I pazienti guariti dal COVID, sia che siano stati ospedalizzati, sia che abbiano affrontato la malattia al di fuori di un contesto nosocomiale, corrono un significativo aumento del rischio di eventi cardiocerebrovascolari fino a un anno dopo la guarigione dall’infezione. È il riscontro di un’analisi dei dati del sistema sanitario del Department of Veterans Affairs (VA) degli Stati Uniti, pubblicata su Nature Medicine.

Confrontando i pazienti sopravvissuti a COVID con pazienti di controllo, Yan Xie (VA St. Louis Health Care System e Saint Louis University School of Medicine, Missouri) e colleghi hanno osservato che, dopo un periodo iniziale di recupero di 30 giorni, i pazienti del gruppo COVID-19 incorrevano in maniera significativamente più frequente in disturbi cerebrovascolari, aritmie, miocarditi e pericarditi, cardiopatia ischemica, altri disturbi cardiovascolari ed eventi tromboembolici.

Complessivamente in questi pazienti si sono registrati 45,29 esiti cardiovascolari extra ogni 1.000 persone tra 30 giorni e 12 mesi. Considerando solo gli eventi avversi cardiovascolari maggiori (MACE), rappresentati da un composito di infarto miocardico, ictus e morte per tutte le cause, il carico aggiuntivo è stato di 23,48 eventi (HR 1,55; IC al 95% 1,50-1,60).

Background e protocollo dello studio
«Alcuni studi hanno valutato gli outcome cardiovascolari nella fase post-acuta del COVID; tuttavia, la maggior parte era limitata a pazienti ospedalizzati (che rappresentano la minoranza di soggetti con COVID-19) e tutti hanno avuto una durata breve del follow-up e una selezione ristretta degli outcome cardiovascolari», spiegano gli autori. «Non è ancora disponibile una valutazione completa delle sequele cardiovascolari post-acute di COVID-19 a 12 mesi e mancano anche studi sulle sequele post-acute di COVID-19 nei diversi contesti assistenziali dell’infezione acuta, cioè pazienti non ospedalizzati, ospedalizzati e ricoverati in terapia intensiva».

I ricercatori hanno quindi impostato uno studio per cercare di chiarire questi dubbi.

«Abbiamo utilizzato i database sanitari del Department of Veterans Affairs per creare una coorte di 153.760 veterani statunitensi sopravvissuti ai primi 30 giorni della COVID-19 e due gruppi di controllo: una coorte contemporanea composta da 5.637.647 utenti della US Veterans Health Administration ( sistema VHA) senza evidenza di infezione da SARS-CoV-2 e una coorte storica (antecedente alla pandemia di COVID-19) composta da 5.859.411 utenti della VHA non infetti da COVID-19 nel 2017», riporta Xie. Queste coorti sono state seguite longitudinalmente per stimare a 12 mesi i rischi e il carico di outcome cardiovascolari pre-specificati nella coorte generale e in base al setting di cura dell’infezione acuta (non ospedalizzato, ricoverato in ospedale e ricoverato in terapia intensiva). Il tempo mediano di follow-up nei gruppi COVID-19, controllo contemporaneo e controllo storico è stato rispettivamente di 347 (intervallo inter quartile, 317–440), 348 (318–441) e 347 (317–440) giorni, rispettivamente.

I risultati dell’analisi
Tra i sopravvissuti a COVID-19, gli aumenti più marcati del rischio nel periodo compreso tra 1 e 12 mesi sono stati osservati per miocardite (HR 5,38; IC al 95% 3,80-7,59), embolia polmonare (HR 2,93; IC al 95% 2,73-3,15), arresto cardiaco (HR 2,45; IC al 95% 2,08-2,89), shock cardiogeno (HR 2,43; IC al 95% 1,86-3,16) e trombosi venosa profonda (HR 2,09; IC al 95% 1,94-2,24). La rarità di miocardite, arresto cardiaco e shock cardiogeno significava che l’impatto stimato per 1.000 persone a 12 mesi era rispettivamente di appena 0,31, 0,71 e 0,51, rispetto ai controlli contemporanei. Tuttavia, l’impatto posto dall’embolia polmonare e dalla trombosi venosa profonda erano maggiori, e pari a  5,47 e 4,18 casi aggiunti.

Anche l’impatto di altre condizioni si è rivelato essere aumentato e in particolare: insufficienza cardiaca (carico 11,61 per 1.000 persone a 12 mesi; HR 1,72; IC al 95% 1,65-1,80); fibrillazione atriale (carico 10,74; HR 1,71; IC al 95% 1,64-1,79), tachicardia sinusale (carico 5,78; HR 1,84 ; IC al 95% 1,74-1,95), malattia coronarica acuta (peso 5,35; HR 1,72; IC al 95% 1,56-1,90), bradicardia sinusale (peso 4,62; HR 1,53; IC al 95% 1,45-1,62), aritmie ventricolari (peso 4,18; HR 1,84; IC  al 95% 1,72-1,98) e ictus (carico 4,03; HR 1,52; IC al 95% 1,43-1,62). Rischio cardiovascolare e impatto delle malattie significativamente aumentati sono stati osservati anche per cardiomiopatia non ischemica, flutter atriale, infarto miocardico, trombosi venosa superficiale, angina, attacco ischemico transitorio e pericardite.

Setting di cura
Gli autori hanno inoltre esaminato rischio e impatto delle malattie cardiovascolari in base al setting assistenziale dell’infezione acuta, cioè pazienti non ricoverati in ospedale (n=131.612), ospedalizzati (n = 16.760) o ricoverati in terapia intensiva (n = 5.388).
Rispetto al gruppo di controllo contemporaneo, i rischi e l’impatto a 12 mesi degli outcome cardiovascolari pre-specificati erano evidenti già nei pazienti curati a domicilio e sono aumentati in base alla gravità dell’infezione acuta e quindi del setting di cura.
I risultati si sono dimostrati coerenti al confronto con la coorte storica di controllo di 5.859.411 pazienti che hanno ricevuto cure all’interno del sistema sanitario VA nel 2017. Inoltre, i rischi cardiovascolari erano maggiori dopo l’esposizione a COVID-19 rispetto a prima dell’esposizione, e ulteriori analisi hanno mostrato che i rischi aggiunti di miocardite e pericardite erano indipendenti dalla vaccinazione per COVID -19.

Influenza delle caratteristiche dei pazienti
Xie e colleghi hanno rilevato che il rischio cardiovascolare era evidente indipendentemente da età, razza, sesso e altri fattori di rischio cardiocircolatorio, inclusi obesità, ipertensione, diabete, malattie renali croniche e iperlipidemia. I rischi erano evidenti anche in persone senza alcuna malattia cardiovascolare prima dell’esposizione a COVID-19, fornendo così l’evidenza che queste manifestazioni potevano manifestarsi anche in persone a basso rischio di malattie cardiovascolari.

Le conclusioni degli autori
«Presi insieme, i nostri risultati mostrano che il rischio e l’impatto di malattie cardiovascolari a 1 anno tra coloro che sopravvivono alla fase acuta della COVID-19 sono sostanziali e abbracciano diversi disturbi cardiovascolari», commenta Xie. «Le strategie di cura delle persone sopravvissute all’episodio acuto di COVID-19 dovrebbero quindi includere una maggiore attenzione alla salute e alle malattie cardiovascolari».

Fonte
Xie Y, Xu E, Bowe B, Al-Aly Z. Long-term cardiovascular outcomes of COVID-19. Nat Med. 2022;Epub ahead of print. Link