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Intolleranza alle statine: il fenomeno è sovrastimato

Una confezione di farmaci, statine in pasticche

La prevalenza della vera intolleranza alle statine (SI) è del 9,1% a livello globale secondo quanto riscontrato dalla metanalisi per un totale di oltre 4 milioni di pazienti

La prevalenza della vera intolleranza alle statine (SI) è del 9,1% a livello globale e risulta anche inferiore utilizzando le definizioni internazionali della National Lipid Association (NLA), dell’International Lipid Expert Panel (ILEP) e dell’European Atherosclerosis Society (EAS) (7,0%, 6,7% e 5,9%, rispettivamente). Il sesso femminile, l’ipotiroidismo, alte dosi di statine, l’età avanzata, l’uso di antiaritmici e l’obesità sono i principali fattori che aumentano il rischio di SI.

È in estrema sintesi quanto riscontrato dalla metanalisi per un totale di oltre 4 milioni di pazienti condotta da un pool internazionale coordinato da Maciej Banach, Medical University of Lodz/University of Zielona Gora, Polonia, senior investigator, che ha voluto rispondere alla vessata questio di quale sia effettivamente la prevalenza del fenomeno della SI.

Un problema ampiamente dibattuto
Dai dati di letteratura, fino a un paziente su due interrompe l’assunzione di statine, riduce la dose o le assume in modo irregolare nella convinzione che questi farmaci ipocolesterolemizzanti causino sintomi muscolari associati alle statine (SAMS) e altri effetti collaterali come disturbi neurocognitivi, epatotossicità, ictus emorragico e tossicità renale. «Molti pazienti hanno la percezione che le statine siano dannose, secondo il cosiddetto effetto nocebo o drucebo, che renderebbe conto di oltre il 50% dei sintomi sofferti dai pazienti», ricorda Banach. «Dato che le statine riducono significativamente la morbilità e la mortalità associate alla malattia cardiovascolare aterosclerotica (ASCVD), il pensiero di interrompere una statina dovrebbe essere l’ultimo se ci sono alcuni sintomi segnalati dal paziente», ha affermato Banach.

Studi di coorte suggeriscono che la SI si verifichi fino al 30% dei pazienti trattati con statine, tuttavia negli studi randomizzati controllati (RCT) la prevalenza solitamente è del 5-7%.

Una delle possibili spiegazioni è la definizione utilizzata di intolleranza alle statine.
Per evitare confusioni, gli autori hanno utilizzato le definizioni ufficiali a cui si ricorre a livello internazionale. Secondo la NLA, la SI è definita come la presenza di effetti avversi relativi alla qualità della vita, che portano alla decisione di ridurre o interrompere l’uso di un farmaco altrimenti benefico. La definizione ILEP afferma che la SI è un’incapacità di tollerare una dose di statina richiesta per ridurre sufficientemente il rischio CV di una persona dal livello di rischio di base che potrebbe derivare da diversi effetti collaterali correlati alle statine.

La definizione EAS si è concentrata solo sui SAMS: la valutazione della probabilità che i SAMS siano dovuti a una statina considerando la natura dei sintomi muscolari, l’aumento dei livelli di CK e la loro associazione temporale con l’inizio, l’interruzione e la ripresa della terapia con statine. La SI è stata definita come una sindrome clinica caratterizzata da sintomi significativi e anomalie dei biomarcatori, documentata da avvio della terapia, interruzione e ripresa del trattamento utilizzando ≥2 statine che non sia dovuta a interazioni farmacologiche o fattori di rischio non trattati per intolleranza.

La metanalisi e i risultati
Dopo un rigoroso processo di selezione, sono stati inclusi nell’analisi un totale di 176 studi con 4.143.517 pazienti e un follow-up medio di 19 ± 7,3 mesi. Su 176 articoli, 112 erano studi randomizzati (195.575 pazienti) e i restanti 64 erano studi di coorte con 3.947.942 pazienti.

L’età media dei pazienti era 60,5 ± 8,9 e il 40,9% erano femmine.

Prevalenza dell’intolleranza alle statine inferiore al 10%
La prevalenza aggregata di SI è stata del 9,1% (IC al 95% 8,0–10%). La prevalenza basata sui criteri NLA era simile rispetto all’utilizzo delle definizioni ILEP o EAS [7,0% (6,0–8,0%), 6,7% (5,0–8,0%), 5,9% (4,0–7,0%)], rispettivamente. La prevalenza di SI negli RCT era significativamente inferiore rispetto agli studi di coorte [4,9% (4,0–6,0%), vs. 17% (14–19%), p<0,001].

Fattori di interazione con l’intolleranza alle statine
Nelle analisi di meta-regressione, l’età (come variabile continua) è risultata significativamente associata al rischio più elevato di SI [odds ratio (OR) 1,33; IC al 95% 1,25–1,41; p = 0,04]. Allo stesso modo, l’età più avanzata ≥65 anni (OR 1,31; IC al 95% 1,22–1,45; p=0,04) e il sesso femminile (OR 1,47; IC al 95% 1,38–1,53; p=0,007) erano associati a un rischio più elevato di SI.

L’analisi degli indici demografici ha rivelato che la prevalenza di SI era associata alla percentuale di partecipanti di razza asiatica e afroamericana (p = 0,05 per entrambi), mentre nessuna associazione con SI è stata osservata con le razze bianca, caucasica e ispanica  (p = 0,05 per tutti).

Sono state trovate associazioni positive anche per altri fattori, come obesità (OR 1,30, p = 0,02), diabete mellito (OR 1,26, p = 0,02), ipotiroidismo (OR 1,37, p = 0,01), malattia epatica cronica (OR 1,24, p = 0,03) e insufficienza renale (OR 1,25, p = 0,03), mentre la depressione è risultata avere un’associazione negativa con SI (OR 0,88, p = 0,04). Al contrario, l’ipertensione arteriosa non era associata alla prevalenza di SI. Inoltre, l’esercizio (OR 1,23, p = 0,03), l’uso di calcio-antagonisti (OR 1,31, p = 0,03) e agenti di antiaritmici (OR 1,35, p = 0,03) e dosi elevate di statina (OR 1,37, p = 0,01) erano associati a una maggiore prevalenza di SI.

Il commento degli autori
«La dimensione del nostro studio, che è il più grande al mondo su questo aspetto, permette di rispondere in modo definitivo ed efficace alla domanda sulla vera prevalenza dell’intolleranza alle statine», ha affermato Banach. «Questi risultati mostrano chiaramente che i pazienti non devono aver paura della terapia con statine in quanto è molto ben tollerata fino al 93%, una percentuale simile o addirittura migliore di altri farmaci cardiologici, compresi quelli per la riduzione della pressione sanguigna e la coagulazione. Inoltre, i pazienti devono essere a conoscenza che le statine possono prolungare la loro vita e, nei casi in cui compaiono effetti collaterali, abbiamo conoscenze sufficienti per gestirli in modo efficace. Il messaggio più importante per i pazienti come risultato di questo studio è che dovrebbero continuare a prendere le statine secondo la dose prescritta e discutere eventuali effetti collaterali con il proprio medico, piuttosto che interrompere il trattamento».

Fonte
Bytyçi I, Penson PE, Mikhailidis DP et al. Prevalence of statin intolerance: a meta-analysis. European Heart Journal (2022) 00, 1–16. Link

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