Petruzzelli e Della Torre pubblicano “Ma dal cancro si guarisce?”


In un libro a cura di Davide Petruzzelli e Silvia Della Torre, una toccante raccolta di testimonianze esplora la quotidianità oltre la malattia

petruzzelli della torre

Cercando sul dizionario il significato del verbo “guarire” si trovano definizioni come “restituire la salute”, “rimettere in salute” o “liberare da una malattia”, ma riflettendo un attimo più in profondità su questa parola sorge spontaneo interrogarsi su cosa voglia davvero dire il termine “guarigione”. Negli ultimi due anni, il terremoto generato dal dilagare del virus SARS-CoV-2 ha radicalmente cambiato il nostro punto di vista su questa fase del percorso di un malato, associandola alla “negativizzazione”, cioè alla scomparsa di particelle virali potenzialmente in grado di infettare e trasmettere la malattia. Tuttavia, il COVID-19 lascia tracce spesso indelebili del suo passaggio: questa cosa, però, si può affermare anche di un tumore. Allora rimane da chiedersi se si possa davvero ritrovare la salute dopo essere passati attraverso l’esperienza del cancro.

Un interessante tentativo di risposta ad una così difficile domanda è contenuto nel libro “Ma dal cancro si guarisce? (Tecniche Nuove, 2022), scritto a quattro mani da Davide Petruzzelli e Silvia Della Torre, nel quale il processo di guarigione viene esplorato da diverse angolazioni, a cominciare dal suo significato più stretto, per proseguire con le conseguenze che esso lascia nel malato oncologico e sulla loro percezione psicologica e sociale. Guarire dal cancro, infatti, significa tornare ad accettare i ritmi di una vita che lo status di malato sembrava aver sospeso – quando non del tutto cancellato – e fare i conti con un cambiamento, anche sul piano fisico, che spesso è sotto gli occhi di chi circonda il paziente guarito. Ecco, dunque, che in una società che sente l’ossessivo bisogno di classificare ogni cosa emerge l’urgenza di individuare termini come “survivor”, “cancer-free” o “lungosopravvivente”, i quali, anziché facilitare l’accettazione sociale di un evento personale devastante tanto in termini fisici quanto psicologici, concorrono alla ghettizzazione della persona che, invece, desidera solo essere accolta senza pregiudizi.

Lo scorso 4 febbraio si è celebrata la Giornata Mondiale contro il Cancro, durante cui si è ricordato come nel nostro Paese i tumori rimangano la causa di morte di oltre 100mila uomini e 81mila donne. Il World Cancer Day è stata l’occasione ideale per celebrare i successi della ricerca scientifica in campo oncologico, grazie a cui possiamo osservare l’incremento delle percentuali di sopravvivenza a 5 anni per tutti i tumori, sia per gli uomini che per le donne, e non è casuale che appena un paio di giorni più tardi si sia celebrata la Giornata per la Vita; in questo accostamento si ritrova il significato più profondo dell’opera di Petruzzelli e Della Torre perché guarire dal cancro significa “far rinascere” una persona alla vita. È un processo che coinvolge tutti, non solo il paziente. I medici, la famiglia, gli amici e i colleghi, chiunque graviti intorno al malato ha la responsabilità di accompagnarlo nel modo giusto verso la guarigione e condividerne le implicazioni.

Nella prima parte del libro, Davide Petruzzelli, ex-paziente di linfoma e presidente della Onlus La Lampada di Aladino, dialoga con Silvia Della Torre, oncologa presso l’Unità di Oncologia Medica dell’ASST-Rhodense, sul tema della guarigione e sulle complesse diramazioni con cui essa penetra nell’esistenza di chi ha vissuto l’esperienza della malattia, sovvertendo in maniera radicale aspetti come la comunicazione con gli altri o la gestione del tempo. L’accostamento di due punti di vista classicamente percepiti come opposti – il medico da una parte e il paziente dall’altra – dimostra come, al netto di alcune fisiologiche differenze, il pensiero converga sulla necessità di farsi carico non della neoplasia ma della “persona” nella sua completezza. In tutto ciò, la corretta comunicazione è fondamentale per combattere fin dai primi istanti la cultura negativa nata intorno alla parola cancro e aprire la strada a un processo di guarigione che permette alla persona di adattarsi a una nuova concezione di sé.

Nella seconda parte del libro sono raccolte le testimonianze di tante persone che hanno avuto a che fare con il cancro, ex pazienti, studenti di medicina, familiari, medici. Ognuno di loro riporta con sincerità la propria esperienza con la malattia e con la guarigione da essa. Laura, mamma di un bambino con cancro, racconta di come sia stato necessario “imparare a vivere, ridefinendo le priorità, sempre con un sottostante senso di attesa” e ricorda come più volte si sia chiesta se la paura scatenata da sintomi spesso banali, come la febbre o la stanchezza, potrà mai svanire. Convivere con la guarigione significa anche questo, fare i conti con una paura che non abbandona mai veramente chi ha affrontato il cancro, specie se questo non è definitivamente sparito perché, come viene spiegato nel contributo dell’ematologo Marco Vignetti, “oggi esistono farmaci per rendere la malattia neoplastica invisibile e, soprattutto, incapace di fare danni all’organismo”, anche se il tumore continua ad essere presente. Si tratta di un concetto di terapia che è nuovo in oncologia ma che è già impiegato per affrontare condizioni come il diabete o l’ipertensione, e che implica anche un nuovo concetto di guarigione.

In tal senso, guarire non significa unicamente liberarsi in senso fisico dalla malattia ma imparare ad “accettare come persone, società e sistema sanitario quel durante e quel dopo la malattia, dandogli i giusti spazi, riconoscimenti e tempi”. Nelle parole con cui Silvia Della Torre conclude la prima parte del libro è concentrato il significato di un termine dal duplice valore, che per qualcuno sembra una sorta di liberazione ma che per altri rappresenta un marchio indelebile, proprio come la malattia.

Su questo deve soffermarsi il pensiero di tutte le figure coinvolte nella comunicazione sul cancro, dai tanti medici e ricercatori che operano in campo oncologico ai pazienti stessi e ai loro familiari, sino alle istituzioni e ai giornalisti. “Ma dal cancro si guarisce?” insegna che solo entrando in contatto con la sofferenza se ne possono comprendere tutti i risvolti, specie quelli che conducono a una nuova forma di vita: una vita più ricca ma mai “diversa”.