Studio pubblicato sul “Journal of American College of Cardiology” ha esaminato quattro definizioni di carenza di ferro in oltre 4.000 pazienti con insufficienza cardiaca
Un nuovo studio, pubblicato sul “Journal of American College of Cardiology”, ha esaminato quattro definizioni di carenza di ferro (ID) in oltre 4.000 pazienti con insufficienza cardiaca (HF) e ha rivelato che la saturazione della transferrina (TSAT) e il ferro sierico – ma non i criteri delle linee guida – erano associati in modo indipendente a una maggiore mortalità per tutte le cause a 5 anni, indipendentemente dal fenotipo HF.
Occorre specificare che c’è un accordo generale sul fatto che la carenza di ferro sia prevalente e faccia presagire una prognosi peggiore nei pazienti con HF, indipendentemente dalla frazione di eiezione o dall’anemia. Ciò che rimane poco chiaro, tuttavia, è quale delle molte definizioni di ID si allinei più strettamente con gli esiti avversi.
L’ID, infatti, differisce nelle condizioni infiammatorie croniche, come l’HF cronica, ed è definita nelle linee guida internazionali come un livello di ferritina inferiore a 100 ng/mL o ferritina 100-299 ng/mL con una saturazione di transferrina (TSAT) inferiore al 20%.
La definizione standard, cioè la definizione di ID delle linee guida, semplicemente non è affatto correlata al risultato e le linee per la mortalità sono, più o meno, sovrapposte, scrivono gli autori, guidati da Gabriele Masini, dell’Università di Brescia. Riteniamo quindi che ci sia bisogno di un ripensamento su ciò che costituisce una definizione di ferro nelle persone con HF.
Necessario ripensamento dei criteri delle linee guida internazionali
Nella presente analisi condotta su 4.422 pazienti afferenti alla clinica Hull LifeLab tra il 2001 e il 2019, l’ID è stata definita utilizzando i criteri delle linee guida internazionali: ferritina inferiore a 100 ng/mL, TSAT inferiore al 20% e ferro sierico 13 mcmol/L o inferiore.
In linea con studi precedenti, la prevalenza dell’ID era elevata, compresa tra il 44% e il 68%, a seconda della definizione. L’ID era più comune nelle donne e nei soggetti con sintomi più gravi, anemia o frazione di eiezione conservata.
Complessivamente, la mortalità a 5 anni è stata del 34,5% (follow-up mediano, 49 mesi). La mortalità non aggiustata era più bassa per i pazienti con una ferritina sierica inferiore a 100 ng/mL e un TSAT superiore al 20% ed era più alta per i soggetti con ferritina sierica superiore a 100 ng/mL con un TSAT inferiore al 20%.
I livelli sierici di ferro e TSAT erano altamente correlati tra loro (r = 0,92; P < 0,001). «Il ferro sierico è quasi interamente legato alla transferrina, e quindi una stretta associazione tra ferro sierico e TSAT non è sorprendente» osservano gli autori,
Dopo aggiustamento multivariato, TSAT inferiore al 20% (hazard ratio, 1,27; P <0,001) e ferro sierico di 13 mcmol/L o inferiore (HR, 1.37; P <.001) sono stati associati a una maggiore mortalità per tutte le cause, ma non a un’inferiore mortalità cardiovascolare (CV).
La ferritina sierica inferiore a 100 ng/mL tendeva a essere associata a una minore mortalità aggiustata per tutte le cause (HR, 0,91; P = 0,09), mentre la ferritina superiore a 300 ng/mL era associata a minore mortalità per tutte le cause (HR, 0,69, P <0,001) e CV (HR, 0,78; P = 0,048).
Non è stata trovata alcuna associazione per i criteri di ID delle linee guida e la mortalità per tutte le cause o CV. Tra i pazienti che soddisfacevano i criteri per ID delle linee guida con un TSAT inferiore al 20% e una ferritina da 100 a 299 ng/mL, l’hazard ratio aggiustato per la mortalità a 5 anni è stato di 1,82.
Sebbene provengano da un singolo centro, gli autori affermano che i loro risultati sono robusti e sperano che stimolino una rianalisi dei dati dei vecchi studi sul ferro per via endovenosa, così come lo studio IRONMAN previsto entro la fine dell’anno in pazienti con TSAT inferiore al 20% o ferritina inferiore a 100 ng/L.
«Pensiamo di essere stati in grado di definire un gruppo di pazienti la cui ID sta dando una prognosi molto sfavorevole e, quindi, hanno molto di più da guadagnare in termini di trattamento» aggiungono.
Precedenti evidenze sul ferro per via endovenosa
Studi precedenti hanno dimostrato che l’ID definita dalle linee guida è un predittore indipendente di mortalità nell’HF cronica, ma altri hanno messo in dubbio la sua utilità diagnostica e prognostica. Uno studio del 2018 che utilizzava la colorazione del ferro del midollo osseo come gold standard ha dimostrato che un TSAT del 19,8% o meno o un ferro sierico di 13 mcmol/L o inferiore, ma non la ferritina, identificassero i pazienti HF a più alto rischio di morte.
Un rapporto del 2016 della coorte Hull LifeLab ha anche mostrato che i quintili più alti di ferritina avevano la peggiore mortalità per tutte le cause e CV.
Il ferro per via endovenosa ha dimostrato di migliorare la capacità di esercizio e la qualità della vita nei pazienti con HF con deficit di ferro in una serie di studi, tra cui FAIR-HF, CONFIRM-HF ed EFFECT-HF e di ridurre i ricoveri HF del 21% nel recente studio AFFIRM-HF.
Ferritina marcatore di deficit marziale non affidabile nell’HF
Commentando i nuovi risultati, «la prima implicazione clinica è che non dovremmo usare le linee guida per definire l’ID» commenta Maria Rosa Costanzo, del Midwest Cardiovascular Institute di Naperville in un editoriale scritto con James Januzzi, del Massachusetts General Hospital e della Harvard Medical School di Boston.
«Il problema fondamentale riguardo alla definizione è che la ferritina non è un buon marcatore di ID perché la ferritina è un marcatore infiammatorio» si legge. «Quindi si può avere un alto livello di ferritina e avere ancora ID perché l’HF, come molte altre malattie, è uno stato infiammatorio». Costanzo e Jacuzzi, inoltre, ritengono necessarie ulteriori ricerche su migliori definizioni e trattamenti dell’ID.
«In termini diagnostici, i livelli del recettore solubile della transferrina possono avere la correlazione più forte con il gold standard del deficit di ferro del midollo osseo, mentre nuovi trattamenti, come il blocco dell’epcidina, un modulatore chiave dell’assorbimento e della distribuzione del ferro, possono emergere come un trattamento efficace sia per l’ID assoluta che funzionale» scrivono.
«In definitiva, lo studio di Masini e colleghi ci colloca in una ‘nuova età del ferro’ e sottolinea la grande necessità di ulteriori indagini sulla fisiopatologia, le conseguenze cliniche e il trattamento della carenza di ferro in tutti i pazienti con HF» concludono Costanzo e Januzzi.
Riferimenti bibliografici:
Masini G, Graham FJ, Pellicori P, et al. Criteria for Iron Deficiency in Patients With Heart Failure. J Am Coll Cardiol. 2022;79:341-51. doi: 10.1016/j.jacc.2021.11.039. Link
Costanzo MR, Januzzi JL Jr. 21st Century CE: The New Iron Age? J Am Coll Cardiol. 2022;79:352-4. doi: 10.1016/j.jacc.2021.11.026. Link