Accadde oggi: l’8 maggio 1982, sulla pista belga di Zolder, nasce la leggenda del pilota canadese Gilles Villeneuve
Jochen Mass procede lentamente, guarda negli specchietti e lo vede arrivare come una freccia. In una frazione di secondo si sposta sulla destra per farlo passare. L’incomprensione, lo schianto in un rombo strozzato. Un corpo che vola, ancora legato al sedile come un manichino dei crash-test, che insieme a cento pezzi attraversa l’inquadratura fissa di una telecamera. Lo stacco sulle recinzioni, su quella sagoma bianca e immobile a terra, vicino a un paletto, su cui si affannano persone, soccorsi, preghiere. È così che muore Gilles Villeneuve, è così che nasce il suo mito. È l’8 maggio del 1982 a Zolder, in Belgio. Dov’eri, e cosa facevi quel giorno lì… se lo ricordano tutti. Un trauma, come il primo maggio di Ayrton Senna. Nomi che riecheggiano, volti più o meno vaghi e lontani nel tempo, frenate del cuore, sorpassi della mente e vittorie davanti agli occhi. A questo servono gli anniversari – e di anni ne sono passati 40 – date che (ri)corrono e fanno rivivere. Fanno ancora male. Chiedi chi era Villeneuve, la storia ti risponderà.
Quando Gilles viene al mondo, il 18 gennaio del 1950, a Saint Jean sur Richelieu il freddo è quello dell’inverno spietato del Canada. Si esce per lavorare, si torna a casa, si gioca a hockey sul ghiaccio. Non c’è molto altro. C’è chi guida le motoslitte. Non passeranno molti anni prima che anche quel ragazzetto con la faccia gentile, dai tratti delicati, salti su e inizi a guidare come un pazzo sulla neve. A lui piace così, e se non c’è la neve c’è il fango dei boschi e c’è un trattore. La motoslitta, il trattore… l’antitesi perfetta del pilota professionista, il contrario di quello che non solo oggi – ma anche in quegli anni senza elettronica né tecnologia – lontanamente assomigli a un perfezionista del volante. Ma lui è veloce. Ha coraggio. Ha cuore.
Gilles è uno zingaro dell’asfalto, uno che all’inizio si vende la casa per potersi pagare la vita in mezzo ai motori, tanto poi riuscirà a comprarsi un elicottero per arrivare sui circuiti. Gira Paesi e città senza trovare pace né far crescere radici. Piantando una bandiera in mezzo al petto di un popolo che ‘sente’ le corse, le capisce, gente che di piloti ne ha visti tanti ma ne ha amati sicuramente meno dei Gran Premi vinti da Gilles, solo 6 in carriera.
TRA MITO E FOLLIA
Il mito Villeneuve è più forte in Italia che in Canada, lo dice anche la moglie Johanna. Basta fare un giro virtuale a quelle latitudini per capire che Gilles è più uno di noi che uno di loro. C’è stato un tempo in cui “J’ai la fievre Villeneuve” – “Ho la febbre Villeneuve” – non era solo un modo di dire inventato dai compatrioti francofoni pazzi per il loro eroe nazionale, ma un’eccitazione dell’anima prima ancora che dei sensi. Estro e velocità, la follia in una foglia d’acero. Rossa come la Ferrari. Una passione che si accende il 9 ottobre del 1977 quando Gilles debutta con il Cavallino: Enzo Ferrari prima lo assume anche per dimostrare che chiunque poteva vincere con una delle sue macchine, tempo dopo lo paragona a Tazio Nuvolari. Non era previsto che Gilles entusiasmasse così, quel colpo di fulmine solo il Grande Vecchio l’aveva visto arrivare. La morte prematura, all’apice della carriera e a soli 32 anni, avrebbe alimentato come benzina la passione collettiva, il dolore di chi con il piccolo canadese aveva sognato, e di chi su quella monoposto l’aveva fatto salire. “Io gli volevo bene”, dirà Enzo. In una iconica conferenza stampa nel 1981 gli diede un bacio sulla testa, muovendogli appena i capelli. L’amore paterno è fatto così. Quando sarà lui a morire, qualche anno più tardi, una foto di Villeneuve era ancora tra i suoi ricordi più preziosi. Gilles era uno di famiglia.
GILLES È VIVO
Il risultato è che Gilles è più vivo che mai. Vive ancora sulle tre ruote di Zandvoort 1979, con quel giro di pista a trascinarsi dietro pneumatico, cerchio e i commenti inorriditi degli addetti ai lavori. “Villeneuve mi sta bene così com’è”, lo difendeva Ferrari. Gilles vive ancora sotto la pioggia del Gran Premio del Canada dell’81, dietro quell’alettone piegato sempre di più a impedirgli di vedere davanti. Arriva terzo, ‘sentendo’ la pista, come quando vinceva sulle motoslitte. “Assurdo”, “dategli bandiera nera”, “fermatelo”, dicono sempre gli stessi. Ma si sente solo il boato della folla di casa che lo esalta, il termometro schizza impazzito, altro che febbre: è delirio.
“Non penso alla morte, ma accetto che faccia parte del gioco”, assicura Villeneuve. Che pure dicono un po’ di paura l’avesse provata davvero, ma non in pista. Fu quella volta che sfidò – vincendo – un F104S dell’Aeronautica italiana con la Ferrari 126Ck (anche quel giorno aveva tolto gli alettoni, ma per andare più veloce…): acclamato da migliaia di persone che volevano toccarlo, “l’aviatore” fu costretto a indossare una divisa militare per mimetizzarsi e uscire dall’aeroporto in sicurezza. Gilles vive ancora nel duello con René Arnoux negli ultimi 4 giri di Digione nel 1979: frenate al limite, sbandate, toccate, sorpassi e controsorpassi all’esterno. A finire davanti è Gilles, che si piazza secondo.
C’è un altro duello però nel destino del canadese. Imola, 25 aprile 1982. Quelle che sembrano solo manovre per deliziare il pubblico diventano il tradimento del compagno di squadra Didier Pironi. Villeneuve, in piena corsa verso il Mondiale, crede che il francese gli starà dietro e gli farà da scudiero come lui fece con Jody Scheckter tre anni prima, consentendo al sudafricano di lottare per il titolo. Non sarà così. ‘Didi’ gli soffia la vittoria non restituendo la posizione, Gilles la prende male e inizia la corsa verso la morte. Determinato a qualificarsi davanti a Pironi, a Zolder due settimane dopo entrerà in pista con furia cieca e gomme consumate, cercando l’ultimo tentativo di giro veloce. Troverà la morte, e avrà le forme della macchina di Jochen Mass. Eppure Gilles vive ancora. È un dato di fatto. È nato il 26 gennaio 2022. È il quinto figlio di Jacques, campione del mondo in Formula 1 nel 1997, che 40 anni dopo ha scelto di nutrire la leggenda nel nome del padre: è il suo quinto maschio, ma “non ero pronto per farlo prima. Adesso è arrivato il momento giusto, probabilmente avevo delle cose da capire e da digerire”. Certi amori fanno dei giri immensi e poi ritornano. È lui, Gilles, che anche dopo 40 anni non è mai andato via davvero: lutti, pagine, ricordi, retorica, inchiostro, racconti e immagini sbiadite. Ha fatto solo un lunghissimo giro. Alla fine, racconta la Dire (www.dire.it), il suo è solo un sorpasso.