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L’impatto del Covid sui tecnici dello spettacolo

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I dati della ricerca della Fondazione Centro Studi Doc sulla situazione lavorativa dei tecnici dello spettacolo a seguito della pandemia

È stata presentata la ricerca della Fondazione Centro Studi Doc sulla situazione lavorativa dei tecnici dello spettacolo a seguito della pandemia. All’incontro hanno partecipato Michela Montevecchi, Senatrice, Segretaria VII Commissione permanente Istruzione pubblica, beni culturali, Francesca Martinelli (Fondazione Centro Studi Doc), Fabio Fila (STEA Soc. Coop.), Patrizia Aganetti (STS Communication), Simona De Lellis (Doc Servizi), Alberto “Bebo” Guidetti (Lo Stato Sociale, La Musica Che Gira), Silvio Righi (#ChiamateNoi).

Come è noto, il mondo dello spettacolo è stato uno dei settori maggiormente colpiti dagli effetti delle misure legate al Covid-19, con una perdita dal 2019 al 2020 di 8 miliardi di euro e del 21% dei lavoratori, di cui il 12,7% tecnici dello spettacolo. Per capire meglio il significato di questi numeri e descrivere l’impatto della crisi legata al Covid sui tecnici dello spettacolo, tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, la Fondazione Centro Studi Doc ha condotto una ricerca quantitativa basata sulla somministrazione di questionari ai quali hanno risposto oltre 1000 tecnici e 40 service. La ricerca, pubblicata in Quaderni della Fondazione Centro Studi Doc, Verona, 2022, è stata firmata da Francesca Martinelli, Lidia Barion, Simona De Lellis, Fabio Fila.

I dati raccolti, presentati da Fabio Fila, mostrano che se la maggioranza dei lavoratori (78%) ha ripreso a lavorare nell’ambito dello spettacolo e degli eventi, un quinto dei tecnici (21,7%) ha abbandonato il settore. In particolare, un decimo del totale (10,3%) sta cercando ancora lavoro nello spettacolo, mentre poco più di un decimo (11,4%) ha invece deciso di abbandonare definitivamente il settore.

Dalla ricerca emerge che la crisi ha colpito soprattutto le donne e i lavoratori tra i 30 e i 50 anni con una famiglia a carico o con un mutuo. Un maggiore tasso di abbandono si osserva per coloro che lavoravano nei settori produzione, allestimenti e scenografie e strutture nei settori più colpiti dalla pandemia a causa delle continue chiusure, cioè eventi live e teatro. Si tratta soprattutto di lavoratori di basso-medio livello con impieghi stagionali e competenze difficilmente spendibili in altri settori dello spettacolo, ma fondamentali per la riuscita degli eventi.
I risultati della ricerca mostrano che la crisi legata al Covid non ha fatto altro che esacerbare le pregresse condizioni di fragilità dei lavoratori dello spettacolo. Tra le esigenze principali, dai questionari sono emerse: la questione dei compensi (servono pagamenti certi e puntuali e compensi adeguati alla mansione), l’accesso alle protezioni socialicontinuità del lavoro. Dati che confermano quanto sia necessaria una riforma e, in particolare, provvedimenti come l’indennità di discontinuità (nei prossimi giorni nuovamente discusso l’emendamento relativo), per evitare che le perdite di personale tecnico continuino a pesare su un settore già in estrema difficoltà.

La ricerca è stata finanziata dalla Rete Doc e realizzata in collaborazione con ANSI – Associazione Nazionale Services Italiani, Adotta un Fonico e dagli un Lavoro Vero, Bauli in Piazza, BEA – Best Events Awards, BeNow, Music Innovation HUB, STS communication srl, Skeldon, UNISCA, ZioGiorgio e #ChiamateNoi.

“Bisogna uscire dalla forma mentis per la quale nella cultura non esiste professionismo, ma solo amatorialità – è intervenuta la Senatrice Michela Montevecchi – Il professionismo esiste e i giovani devono sentirsi in diritto di poter pensare e desiderare una vita professionale nel comparto della cultura. È questa forma mentis che è stata alla base del mancato riconoscimento delle figure professionali, dei loro bisogni, delle loro necessità. Bisogna garantire la dignità del lavoro e le protezioni per questi lavoratori “speciali” e la battaglia che si sta facendo per ottenere questo nel mondo dello spettacolo dal vivo è la testa d’ariete per il riconoscimento degli stessi principi in tutto il mondo della cultura”.

“Io vorrei sfatare il mito per il quale tecnici e artisti svolgono lavori diversi – commenta Alberto “Bebo” Guidetti, che ha scritto la postfazione della ricerca – Abbiamo stessi inquadramenti. Riuscire a farsi riconoscere come lavoratori e lavoratrici è stato difficile e c’è ancora tanto da fare. Quello che c’è in gioco non è solo la salute e la stabilità di un settore, ma la salute e la stabilità delle persone, perché i settori non sono cose che stanno lì, nel cielo, imponderabili, ma sono composti da persone”.

Siamo convinti che sia stato fondamentale aver creato opportunità di lavoro al di fuori del mondo dello spettacolo per i colleghi rimasti fermi durante la pandemia – ha aggiunto Silvio Righi – il lavoro è il migliore degli ammortizzatori sociali e confrontarsi con realtà lavorative diverse ha permesso a tanti colleghi di essere meno vulnerabili e meno ricattabili”.

“Durante l’emergenza abbiamo capito che cercare personale all’estero non era una via percorribile – gli fa eco Patrizia Aganetti – Abbiamo capito che investire sulle persone è importante almeno tanto quanto investire sui materiali. Quindi abbiamo bloccato sul medio tecnici di fascia media con accordi di giornate garantite, rinnovabili di 3 mesi in 3 mesi, e affiancato tecnici junior e aiuto tecnici a professionisti, iniziando anche un programma di stage e uno di formazione che prevede sia corsi con interscambio di partecipanti nostri e loro, sia giornate di affiancamento”.

“Dalla ricerca sono emerse cinque richieste da parte dei tecnici che anche nel breve termine potrebbero contrastare la dispersione professionale nel mondo dello spettacolo – ha specificato Simona De Lellis – tutelare la discontinuità, garantire l’accesso alle protezioni sociali, verificare l’applicazione dei contratti di lavoro, agevolare i percorsi di formazione alla sicurezza e la formazione continua e supportare il ricambio generazionale attraverso la formazione e contratti ad hoc”.

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