Alzheimer: dopo 2 anni aducanumab continua ad agire su beta-amiloide e la p-tau181 secondo nuovi dati diffusi da Biogen
Biogen ha diffuso nuovi dati provenienti dall’estensione a lungo termine dei trial di Fase III su aducanumab. Dopo quasi due anni e mezzo (128 settimane) di trattamento tramite iniezione da 100 mg/mL per somministrazione endovenosa, i pazienti coinvolti hanno continuato a mostrare significative riduzioni in due meccanismi patologici chiave alla base della malattia di Alzheimer: le placche di proteina beta-amiloide e la p-tau181 nel plasma. Inoltre, dai dati di entrambi i trial di Fase III, emerge che alla settimana 78 è stato registrato un declino clinico inferiore nei pazienti con livelli ridotti di p-tau181 nel plasma rispetto ai partecipanti i cui livelli di p-tau181 non si erano ridotti.
I dati acquisiti grazie all’estensione a lungo termine degli studi mostrano che aducanumab ha ridotto significativamente il livello delle placche di beta-amilode fino alla settimana 132 e che ha continuato a ridurre i livelli di p-tau181 nel plasma fino alla settimana 128. Inoltre, tra i pazienti in grado di eliminare più efficacemente la beta-amiloide (SUVR inferiore a 1,1 alla settimana 78) sono state osservate riduzioni più consistenti di p-tau181 alla settimana 128. Questi risultati indicano il potenziale beneficio del trattamento a lungo termine, con una riduzione continua delle placche di proteina beta-amiloide.
“Si tratta di risultati importanti che permettono di fare ulteriore chiarezza sul ruolo delle placche di proteina beta-amiloide e sui biomarcatori a valle nella malattia di Alzheimer, come la p-tau181, aiutando a stabilire quanto a lungo i pazienti potrebbero trarre beneficio dal trattamento per la riduzione delle placche di beta-amiloide”, sostiene Samantha Budd Haeberlein, e direttore della divisione Neurodegeneration Development di Biogen. “Non solo, questi dati dimostrano che il trattamento con aducanumab per lunghi periodi di tempo continua a ridurre, oltre i due anni, i meccanismi patologici alla base della malattia di Alzheimer”.
Dai dati è emerso un ulteriore elemento significativo: in entrambi i trial di Fase III, alla settimana 78, i pazienti che avevano ottenuto una riduzione della p-tau181 nel plasma (un endpoint esplorativo), hanno registrato una progressione ridotta in tutti e quattro gli endpoint clinici (CDR-SB, MMSE, ADAS-Cog13 ed ADCS-ADL-MCI) volti a misurare le capacità cognitive e funzionali.
Nei periodi placebo-controllati dei trial di Fase III, l’incidenza di ARIA-E nel gruppo 10 mg/kg è stata del 35,2%. È risultata più elevata tra i portatori di APOE ε4 (43,0%) rispetto ai non portatori (20,3%). Anche se la maggior parte dei casi di ARIA sono asintomatici, possono verificarsi sintomi gravi in concomitanza di questi eventi (0,3% dei partecipanti del gruppo 10 mg/kg nei trial di Fase III). Il 98,2% degli eventi di ARIA-E sono andati incontro a risoluzione nel corso dello studio, la maggior parte entro 12-16 settimane. Biogen proseguirà le proprie ricerche con l’obiettivo di arrivare a una caratterizzazione più approfondita di questi eventi, così da poter determinare con chiarezza i fattori che comportano il rischio di ARIA.