carbonica di origine naturale, sia nel passato che nel presente, e nei cambiamenti climatici del nostro pianeta”, conclude Avanzinelli.
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