Leucemia linfatica cronica: nuovi dati su venetoclax


Leucemia linfatica cronica: in prima linea terapia di durata fissa a base di venetoclax meglio della chemioimmunoterapia nei pazienti “fit”

leucemia linfatica venetoclax obinutuzumab

Nei pazienti con leucemia linfatica cronica ‘fit’, cioè in buone condizioni generali, due terapie a base di venetoclax di durata fissa, la combinazione obinutuzumab-venetoclax (GVe) e la combinazione GVe più ibrutinib (GIVe) hanno dimostrato di produrre tassi superiori di malattia minima residua non rilevabile (uMRD) rispetto alla chemioimmunoterapia. Sono i risultati dello studio di fase 3 GAIA (CLL13) presentati durante il 63° congresso dell’American Society of Hematology (ASH).

A 15 mesi, il tasso di uMRD (valutata con una sensibilità < 10-4) nel sangue periferico è risultato, infatti, dell’86,5% (IC al 97,5% 80,6%-91,1%) con la doppietta GVe e del 92,2% (IC al 97,5% 87,3%-95,7%) con la tripletta GIVe, a fronte del 52% (IC al 97,5% 44,4%-59,5%) con la chemioimmunoterapia (P < 0,0001 per entrambi i confronti).

La combinazione di rituximab e venetoclax (RV), invece, non ha migliorato in modo statisticamente significativo i tassi di uMRD rispetto alla chemioimmunoterapia: 57% (IC al 97,5% 49,5%-64,2%) contro 52% (P = 0,317).

«Il primo endpoint primario, cioè il tasso di uMRD nel sangue periferico a 15 mesi, è stato centrato, dal momento che lo studio ha mostrato un tasso di uMRD significativamente superiore con la combinazione GVe nei pazienti ‘fit’, confermando o addirittura superando i risultati ottenuti nello studio CLL14 nei pazienti ‘unfit’. Con la tripletta si sono raggiunti tassi ancora più elevati di uMRD», ha affermato l’autrice principale dello studio Barbara Eichhorst, dell’ospedale universitario di Colonia, presentando i dati.

«Lo studio GAIA è stato disegnato essenzialmente per valutare i profili ed efficacia e sicurezza di diverse combinazioni di agenti target rispetto alla chemioimmunoterapia che ancora è in parte uno standard of care, per lo meno nei pazienti giovani che non presentano fattori di rischio, quali, per esempio la delezione 17p» ha detto ai microfoni di PharmaStar Paolo Sportoletti, Professore Associato della Sezione di Ematologia dell’Università degli Studi di Perugia. «Il messaggio principale che emerge dallo studio è che regimi di durata fissa che combinano un inibitore di Bcl-2 come venetoclax e anticorpi anti-CD20 come obinutuzumab, con o senza inibitori di BTK, rappresentano un approccio di grande efficacia nella terapia di prima linea della leucemia linfatica cronica nel paziente giovane, e ciò si traduce in una spinta verso il cambiamento del paradigma terapeutico per questa popolazione, che in futuro che potrebbe accedere a terapie mirate di durata fissa, sicuramente meno tossiche della chemioimmunoterapia».

Efficacia della terapia a tempo con venetoclax già dimostrata nei pazienti ‘unfit’
Le terapie a base di venetoclax di durata fissa e limitata nel tempo si sono già dimostrate altamente efficaci nei pazienti con leucemia linfatica cronica ‘unfit’, mostrando tassi elevati di uMRD, un endpoint che risulta strettamente associato alla sopravvivenza libera da progressione (PFS) sia nel setting della prima linea sia in quello della ricaduta.

Infatti, nello studio di fase 3 CLL14 la PFS mediana non è stata raggiunta nel braccio trattato con la combinazione di venetoclax e obinutuzumab, a fronte di una mediana di 36,4 mesi nel braccio assegnato a clorambucile e obinutuzumab, con una riduzione del 67% del rischio di progressione o decesso (HR 0,33; IC al 95% 0,25-0,45 ; P < 0,0001) e tassi di PFS a 4 anni raddoppiati nel braccio trattato con venetoclax: rispettivamente 74% contro 35,4%. Sulla base di questi dati, la combinazione venetoclax-obinutuzumab è stata approvata come terapia di prima linea per i pazienti ‘unfit’, e dovrebbe essere disponibile a breve anche in Italia.

«Tuttavia, finora i dati su un approccio terapeutico di durata fissa in una popolazione di pazienti ‘fit’ erano limitati. Da qui la necessità di studi come lo studio GAIA CLL13» ha spiegato Sportoletti.

Lo studio GAIA
Nello studio GAIA (NCT02950051), gli autori hanno quindi voluto valutare se tre combinazioni a base di venetoclax e un anticorpo anti-CD20, di durata fissa, utilizzate in prima linea, fossero superiori alla chemioimmunoterapia in una popolazione di pazienti ‘fit’, con un punteggio della Cumulative Incidence Rating Scale (CIRS) non superiore a 6 e non portatori di mutazioni di TP53 o della delezione 17p.

GAIA è un trial multicentrico internazionale, randomizzato, in aperto, nel quale 926 pazienti sono stati assegnati secondo un rapporto 1:1:1:1 a quattro bracci: uno trattato con la chemioimmunoterapia (FCR in 150 pazienti e BR in 79) e gli altri tre con le combinazioni a base di venetoclax RVe (237 pazienti), GVe (229 pazienti) e GIVe (231 pazienti). Il regime chemioimmunoterapico è stato scelto in base all’età dei pazienti: FCR in quelli fino a 65 anni e BR in quelli sopra i 65. Tutti i regimi di trattamento sono stati somministrati in cicli di 28 giorni e i pazienti assegnati al regime GIVe potevano continuare il trattamento con ibrutinib per un massimo di 36 cicli, se dopo 12 cicli avevano ancora una MRD rilevabile. L’uMRD è stata valutata con una sensibilità pari a 10-4 mediante citometria a flusso a 4 colori.

I partecipanti, che dovevano avere una clearance della creatinina normale, sono stati stratificati in base all’età, allo stadio della malattia e alla provenienza geografica.

I due end pointprimari dello studio erano l’uMRD a 15 mesi nel sangue periferico con GVe rispetto alla chemioimmunoterapia e la PFS con la tripletta GIVe rispetto alla chemioimmunoterapia. Al congresso, tuttavia, la Eichhorst ha detto che i dati di PFS non erano ancora abbastanza maturi per essere analizzati, per via del basso numero di eventi, e che probabilmente saranno presentati entro il primo trimestre di quest’anno.

Le caratteristiche dei pazienti
Nella popolazione intention-to-treat (ITT) (926 pazienti) l’età mediana era di 61 anni (range: 27-84), il punteggio CIRS mediano era pari a 2 (range: 0-7) e il 26,6% dei pazienti era in stadio A della classificazione di Binet, il 37,8% in stadio B e il 35,6% in stadio C.

Riguardo ai fattori di rischio genetici, il 17,5% dei pazienti era portatore della delezione 11q, il 16,2% della trisomia 12 e il 44,6% della delezione 13q, mentre il 21,7% dei pazienti non presentava alcuna anomalia citogenetica. Inoltre, la maggior parte dei pazienti (il 56%) aveva IGHV non mutate, il 41,1% IGHV mutate e il 2,9% non era valutabile.

«Complessivamente, tutti i bracci trattati con venetoclax hanno mostrato percentuali elevate di completamento della terapia» ha detto la Eichhorst. A un follow-up mediano di 27,9 mesi (range: 0-49), i pazienti che avevano completato almeno 12 cicli di trattamento sono risultati il 93,9 % nel braccio trattato con la doppietta GVe, l’85,3% in quello trattato con la tripletta GIVe e il 92,4% in quello trattato con RVe, a fronte dell’81,5% nel braccio trattato con la chemioimmunoterapia. I motivi per cui si è resa necessaria l’interruzione del trattamento sono stati eventi avversi o malattie intercorrenti, la progressione della leucemia o altri motivi. I pazienti che hanno richiesto riduzioni dell’intensità della dose, invece, sono stati rispettivamente il 21,5%, 36,5%, 19,3% e 14,8%.

Tassi di uMRD e remissioni complete superiori con i regimi a base di venetoclax
Quando gli autori hanno confrontato i tassi di uMRD a 15 mesi nel sangue periferico rispetto al midollo osseo al momento del restaging finale hanno trovato valori abbastanza simili nelle due sedi: rispettivamente, 86,5% e 72,5% nel braccio GVe, 92,2 e 77,9% nel braccio GIVe, 57% e 43% nel braccio RVe, e 52% e 37,1% nel braccio trattato con la chemioimmunoterapia,

I tassi di risposta complessiva a 15 mesi sono risultati molto alti in tutti i bracci di trattamento, ha riferito la Eichhorst ; tuttavia, i tassi di remissione completa con recupero midollare incompleto sono risultati più alti nei bracci trattati con venetoclax, specie quelli in combinazione con obinutuzumab: 56,8% con Gve, 61,9% con GIVe, 49,4% con RV, a fronte del 31% con la chemioimmunoterapia. I tassi di risposta completa clinica sono risultati rispettivamente del 10,5%, 10%, 11,4% e 30,1%, mentre quelli di risposta parziale rispettivamente del 28,8%, 22,5%, 32,5% e 19,7%.

Buon profilo di sicurezza in tutti i bracci
In questa popolazione di pazienti ‘fit’, ha detto l’autrice, tutti i bracci hanno mostrato un buon profilo di sicurezza, senza differenze significative fra gli uni e gli altri.

«Seppure preliminari, i dati dello studio GAIA, in aggiunta a quelli già noti da altri studi, mostrano che le combinazioni di agenti target sono ben tollerate buona e non si osservano effetti additivi della tossicità di un agente rispetto all’altro» ha aggiunto Sportoletti.

Eventi avversi di qualsiasi grado sono stati riportati nel 98,7% dei pazienti sia nel braccio trattato con GVe sia in quello trattato con GIVe, nel 96,6% dei pazienti trattati con RVe e nel 98,6% dei pazienti assegnati alla chemioimmunoterapia.

Eventi avversi di grado 3 sono stati osservati rispettivamente nel 49,6%, 46,3%, 46,8% e 37,5% dei pazienti, mentre quelli di grado 4 hanno avuto un’incidenza  rispettivamente del 32,5%, 32%, 21,5% e 38,9%, e quelli di grado 5 rispettivamente del 2,6%, 3,9%, 3% e 2,3%.

Gli eventi avversi di grado 3 o superiore più comuni sono stati anemia, neutropenia, trombocitopenia, neutropenia febbrile, infezioni, sindrome da lisi tumorale (TLS), eventi emorragici e fibrillazione atriale. Di questi, la neutropenia febbrile è stata riportata nel 3,1% dei pazienti trattati con GVe, nel 7,8% di quelli trattati con GIVe, nel 4,2% di quelli trattati con RVe e nell’11,1% dei pazienti di quelli trattati con la chemioimmunoterapia, mentre le infezioni hanno avuto un’incidenza rispettivamente del 14%, 22,1%, 11,4% e 19,9% e la TLS un’incidenza rispettivamente dell’8,8%, 6,5%, 10,1% e 4,2%.

Al di là delle tossicità ematologiche, ha osservato Sportoletti, nei bracci trattati con venetoclax si sono riscontrate basse percentuali di sindrome da lisi tumorale e – altro aspetto importante–di reazioni infusionali, mentre gli eventi emorragici o gli episodi di fibrillazione atriale si sono risultati più frequenti, come atteso, nel braccio il cui regime di trattamento includeva ibrutinib, ma sono stati per lo più di grado lieve».

Durante la terapia e fino al giorno 84 dopo la fine del trattamento sono stati registrati 12 eventi avversi di grado 5, di cui quattro dovuti a infezioni diverse dalla COVID-19, due alla COVID-19 e quattro a neoplasie secondarie. Quindici pazienti hanno sviluppato eventi avversi di grado 5 dopo 84 giorni dalla fine del trattamento; fra questi, questi due casi di polmonite, tre di trasformazione di Richter e neoplasie secondarie.

In conclusione
«I risultati dello studio GAIA sottolineano, innanzitutto, il ruolo importante di un’accurata rilevazione della malattia minima residua, con un adeguato grado di sensibilità, nell’ambito dei trial clinici, anche alla luce di quanto sancito in un documento di consenso internazionale pubblicato di un recente» ha sottolineato Sportoletti.

«Attendiamo ora i dati di sopravvivenza libera da progressione…  , ma i dati presentati all’ASH sono già estremamente rilevanti, perché rafforzano il concetto che una terapia di durata fissa con agenti target, in particolare con l’inibitore di Bcl-2 venetoclax, debba rappresentare un futuro standard of care per una platea sempre più vasta di pazienti. La terapia con venetoclax più obinutuzumab sarà presto disponibile in Italia per il trattamento di prima linea di pazienti ‘unfit’. Ci auguriamo che i risultati dello studio GAIA consentano di estendere la disponibilità di questa combinazione a tutta la platea di malati con leucemia linfatica cronica che necessitano di una prima linea di trattamento, portando di fatto questa target therapy di durata fissa a diventare uno standard per tutti i pazienti, in sostituzione degli attuali regimi di chemioimmunoterapia» ha concluso il Professore.

Bibliografia
B. Eichhorst, et al. A Randomized Phase III Study of Venetoclax-Based Time-Limited Combination Treatments (RVe, GVe, GIVe) Vs Standard Chemoimmunotherapy (CIT: FCR/BR) in Frontline Chronic Lymphocytic Leukemia (CLL) of Fit Patients: First Co-Primary Endpoint Analysis of the International Intergroup GAIA (CLL13) Trial. Blood (2021) 138 (Supplement 1): 71. Link