Cesare Cremonini torna dopo 5 anni con “La ragazza del futuro”: fuori il disco cinematografico, orchestrale e colmo di sentimenti, sogni e visioni
Un album nel suo significato più classico e canonico, di canzoni che riescono a parlare una lingua universale: quella dei nostri “sentimenti smarriti”. Cesare Cremoni è tornato: è su tutte le piattaforme “La ragazza del futuro”, il suo nuovo e atteso disco. Sono passati ben 5 anni dall’ultimo “Possibili scenari” e l’hype dei fan non era poco per questo progetto anticipato dalla title track e da “Colibrì”. L’attesa, però, può dirsi ripagata.
Quattordici, spiega la Dire Giovani (www.diregiovani.it), le tracce in tutto, nate nel presente ma con uno sguardo comune rivolto verso al futuro. Cremonini così ci consegna uno scrigno di pezzi colmi di sentimenti, prospettive, sogni, desideri, visioni profetiche e speranze. Un album senza compromessi e profondamente sincero. Suonato da molti musicisti. Cantato da una voce sola. Ruvido ed elegante come le visioni che lo hanno ispirato.
Un disco che è quasi un film
Un disco decisamente cinematografico, un lungo piano sequenza di immagini che si inseguono per tutta la sua durata: ballad sinfoniche e imponenti come “MoonWalk” e “Stand Up Comedy” raccontano l’intimità delle relazioni familiari e quotidiane immergendosi nei dialoghi dei protagonisti, come in un film la cui colonna sonora orchestrale è stata registrata negli studi Abbey Road di Londra.
La leggerezza acustica di canzoni come “La Camicia” e “Jeky” riportano ai Beatles di “Martha My Dear” e sembrano muoversi nelle camere da letto con la morbidezza di una cinepresa. E poi ancora il ritmo funky della title track “La ragazza del futuro” – che vede alla batteria uno straordinario Steve Jordan (attuale batterista dei Rolling Stones) muoversi su un riff di basso trascinante – e la sensualità elettronica di “Chimica” e “Psyco” (mixate dall’ingegnere del suono Chris-Lord-Alge, pluripremiato ai Grammy Award per il lavoro con Green Day, Muse e molti altri) che liberano i suoni primordiali dei synth analogici e si prennunciano perfetti inni da stadio.
Si riconosce il tocco di Nick Ingman negli arrangiamenti di archi in “Colibrì” e di Davide Rossi nella leggerezza elegante e raffinata di “La Fine del Mondo”. Così come in “Chiamala felicità”, la canzone che scorre insieme ai titoli di coda sul finale dell’album. Una ballata minimale in cui gli archi (sempre di Davide Rossi) si intersecano con un testo molto sentito e personale.
Mentre i quattro potenti strumentali che legano alcune tracce sono stati composti da Cesare insieme a Davide Rossi.