Psoriasi: il fumo e la concomitanza dell’artrite psoriasica hanno un impatto sulla risposta alla terapia secondo un nuovo studio italiano
Risankizumab si è dimostrato altamente efficace nei pazienti con psoriasi da moderata a grave in due centri medici terziari italiani, anche se diversi fattori hanno mostrato di avere un impatto sulla risposta alla terapia, come il fumo e la concomitanza dell’artrite psoriasica. I risultati di uno studio italiano di real life sono stati pubblicati sulla rivista Dermatologic Therapy.
Risankizumab, un anticorpo monoclonale IgG1 umanizzato che inibisce l’interleuchina (IL)-23 legandosi alla subunità p19, è l’ultimo farmaco biologico approvato da Fda ed Ema per il trattamento della psoriasi a placche da moderata a grave. Gli elevati livelli di efficacia e sicurezza sono stati dimostrati da diversi studi clinici (UltIMMA-1 e -2, IMMerge, IMMvent, SustaIMM), nei quali una grande percentuale di pazienti (>70%) ha raggiunto una risposta PASI 90 e la completa remissione della malattia dopo 16 settimane, un risultato supportato da evidenze di real-life.
Uno studio di real life italiano
«Gli studi del mondo reale sono scarsi, con una piccola dimensione del campione e un follow-up breve per via della novità del farmaco. In gran parte sono limitati alla 16a settimana e in quelle successive il campione diminuisce in modo significativo» hanno fatto presente gli autori. «L’analisi dei possibili fattori di risposta al trattamento negli studi clinici e negli studi sulla vita reale è limitata all’indice di massa corporea (BMI) e al precedente utilizzo di terapie biologiche».
Per questo motivo i ricercatori hanno cercato di valutare ulteriormente l’efficacia e la sicurezza di risankizumab e i possibili fattori prognostici, compreso l’uso di precedenti terapie biologiche, lo stato di obesità, il coinvolgimento di aree corporee difficili da trattare, il fumo e l’incidenza dell’artrite psoriasica in un contesto di vita reale. I dati di 166 pazienti adulti con psoriasi da moderata a grave trattati con risankizumab e provenienti da 2 centri terziari in Italia, la Clinica Dermatologica dell’Università di Torino e la Clinica Dermatologica dell’Università di Napoli Federico II, sono stati sono stati utilizzati per condurre uno studio multicentrico retrospettivo.
L’efficacia è stata misurata dalla percentuale di pazienti che hanno ottenuto un miglioramento del 100%, 90% o 75% delle lesioni psoriasiche in base allo Psoriasis Area Severity Index (PASI) e di quelli che hanno raggiunto un punteggio PASI inferiore a 3 alle settimane 16, 28, 40 e 52.
«La popolazione dello studio è stata analizzata in sottogruppi per valutare i possibili predittori della risposta a risankizumab dalla settimana 40 in avanti» hanno aggiunto. «Al momento dell’analisi 165, 103, 30 e 11 pazienti avevano completato rispettivamente 16, 28, 40 e 52 settimane di trattamento».
Efficacia confermata nel mondo reale
Rispetto al basale, dopo 16 settimane il punteggio PASI medio è diminuito passando da 12,5, che indica una malattia grave, a 1,9, che indica una malattia lieve. Ulteriori riduzioni sono state osservate a 28, 40 e 52 settimane con un punteggio PASI medio rispettivamente di 1,1, 1,3 e 0,5 (P = 0,000).
Riduzioni simili sono state osservate anche considerando un punteggio PASI inferiore a 3, PASI 75, PASI 90 e PASI 100. Il punteggio assoluto PASI <3 è stato raggiunto dal 71% dei pazienti alla settimana 16 e dall’87%, 87% e 91% dei pazienti rispettivamente alle settimane 28, 40 e 52. PASI 75 è stato raggiunto dal 73% dei pazienti alla settimana 16 e successivamente dall’86%, 83% e 91% alle settimane 28, 40 e 52. PASI 90 è stato raggiunto dal 53% dei pazienti alla settimana 16 e dal 72%, 73% e 82% rispettivamente alle settimane 28, 40 e 52. Infine PASI 100 è stato osservato nel 32% dei pazienti alla settimana 16 e nel 51%, 53% e 73% alle settimane 28, 40 e 52.
Fattori che possono influire sulla risposta alla terapia
Per quanto riguarda i possibili fattori prognostici, è stata osservata una risposta inferiore a risankizumab nei pazienti che hanno riferito il fallimento di precedenti terapie biologiche, l’attuale o la precedente abitudine al fumo, l’obesità e il coinvolgimento articolare.
Una riduzione significativa dell’efficacia, misurata tramite il PASI medio, è stata osservata nei pazienti con artrite psoriasica in comorbidità rispetto a quelli senza in tutti i punti temporali:
- 2,7 vs 1,7 a 16 settimane (P = 0,036)
- 1,9 vs 0,4 a 28 settimane (P = 0,006)
- 4,1 vs 0,5 a 40 settimane (P = 0,016)
Non è stata osservata alcuna differenza nella risposta a risankizumab nelle aree difficili da trattare (cuoio capelluto, pieghe cutanee, palmi delle mani, unghie e genitali). Sono state rilevate differenze significative nei pazienti con obesità (BMI ≥ 30), un noto predittore negativo della risposta della psoriasi ad alcuni trattamenti biologici come anti-TNFalfa, ustekinumab e secukinumab, rispetto ai non obesi e, in misura minore, differenze legate all’abitudine al fumo.
La sicurezza di risankizumab dopo 52 settimane è stata buona, con una sola interruzione correlata agli effetti collaterali (0,6% della popolazione totale), un risultato simile a quello riportato dagli studi di fase III. Non sono stati osservati nuovi segnali di sicurezza.
«Studi di real life con campioni più numerosi, di durata maggiore e con un follow-up più lungo potrebbero stimare meglio l’efficacia di risankizumab in ambito clinico» hanno concluso i ricercatori. «Sono necessari studi proof of concept per valutare meglio il peso di possibili fattori prognostici nella risposta della psoriasi a risankizumab».
Bibliografia
Mastorino L et al. Risankizumab shows high efficacy and maintainance in improvement of response until week 52. Dermatol Ther. 2022 Feb 14;e15378.