Leucemia linfoblastica acuta Ph+: da nuovi studi si è dimostrata molto promettente la combinazione ponatinib-bliatumomab
La combinazione di ponatinib e blinatumomab è un regime chemo-free sicuro e altamente efficace nei pazienti con leucemia linfoblastica acuta cromosoma Philadelphia-positiva (Ph+) sia di nuova diagnosi sia recidivati/refrattari, nonché nei pazienti con leucemia mieloide cronica in fase blastica linfoide. Lo evidenziano i risultati di uno studio di fase 2 presentato all’ultimo congresso dell’American Society of Hematology (ASH).
Inoltre, concludono gli autori, coordinati da Nicholas J. Short, dell’MD Anderson Cancer Center di Houston (Texas), le risposte durature osservate con questo regime potrebbero eliminare la necessità della chemioterapia e del trapianto allogenico di cellule staminali per questi pazienti, in particolare come terapia di prima linea.
Infatti, nei pazienti con leucemia acuta al primo trattamento, il tasso di risposta è stato del 95%, la sopravvivenza stimata a 2 anni del 93% e nessun pazienti ha dovuto fare il trapianto.
«I dati di questo studio, in linea con quelli di un nostro studio precedente che ha fatto da apripista in questo senso, evidenziano come il trattamento delle leucemie linfoblastiche acute Ph+ sia nettamente migliorato nel tempo e oggi è possibile pensare una terapia ‘chemo-free’ basata sull’impiego di due farmaci target – il primo è ponatinib, il secondo è blinatumomab – che vanno ad agire contro questa patologia e stanno dando risultati estremamente promettenti» ha dichiarato ai microfoni di PharmaStar Sabina Chiaretti, Professore Associato di Ematologia presso l’Università “La Sapienza” di Roma.
Ponatinib, inoltre, può mostrare un’efficacia antileucemica elevata anche in combinazione con la chemioterapia nei pazienti con leucemia linfoblastica acuta Ph+, come emerge da un altro studio interessante presentato al congresso ASH: lo studio PONAFIL, condotto dal gruppo cooperativo spagnolo PETHEMA.
Superare il problema delle resistenze
I pazienti con leucemia linfoblastica acuta Ph+, se trattati con la chemioterapia intensiva standard, hanno un prognosi molto sfavorevole. Con l’avvento degli inibitori delle tirosin chinasi (TKI), gli outcome di questi pazienti sono migliorati sensibilmente, ma le ricadute e lo sviluppo di resistenze rappresentano ancora un problema. Infatti, la sopravvivenza a 5 anni nei pazienti trattati con TKI di prima o seconda generazione è risultata del 35-50%.
Il meccanismo principale di resistenza è rappresentato dalla presenza della mutazione T315I.
Sia ponatinib, un TKI di terza generazione, sia l’anticorpo bispecifico blinatumomab hanno dimostrato la loro elevata efficacia in monoterapia per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta Ph+.
Uno studio italiano del gruppo GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto), coordinato da Chiaretti e dal Professor Robin Foa, pubblicato nel 2020 sul New England Journal of Medicine, ha mostrato che in pazienti con leucemia linfoblastica acuta Ph+ di nuova diagnosi trattati con blinatumomab combinato con un TKI di seconda generazione (dasatinib) si sono ottenuti risultati molto promettenti, con alti tassi di risposta molecolare e di sopravvivenza a un anno. Sulla scorta di questi risultati positivi, Short e i colleghi hanno provato a testare la combinazione di ponatinib e blinatumumab sia in pazienti alla prima terapia sia in pazienti recidivati/refrattari, per valutare se sia in grado di produrre risposte profonde e durature, riducendo così la necessità sia della chemioterapia sia del trapianto di staminali dopo la prima remissione.
«Combinare i due farmaci è una scelta intelligente perché determina un effetto sinergico che favorisce l’apoptosi della cellula. Infatti, ponatinib è un TKI di terza generazione che inibisce in modo specifico la proteina BCR-ABL, responsabile della proliferazione delle cellule leucemiche Ph+, ed è il più potente della sua classe in quanto attivo anche contro la mutazione di resistenza T315I, mentre blinatumomab fa sì che i linfociti T sani del paziente si attivino e agiscano contro i linfociti B leucemici CD19-positivi, scatenando una risposta citotossica» ha spiegato Chiaretti.
Ponatinib combinato con blinotumumab
Lo studio presentato da Short è un trial monocentrico di fase 2, nel quale sono stati arruolati 50 pazienti, di cui 30 con leucemia linfoblastica acuta Ph+ di nuova diagnosi, 14 con malattia recidivante/refrattaria e sei con leucemia mieloide cronica in fase blastica linfoide.
Per poter partecipare allo studio, i pazienti dovevano avere almeno 18 anni, un performance status ECOG non superiore a 2, e un’adeguata funzionalità epatica (valori di bilirubina totale non superiori a 2 mg/dl e di alanina aminotransferasi e aspartato aminotransferasi non oltre tre volte la norma), mentre non potevano partecipare pazienti con malattie cardiovascolari non controllate o comorbidità clinicamente significative del sistema nervoso centrale (SNC) (tranne la leucemia del SNC).
I pazienti hanno ricevuto fino a cinque cicli di blinatumomab somministrato mediante infusione continua a dosi standard. Durante la fase di induzione (ciclo 1) ponatinib è stato somministrato alla dose di 30 mg/die, poi ridotti a 15 mg/die nella fase di consolidamento (cicli dal 2 al 5) se il paziente otteneva una risposta molecolare completa (CMR). Nei pazienti che hanno risposto al trattamento, ponatinib è stato continuato per 5 anni come mantenimento. Inoltre, sono state somministrate dodici dosi di chemioterapia intratecale profilattica con alternanza di citarabina e metotrexato.
Per i pazienti con leucemia linfoblastica acuta Ph+ di nuova diagnosi, l’endpoint primario era il tasso di CMR, mentre per i pazienti con leucemia linfoblastica acuta recidivante/refrattaria era il tasso di risposta complessivo (ORR, definito come la somma dei tassi di risposta completa, risposta completa con recupero piastrinico incompleto e risposta completa con recupero ematologico incompleto, CR/CRp/CRi).
Risposta superiore al 90%
L’età mediana era rispettivamente di 60 anni (range: 34-83) nel gruppo di pazienti di nuova diagnosi e 38 anni (range: 24-61) nel gruppo di pazienti ricaduti e refrattari; in quest’ultimo gruppo, il 43% dei pazienti era alla seconda terapia di salvataggio a una linea di terapia ancora più avanzata.
Nei 39 pazienti in cui si è potuta valutare la risposta morfologica, tutti tranne tre (92%) hanno risposto al trattamento. L’ORR è risultato del 95% per i pazienti con leucemia acuta di nuova diagnosi, 92% per quelli recidivati/refrattari e 83% per i pazienti con leucemia mieloide cronica.
Risposte rapide e durature
Le risposte osservate sono state rapide e durature, ha detto Short. Infatti, ha detto l’autore, l’81% dei pazienti che hanno risposto ha raggiunto una CMR: l’86% nel gruppo con leucemia acuta di nuova diagnosi, l’85% in quello dei pazienti recidivati/refrattari e il 40% in quello dei pazienti con leucemia mieloide cronica in fase blastica linfoide.
Inoltre la quota di pazienti che hanno raggiunto una CMR già dopo il primo ciclo è risultata rispettivamente del 61%, 77% e 20%.
«I risultati, dunque, sono estremamente brillanti, soprattutto nei pazienti trattati in prima linea. Questi ultimi, infatti, hanno ottenuto quasi tutti una risposta morfologica, che è importante ma oggi non è più ritenuta sufficiente, e più del 60% ha ottenuto dopo il primo ciclo di terapia anche una risposta molecolare, che rappresenta attualmente l’endpoint primario in tutti i nostri studi. Inoltre, si è visto che, nonostante il follow-up breve, la maggior parte dei pazienti è ancora in vita e non ha dovuto effettuare il trapianto allogenico, che fino un po’ di tempo fa era considerata l’unica strategia curativa per questo genere di pazienti» ha sottolineato Chiaretti.
Risparmiare il trapianto a molti pazienti, specie in prima linea
Dei 30 pazienti con leucemia acuta di nuova diagnosi, al momento dell’analisi presentata all’ASH uno era deceduto precocemente, uno mentre era in CR e tutti gli altri mantenevano la risposta ottenuta con il trattamento e nessuno ha dovuto sottoporsi al trapianto dopo la prima remissione. Inoltre, la durata mediana della CR è risultata di 8 mesi (intervallo, 1-36+ mesi).
Tra i 14 pazienti con leucemia acuta recidivata/refrattaria, uno non ha risposto e 13 hanno ottenuto una risposta (CR/CRi); di questi ultimo, cinque sono stati sottoposti al trapianto di staminali (quattro dei quali sono ancora vivi e senza recidiva, mentre uno è recidivato dopo il trapianto ed è deceduto), due non sono stati sottoposti al trapianto e successivamente hanno avuto una ricaduta, uno è decedute mentre era in CR e cinque mantenevano la risposta al trattamento senza aver effettuato il trapianto.
Dei sei pazienti con leucemia mieloide cronica, due hanno recidivato e i restanti quattro mantenevano la risposta senza aver fatto il trapianto al momento dell’analisi.
Sopravvivenza a 2 anni oltre il 90% nei pazienti con leucemia acuta di nuova diagnosi
Riguardo agli outcome di sopravvivenza, nel gruppo dei pazienti con leucemia acuta di nuova diagnosi, con un follow up mediano di 10 mesi (range: 1.41), la sopravvivenza libera da eventi (EFS) stimata a un anno è risultata del 93%, così come quella a 2 anni e così come la sopravvivenza globale a un anno e a 2 anni.
Nel gruppo dei pazienti con leucemia acuta ricaduta/refrattaria, con un follow up identico a quello del gruppo precedente l’EFS stimata a un anno è risultata del 63% e quella a 2 anni del 47%, mentre l’OS stimata a un anno è risultata pari al 91% e quella a 2 anni del 61%.
Infine, nel gruppo dei pazienti con leucemia mieloide cronica, l’EFS stimata a un anno è risultata del 50%, così come quella a 2 anni, mentre l’OS stimata a un anno è risultata del 100% e quella a 2 anni dell’80%.
Trattamento ben tollerato
Il trattamento di combinazione è stato ben tollerato, Inoltre, la maggior parte degli effetti collaterali è stata di grado 1-2 e coerente con il profilo di tossicità noto dei due agenti presi singolarmente.
Due pazienti hanno interrotto ponatinib a causa di tossicità, ma nessuno paziente ha interrotto il trattamento con blinatumomab.
In conclusione, ha detto Short, la combinazione chemo-free di ponatinib e blinatumomab è un regime sicuro ed efficace nei pazienti con leucemia linfoblastica acuta Ph+ sia di nuova diagnosi sia recidivata/refrattaria, nonché nei pazienti con leucemia mieloide cronica in fase blastica linfoide.
Alla luce dei dati presentati, ha concluso l’autore, questa combinazione è un regime promettente, chemo-free, che permette di risparmiare il trapianto di cellule staminali in questa popolazione, specie nei pazienti trattati in prima linea.
I ricercatori del GIMEMA stanno ora testando la combinazione ponatinib e blinatumomab in uno studio randomizzato di fase 3. «Il nostro studio differisce da quello dell’MD Anderson per il fatto che i ricercatori americani hanno somministrato ponatinib in concomitanza con blinatumomab, mentre nel nostro studio nel braccio sperimentale utilizziamo i due farmaci in sequenza, cioè effettuiamo l’induzione con ponatinib e somministriamo blinatumomab successivamente, mentre il braccio di confronto viene trattato con imatinib più la chemioterapia, che ad oggi è ancora la chemioterapia con imatinib» ha spiegato Chiaretti. «Abbiamo preferito un approccio sequenziale perché affinché blinatumomab possa agire occorre un adeguato numero di linfociti T nel paziente, mentre all’esordio della malattia tale numero è molto basso, in quanto tutto il sistema emopoietico è sovvertito dalla malattia».
Ponatinib efficace in combinazione anche con la chemio
Al congresso americano, autori spagnoli del gruppo PETHEMA hanno presentato i risultati di un altro studio nel quale ponatinib è stato utilizzato in combinazione. In questo caso, anziché con un anticorpo bispecifico come blinatumomab, il TKI è stato associato con la chemioterapia di induzione, dando risultati promettenti. Si tratta dello studio di fase 2 PONAFIL, condotto su 30 pazienti trattati con ponatinib in combinazione con la stessa chemioterapia utilizzata nello studio ALL Ph08, condotto dallo stesso gruppo.
«In questo gruppo gli autori hanno utilizzato un approccio diverso rispetto a quello dello studio precedente, in quanto il trattamento con ponatinib è stato seguito da un consolidamento chemioterapico standard e, soprattutto, tutti i pazienti venivano avviati al trapianto allogenico, mentre nei nuovi studi si sta cercando sempre più di capire se si può risparmiare questa procedura» ha spiegato Chiaretti.
I partecipanti, infatti, sono stati trattati con ponatinib 30 mg/die e la chemioterapia di induzione con vincristina, daunorubicina e prednisone, seguita da un consolidamento con metotrexato, ARA-C ad alto dosaggio, mercaptopurina ed etoposide, e dal trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche.
Tuttavia, ha aggiunto l’esperta italiana, «nonostante l’approccio un po’ più convenzionale, il valore di questo studio risiede nei suoi risultati», che sono molto incoraggianti. Infatti, tutti i pazienti (100%) hanno ottenuto una CR, 14 su 30 (47%) una CMR e cinque su 30 (17%) una MMR. Inoltre, dopo un follow-up mediano di 2,3 anni (range: 1,3-4), 29 pazienti erano ancora in vita, 26 hanno potuto sottoporsi al trapianto allogenico e le probabilità di sopravvivenza libera da malattia (DFS) e quella di OS a 2 anni sono risultate del 97% per ciascun endpoint, a fronte di un profilo di sicurezza accettabile.
Bibliografia
N.J. Short, et al. Updated Results of a Phase II Study of Ponatinib and Blinatumomab for Patients with Philadelphia Chromosome-Positive Acute Lymphoblastic Leukemia. Blood (2021) 138 (Supplement 1): 2298. Link
J-M. Ribera, et al. Ponatinib and Chemotherapy in Adults with De Novo Philadelphia Chromosome-Positive Acute Lymphoblastic Leukemia. Final Results of Ponalfil Clinical Trial. Blood (2021) 138 (Supplement 1): 1230. Link
R. Foà, et al. Dasatinib-Blinatumomab for Ph-Positive Acute Lymphoblastic Leukemia in Adults. N Engl J Med. 2020 Oct 22;383(17):1613-1623; doi: 10.1056/NEJMoa2016272. Link
FONTE: PHARMASTAR