Le donne sono il 60% dei laureati in Italia, ma svantaggiate sul lavoro e guadagnano meno secondo i risultati del primo ‘Rapporto tematico di genere’ di AlmaLaurea
Le donne costituiscono quasi il 60% dei laureati in Italia, e registrano performance migliori sia in termini di regolarità negli studi sia di voto di laurea (concludono gli studi in corso il 60,2% delle donne, rispetto al 55,7% degli uomini; il voto medio di laurea è, rispettivamente, pari a 103,9 e 102,1/110). Eppure gli uomini sono più valorizzati sul mercato del lavoro, guadagnano il 20% in più e occupano professioni di più alto livello. La pandemia, poi, ha ulteriormente ampliato i differenziali di genere, soprattutto in termini di tasso di occupazione. E a cinque anni dal titolo, in presenza di figli, il divario di genere si amplifica ulteriormente. Sono i risultati emersi dal primo ‘Rapporto tematico di genere’ realizzato dal Consorzio interuniversitario AlmaLaurea, e presentato questa mattina nella Sala dell’VIII Centenario Università di Bologna alla presenza della ministra dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa.
Ad aprire i lavori, Giovanni Molari, Rettore dell’Università di Bologna, e Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea. La presentazione del Rapporto è stata moderata da Cristina Demaria, Delegata all’Equità, Inclusione e Diversità, Università di Bologna, e condotta da Marina Timoteo, Università di Bologna, direttrice di AlmaLaurea, insieme con Aurelia Sole, prorettrice alle Pari Opportunità e alle Tematiche di Genere, Università degli Studi della Basilicata, e Marcella Gargano, direttrice generale delle istituzioni della formazione superiore del Mur.
Il Rapporto dal titolo ‘Laureate e laureati: scelte, esperienze e realizzazioni professionali’ è stato realizzato attingendo alle indagini che ogni anno forniscono dati sul profilo e sulla condizione occupazionale dei laureati: per le indagini più recenti, 291mila laureati del 2020, e 655mila laureati del 2019, 2017 e 2015, intervistati a uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo. Il Rapporto evidenzia che le donne dimostrano migliori performance pre-universitarie (voto medio di diploma 82,5/100, mentre è 80,2/100 per gli uomini); e provengono più di frequente da percorsi liceali (l’80,7%, rispetto al 68,0% degli uomini). Prendono parte più degli uomini alle esperienze di tirocinio curriculare (61,4% rispetto al 52,1%), ma anche alle esperienze di lavoro durante gli studi (66,0% rispetto al 64,0%) e a quelle di studio all’estero (11,6%, rispetto al 10,9% degli uomini). Ma il tasso di occupazione registra percentuali a vantaggio degli uomini: tra i laureati di primo livello a cinque anni dal titolo pari all’86,0% per le donne e al 92,4% per gli uomini; tra quelli di secondo livello rispettivamente pari a 85,2% e 91,2%. Gli uomini risultano avvantaggiati anche rispetto ad alcune caratteristiche del lavoro svolto: maggiore lavoro autonomo (a cinque anni dal titolo 7,5% per le donne e 11,6% per gli uomini tra i laureati di primo livello; 20,2% e 21,8%, rispettivamente, tra quelli di secondo livello) o alle dipendenze con un contratto a tempo indeterminato (64,5% per le donne e 67,4% per gli uomini tra i laureati di primo livello; 52,2% e 59,1% tra quelli di secondo livello). Per le donne, invece, più contratti non standard, principalmente a tempo determinato (17,0% per le donne e 12,2% per gli uomini tra i laureati di primo livello; 18,9% e 11,5% tra quelli di secondo livello) anche perché occupate, più degli uomini, nel settore pubblico (35,8% e 28,4% tra i laureati di primo livello; 24,4% e 16,5% tra quelli di secondo livello). Settore in cui, a tal proposito, i tempi di stabilizzazione contrattuale sono notoriamente più lunghi in molteplici ambiti, tra cui, ad esempio, quello – tipicamente femminile – dell’insegnamento.
IN TERMINI RETRIBUTIVI SI CONFERMA IL VANTAGGIO A FAVORE DEGLI UOMINI
A cinque anni dalla laurea, gli uomini percepiscono, in media, circa il 20% in più: tra i laureati di primo livello 1.374 euro per le donne e 1.651 euro per gli uomini; tra quelli di secondo livello rispettivamente 1.438 euro e 1.713 euro. L’analisi della professione svolta a cinque anni dalla laurea mostra che sono soprattutto gli uomini a occupare professioni di alto livello, ossia di tipo imprenditoriale o dirigenziale (2,2% tra le donne e 3,9% tra gli uomini) e a elevata specializzazione, per cui è richiesta almeno una laurea di secondo livello (61,7% tra le donne e 63,6% tra gli uomini); inoltre, i dati analizzati evidenziano anche alcuni meccanismi di ereditarietà della professione tra genitori e figli, in particolare maschi.
Nel 2020 le laureate ricercano, più frequentemente degli uomini, la stabilità del posto di lavoro (+11 punti percentuali), l’utilità sociale (+10,4 punti percentuali), la coerenza con gli studi (+9,4 punti percentuali) e l’indipendenza o autonomia nel lavoro (+8,9 punti percentuali). Gli uomini, invece, ricercano maggiormente la possibilità di guadagno e il prestigio ricevuto dal lavoro, sebbene con differenze più contenute rispetto alle donne. Ma l’analisi ha rilevato disuguaglianze di genere anche quando laureate e laureati sono accumunati dalle medesime aspettative lavorative.
Le donne in prossimità della laurea che ricercavano la stabilità, a cinque anni dal titolo presentano un minor tasso di occupazione e una minor quota di occupate alle dipendenze a tempo indeterminato. In sostanza, le differenze di genere sono più contenute negli scenari occupazionali di livello più modesto. Tra i laureati che, alla vigilia del titolo, ricercavano principalmente guadagno e carriera, il differenziale di genere, a sfavore delle donne, aumenta.
La migrazione per motivi di studio dei meridionali è più intensa per gli uomini rispetto alle donne(23,6%, +2,9 punti percentuali rispetto al 20,7% delle donne), anche se negli anni più recenti il divario di genere è andato via via attenuandosi. Il livello di istruzione della famiglia di origine condiziona tale fenomeno: si spostano di più i laureati meridionali che provengono da contesti culturalmente più favoriti. Ma, se nelle famiglie più favorite non si rilevano differenze di genere nelle scelte di mobilità, nei contesti meno favoriti sono soprattutto gli uomini a spostarsi (+3,7 punti percentuali). Anche la mobilità per lavoro è una caratteristica peculiare dei residenti nel Mezzogiorno e degli uomini. Il fenomeno riguarda in particolare lo spostamento dal Mezzogiorno verso il Nord o, a prescindere dalla residenza, verso l’estero.
A cinque anni dal titolo, tra i residenti nel Mezzogiorno, si sposta il 49,8% degli occupati uomini rispetto al 43,0% delle donne (+6,8 punti percentuali). Nelle aree del Centro e, soprattutto, in quelle del Nord la mobilità per lavoro è più contenuta, seppur più frequente tra gli uomini. La mobilità lavorativa verso l’estero è relativamente più diffusa tra gli uomini (5,8% rispetto al 3,8% delle donne). A prescindere dalla destinazione, la mobilità lavorativa si associa a livelli retributivi più elevati. In particolare, i laureati residenti nel Mezzogiorno che si sono trasferiti al Nord percepiscono una retribuzione mensile netta più elevata, non solo di coloro che risiedono e lavorano nel Meridione (+18,3%), ma anche di quanti risiedono e lavorano al Nord (+2,3%). Allo stesso tempo, alla mobilità lavorativa si associano differenziali di genere più contenuti, pur sempre a favore della componente maschile. Infatti, tra i residenti nel Mezzogiorno che lavorano al Nord il differenziale retributivo tra uomini e donne è pari al 14,8%, mentre sale per chi lavora nella propria ripartizione geografica di residenza: 21,5% tra i laureati del Mezzogiorno e 16,7% tra quelli del Nord.
Tra i laureati dei percorsi STEM si evidenzia una maggiore mobilità per motivi di studio e di lavoro. Resta confermato che, anche all’interno di questi percorsi, le donne tendono a spostarsi meno frequentemente rispetto agli uomini. Concentrandosi in particolare sulle retribuzioni, i differenziali di genere, pur sempre a favore degli uomini, risultano più contenuti tra i laureati Stem e si riducono ulteriormente tra coloro che decidono di spostarsi per motivi lavorativi.
L’EFFETTO DELLA PANDEMIA NELLE RICHIESTE DI CV DA PARTE DELLE IMPRESE
Per quanto riguarda le richieste di CV da parte delle imprese, distintamente per trimestre, è evidente l’effetto della pandemia sulla contrazione delle richieste, intercettata a partire dalla prima metà del 2020, quella del lockdown. In questa fase, il calo delle richieste di CV ha coinvolto soprattutto le ricerche di profili professionali associati prevalentemente a uomini. Tale calo ha determinato, in corrispondenza del secondo trimestre del 2020, l’avvicinamento della curva maschile a quella femminile (le richieste di CV sono state, rispettivamente, poco meno di 71mila per i laureati e 67mila per le laureate). Nei trimestri successivi, in corrispondenza della progressiva riapertura delle attività economiche, si rileva un tendenziale aumento delle richieste di CV, che ha riguardato in particolar modo proprio i profili associati agli uomini. L’esito di tale tendenza è il riallontanamento, verso livelli più elevati, della curva maschile da quella femminile (nel quarto trimestre 2021 le richieste di CV sono state quasi 193mila per i laureati e quasi 152mila per le laureate). Sostanzialmente, dunque, la ripresa del mercato del lavoro pare aver coinvolto in particolare i profili professionali associati agli uomini.