Tumore ovarico: secondo i risultati di un nuovo studio la chemioterapia intraperitoneale ipertermica offre beneficio ad alcune pazienti
Il ruolo della chemioterapia intraperitoneale ipertermica (HIPEC) nel trattamento del carcinoma ovarico è tuttora oggetto di dibattito. Uno studio di autori coreani da poco pubblicato su JAMA Surgery fornisce nuove informazioni sul tema e dimostra che l’aggiunta della HIPEC alla chirurgia citoriduttiva primaria non ha prolungato significativamente né la sopravvivenza libera da progressione (PFS) né la sopravvivenza globale (OS) in donne con carcinoma ovarico epiteliale avanzato.
Tuttavia, i risultati di un’analisi di sottogruppo hanno mostrato che l’aggiunta dell’HIPEC alla chirurgia di intervallo, quella eseguita dopo la chemioterapia neoadiuvante, ha ridotto i tassi di recidiva della malattia e di mortalità nelle donne con carcinoma ovarico epiteliale primario in stadio III o stadio IV.
«La chemioterapia ipertermica intraperitoneale potrebbe essere eseguita in sicurezza dopo la chirurgia citoriduttiva massimale, inclusa la chirurgia del colon sinistro, senza alcun ritardo nell’inizio della chemioterapia adiuvante», scrivono gli autori, coordinati da Myong Cheol Lim, del Center for Gynecologic Cancer del Cancer Center di Goyang (Corea del Sud).
«In questo studio non è stato identificato un beneficio di sopravvivenza dell’HIPEC somministrata immediatamente dopo la chirurgia citoriduttiva primaria e il tema deve essere ulteriormente studiato in futuri studi clinici», aggiungono i ricercatori.
Lo studio
Lim e colleghi hanno effettuato lo studio perché il carcinoma ovarico è tuttora caratterizzato dal più alto tasso di mortalità tra i tumori maligni ginecologici e finora non vi erano dati sufficienti sul beneficio di sopravvivenza dell’HIPEC nelle donne con carcinoma ovarico epiteliale avanzato sottoposte alla chirurgia citoriduttiva primaria o di intervallo.
Gli autori hanno arruolato 184 donne con carcinoma ovarico in stadio III o IV con dimensioni del tumore residuo inferiori a 1 cm trattate in due centri in Corea del Sud fra il 2 marzo 2010 e il 22 gennaio 2016. I ricercatori hanno assegnato in modo casuale le pazienti secondo un rapporto 1:1 all’HIPEC (età mediana: 52 anni; intervallo inter quartile [IQR], 46-59,5) o a un gruppo di controllo (età mediana: 53,5 anni; IQR, 47,5-61).
L’HIPEC intraoperatoria consisteva nella somministrazione di 75 mg/m2 di cisplatino perfuso utilizzando una tecnica chiusa con una temperatura target di 41,5 °C per 90 minuti.
La PFS era l’endpoint primario, mentre gli endpoint secondari chiave includevano l’OS e gli eventi avversi.
Beneficio dell’HIPEC in caso di chirurgia di intervallo
Dopo l’ultimo giorno di follow-up (10 gennaio 2020), con un follow-up mediano di 69,4 mesi (IQR, 54,4-86,3), i risultati hanno mostrato una PFS mediana di 19,8 mesi (IQR: 13,7-55,4) nel gruppo sottoposto all’HIPEC e 18,8 mesi (IQR: 13-43,2) nel gruppo di controllo. Inoltre, i ricercatori hanno riportato un’OS mediana di 69,5 mesi nel gruppo trattato con l’HIPEC (IQR: 45,6 mesi-dato non riportato) e 61,3 mesi nel gruppo di controllo (IQR: 34,3 mesi-dato non riportato).
Nel sottogruppo delle donne sottoposte a chirurgia citoriduttiva di intervallo dopo la chemioterapia neoadiuvante, Lim e colleghi hanno riportato una PFS mediana di 17,4 mesi (IQR: 13,8-31,5 mesi) nel gruppo che ha ricevuto l’HIPEC e di 15,4 mesi (IQR: 10,6-21,1 mesi) nel gruppo di controllo (HR 0,6; IC 95%, 0,37-0,99) e un’OS mediana rispettivamente di 61,8 mesi (IQR: 46,7 mesi-dato non riportato) contro 48,2 mesi (IQR: 33,8-61,3 mesi) (HR 0,53; IC al 95% 0,29-0,96).
Nel sottogruppo sottoposto a chirurgia citoriduttiva primaria, invece, il gruppo trattato con l’HIPEC ha mostrato una PFS mediana numericamente più breve (23,9 mesi; IQR: 12,3-71,5) rispetto al gruppo di controllo (29,7 mesi; IQR: 17,2-90,1), nonché un’OS mediana più breve (71,3 mesi contro non raggiunta; IQR: 45,6-dato non riportato).
Per quanto riguarda la sicurezza, i ricercatori non hanno riportato eventi avversi gravi correlati all’HIPEC irrisolti in nessuno dei due gruppi.
Servono nuovi studi ben progettati
I risultati evidenziano «l’esigenza fondamentale di studi ben progettati sul ruolo dell’HIPEC nel carcinoma ovarico epiteliale», scrivono Stephanie L. Wethington, Deborah K. Armstrong e Fabian M. Johnston, tutti della Johns Hopkins University di Baltimora, in un editoriale di accompagnamento.
«Gli studi devono definire attentamente la popolazione di pazienti e il processo di arruolamento, compresi i criteri per l’assegnazione alla chirurgia citoriduttiva primaria o alla chemioterapia neoadiuvante seguita dalla chirurgia di intervallo e bilanciare lo stadio, il grado e il tipo istologico (nelle pazienti arruolate, ndr). Riguardo alla procedura dell’HIPEC, bisogna specificare il farmaco, il volume di irrigazione e il tempo di permanenza, nonché gli approcci di supporto utilizzati», osservano i tre esperti.
Inoltre, aggiungono Wethington, Armstrong e Johnston, i dati sugli effetti tossici devono essere riportati in modo completo per affrontare la questione delle preoccupazioni relative agli effetti tossici dell’HIPEC e alla tollerabilità della successiva chemioterapia».
Bibliografia