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Tumore alla prostata metastatico: nuovi dati su niraparib

Tumore della prostata: FDA approva darolutamide, nuovo trattamento per i pazienti. L’approvazione si basa sullo studio di Fase III ARAMIS

Tumore alla prostata metastatico: secondo nuovi dati l’inibitore di PARP niraparib migliora la sopravvivenza libera da progressione radiografica

L’inibitore di PARP niraparib migliora la sopravvivenza libera da progressione radiografica (rPFS) rispetto al placebo (in entrambi i casi in combinazione con abiraterone acetato e prednisone) negli uomini con carcinoma prostatico resistente alla castrazione metastatico (mCRPC) che presentano alterazioni dei geni implicati nel sistema di riparazione dei danni del DNA mediante ricombinazione omologa (HRR). Lo evidenziano i dati dello studio di fase 3 MAGNITUDE (NCT03748641) presentati durante il Genitourinary Cancers Symposium dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO-GU).

L’effetto maggiore della tripletta sulla rPFS  si è osseervato in pazienti con mCRPC con alterazioni dei geni BRCA1/2, che sono geni coinvolti nella HRR, ma non gli unici.

Infatti, con un follow-up mediano di 18,6 mesi, gli autori hanno osservato nel braccio trattato con niraparib una riduzione del rischio di progressione o morte del 47% nei pazienti con mutazioni di BRCA1/2 e del 27% in tutti i pazienti con alterazioni dei geni del sistema dell’HRR rispetto al braccio di controllo.

Nella popolazione di pazienti con BRCA1/2, l’rPFS mediana valutata centralmente da revisori indipendenti è risultata di 16,6 mesi con niraparib contro 10,9 mesi con il placebo (HR 0,53; IC al 95% 0,36-0,79; P = 0,0014), mentre l’rPFS valutata dagli sperimentatori è risultata rispettivamente di 19,3 mesi contro 12,4 mesi  (HR 0,50; IC al 95; 0,33-0,75; P = 0,0006).

Nella popolazione che presentava alterazioni dei geni del sistema dell’HRR, l’rPFS mediana valutata centralmente da revisori indipendenti è risultata rispettivamente di 16,5 mesi contro 13,7 mesi (HR 0,73; IC al 95% 0,56-0,96; P = 0,0217), mentre l’rPFS valutata dagli sperimentatori rispettivamente di 19,0 mesi contro 13,9 mesi (HR 0,64; IC al 95%, 0,49-0,86; P nominale = 0,0022).

«I risultati dello studio MAGNITUDE forniscono evidenze a supporto dell’impiego di niraparib più abiraterone (e prednisone) come nuova opzione di trattamento di prima linea per i pazienti con mCRPC che presentano alterazioni dei geni associati all’HRR», ha detto l’autore principale dello studio Kim N. Chi, del Vancouver Prostate Center presso la University of British Columbia di Vancouver, in Canada.

30% dei pazienti con alterazioni dei geni associati all’HRR
Fino al 30% dei pazienti con mCRPC presenta alterazioni dei geni associati all’HRR, ha spiegato Chi.

Sebbene la presenza di queste alterazioni si associ a una prognosi sfavorevole, si accompagna anche a una maggiore sensibilità agli inibitori di PARP come niraparib, ha aggiunto l’autore.

Inoltre, è stato ipotizzato che l’aggiunta di un antiandrogeno come l’abiraterone possa aumentare le risposte in tutti i pazienti. Da qui il razionale dello studio MAGNITUDE, in cui si è valutato il valore dell’aggiunta di niraparib ad abiraterone nei pazienti con mCRPC, con e senza alterazioni dei geni dell’HRR.

Lo studio MAGNITUDE
Lo studio MAGNITUDE è un trial randomizzato, in doppio cieco, che ha arruolato pazienti con mCRPC che erano già stati trattati per non più di 4 mesi con abiraterone e prednisone. Inoltre, i partecipanti dovevano avere un performance status ECOG pari a 0 o 1 e un punteggio del dolore del Brief Pain Inventory-Short Form non superiore a 3.

I pazienti idonei sono stati sottoposti alla ricerca di alterazioni dell’HRR nei geni ATM, BRCA1, BRCA2, BRIP1, CDK12, CHEK2, FANCA, HDAC2 e PALB2. Sulla base dei risultati di questo pre-screening, i pazienti sono stati assegnati alla coorte positiva ai biomarcatori oppure alla coorte negativa ai biomarcatori, per le quali si prevedeva rispettivamente un arruolamento di 400 e 600 pazienti.

I partecipanti sono stati assegnati secondo un rapporto 1:1 al trattamento con niraparib 200 mg una volta al giorno più abiraterone oppure placebo più abiraterone, più prednisone in ciascuna delle coorti.

L’endpoint primario dello studio era la valutazione della rPFS in modo centralizzato da parte di revisori indipendenti in cieco nella popolazione di pazienti portatori di mutazioni di BRCA1/2 e, a seguire, in tutte le altre popolazioni di pazienti con biomarcatori positivi. Gli endpoint secondari erano, invece, il tempo fino all’inizio della chemioterapia citotossica, il tempo fino alla progressione sintomatica e la sopravvivenza globale (OS). Altri endpoint erano il tempo fino alla progressione del PSA, il tasso di risposta obiettiva (ORR), il tempo fino alla seconda progressione della malattia (PFS2), il tempo di progressione del dolore e gli esiti riportati dai pazienti.

I pazienti sono stati stratificati in base al fatto che avessero effettuato o meno una precedente chemioterapia a base di taxani per la malattia metastatica sensibile alla castrazione, una precedente terapia con un inibitore del recettore degli androgeni per la malattia non metastatica resistente alla castrazione o per la malattia metastatica sensibile alla castrazione e un precedente trattamento di prima linea con abiraterone più prednisone per l’mCRPC. Ulteriore fattore di stratificazione era la presenza di mutazioni di BRCA1/2 rispetto ad altre alterazioni dei geni coinvolti nell’HRR.

Assenza di beneficio nei pazienti negativi ai biomarcatori
L’analisi statistica prevedeva un’analisi di futilità predefinita nella popolazione negativa ai biomarcatori dopo che erano stati arruolati circa 200 pazienti e si erano verificati circa 125 eventi (progressione radiografica o del PSA o decesso del paziente).

I risultati di quest’analisi di futilità pianificata, condotta su 233 pazienti negativi ai biomarcatori, non hanno evidenziato un beneficio significativo per l’aggiunta di niraparib ad abiraterone per quanto riguarda la progressione radiografica o del PSA (HR 1,09; IC al 95% 0,75-1,59). Questo dato, associato all’osservazione di tossicità di grado 3/4 nel braccio assegnato a niraparib, ha indotto il comitato indipendente di monitoraggio dei dati a raccomandare di interrompere l’arruolamento dei pazienti in questa coorte, di togliere il cieco (sia per i pazienti sia per gli sperimentatori) e di dare la possibilità di continuare il trattamento assegnato, a discrezione dello sperimentatore.

Pertanto, solo un totale di 423 pazienti che presentavano alterazioni dei geni coinvolti nell’HRR sono stati successivamente assegnati al trattamento con niraparib più abiraterone (212) o un placebo più abiraterone (211).

Per quanto riguarda le caratteristiche di base, l’età mediana dei pazienti era di 69 anni (range: 43-100). Il 23,6% dei pazienti trattati con niraparib e il 22,7% dei controlli, rispettivamente, erano stati trattati in precedenza con abiraterone/prednisone, rispettivamente il 24,1% e il 18,5% aveva metastasi viscerali e il 46,3% e il 43,6% presentava mutazioni di BRCA1/2.

Con niraparib beneficio di rPFS in tutti i sottogruppi positivi ai biomarcatori
Ulteriori risultati hanno mostrato che l’rPFS è risultata superiore con niraparib in tutti i sottogruppi di pazienti prespecificati positivi ai biomarcatori.

Inoltre, l’aggiunta di niraparib ad abiraterone ha prolungato il tempo fino all’inizio della chemioterapia citotossica (HR 0,59; IC al 95% 0,39-0,89; P = 0,0108), il tempo fino alla progressione sintomatica (HR 0,69; IC al 95%, 0,47-0,99; P = 0,0444) e il tempo fino alla progressione del PSA (HR 0,57; IC al 95% 0,43-0,76; P = 0,0001) in tutti i pazienti con alterazioni dei geni coinvolti nell’HRR. In più, niraparib ha migliorato l’ORR rispetto al placebo: 60% (55 pazienti su 92) contro 28% (23 pazienti su 82; RR 2,13; P < 0,001).

Allo stesso modo, niraparib ha ritardato il tempo fino all’inizio della chemioterapia citotossica (HR 0,58; IC al 95% 0,33-1,01; P = 0,0495), il tempo fino alla progressione sintomatica (HR 0,68; IC al 95% 0,42-1,11; P = 0,0495) e il tempo fino alla progressione del PSA (HR 0,46; IC al 95% 0,30-0,69; P = 0,0002) in tutti i pazienti con mutazioni di BRCA1/2. Inoltre, in questo sottogruppo, l’ORR è risultato del 52% (29 pazienti su 56) con niraparib contro 31% (15 pazienti su 48) con il placebo (RR 1,66; P = 0,035).

I dati della prima analisi ad interim dell’OS sono ancora immaturi (HR 0,94; IC al 95%0,65-1,36; P = 0,733), ha riferito Chi, ma un’ analisi multivariata che tiene conto delle caratteristiche di base ha evidenziato outcome più favorevoli con niraparib (HR 0,767; IC al 95% 0,525-1,119; P = 0,1682).

Profilo di sicurezza di niraparib confermato
Sul fronte della sicurezza, non sono stati osservati nuovi segnali a carico d niraparib.

Effetti avversi (AE) emergenti dal trattamento di qualsiasi grado si sono verificati nel 99,1% dei pazienti nel braccio niraparib e nel 94,3% dei pazienti del braccio di controllo. Gli eventi avversi di qualsiasi grado più comuni nel braccio niraparib sono stati anemia (46,2%), ipertensione (31,6%) e costipazione (30,7%), mentre gli eventi avversi più comuni nel braccio placebo sono stati ipertensione (22,3%), anemia (20,4%) e affaticamento (16,6%).

Eventi avversi di grado 3/4 si sono manifestati nel 67% dei pazienti del braccio niraparib e nel 46,4% dei controlli. Gli eventi avversi di grado 3/4 più comuni nel braccio sperimentale sono stati anemia (29,7%), ipertensione (15,6%) e trombocitopenia e neutropenia (ciacuna 6,6%), mentre quelli più comuni nel braccio placebo sono stati ipertensione (14,2%), anemia (7,6%) ed epatotossicità (4,7%).

Riduzioni della dose si sono rese necessarie nel 19,8% dei pazienti trattati con niraparib e gli eventi avversi più comuni che hanno portato alla riduzione della dose di niraparib sono stati anemia (13,2%) e trombocitopenia (2,8%).

Inoltre, il 10,8% dei pazienti assegnati al braccio niraparib e il 4,7% dei controlli ha interrotto il trattamento a causa di eventi avversi e decessi dovuti a un evento avverso si sono verificati in 11 pazienti (5,2%) trattati con niraparib e 7 pazienti (3,3%) trattati con il placebo.

Non sono state osservate differenze clinicamente significative fra i due bracci per quanto riguarda la qualità complessiva della vita, secondo i risultati del questionario The Functional Assessment of Cancer Therapy-Prostate.

«Lo studio MAGNITUDE evidenzia l’importanza di testare le alterazioni dei geni implicati nell’HRR nei pazienti con mCRPC, per identificare chi trarrà beneficio in modo ottimale dalla combinazione di niraparib più abiraterone», ha concluso Chi.

Fonte
Chi KN, Rathkopf DE, Smith MR, et al. Phase 3 MAGNITUDE study: first results of niraparib (NIRA) with abiraterone acetate and prednisone (AAP) as first-line therapy in patients (pts) with metastatic castration-resistant prostate cancer (mCRPC) with and without homologous recombination repair (HRR) gene alterations. J Clin Oncol. 2022;40(suppl 6):12. doi:10.1200/JCO.2022.40.6_suppl.012. Link

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