Tumore ovarico in stadio avanzato: il mantenimento con rucaparib in prima linea dimezza il rischio di progressione o morte
In pazienti con un carcinoma ovarico avanzato, una terapia di mantenimento con l’inibitore di PARP rucaparib dopo la chemioterapia di prima linea a base di platino produce un miglioramento significativo della sopravvivenza libera da progressione (PFS) rispetto al placebo, indipendentemente dallo stato dei biomarcatori (lo stato mutazionale dei geni BRCA1/2 e la presenza o assenza di deficit della ricombinazione omologa, HRD). È quanto osservato nello studio di fase 3 ATHENA (GOG 3020/ENGOT-ov45; NCT03522246), in particolare nella porzione ATHENA-MONO dello studio.
Secondo quanto riferito dall’azienda produttrice (Clovis Oncology) in una nota, nella popolazione di pazienti HRD-positive (HRD+), la PFS mediana è risultata di 28,7 mesi nel braccio trattato con rucaparib (185 donne) contro 11,3 mesi nel braccio di controllo, trattato con il placebo (49 donne), differenza che si traduce in una riduzione del 53% del rischio di progressione o morte nel braccio sperimentale (HR 0,47; IC al 95% 0,31-0,72; P = 0,0004).
Ma il beneficio del mantenimento con rucaparib si è visto anche nella popolazione Intent-To-Treat (ITT, 538 pazienti), nella quale la PFS mediana raggiunta nel braccio sperimentale (427 pazienti) è risultata di 20,2 mesi, a fronte di 9,2 mesi nel braccio placebo, con una riduzione del 48% del rischio di progressione o morte a favore del trattamento con rucaparib (HR 0,52; IC al 95% 0,40-0,68; P < 0,0001).
Immediate e positive le ripercussioni in borsa della notizia, che ha portato a un rialzo delle azioni di Clovis di oltre il 20%.
Rucaparib efficace indipendentemente dallo stato dei biomarcatori
L’azienda ha reso noto che questi risultati saranno utilizzati a supporto della domanda di ampliamento delle indicazioni di rucuparib (attualmente approvato per la recidiva platino-sensibile), domanda che dovrebbe essere presentata alla Food and Drug Administration nel secondo trimestre del 2022. Inoltre, i dati dello studio saranno presentati al prossimo congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), in giugno.
«Sebbene gli inibitori di PARP si siano dimostrati efficaci come terapia di mantenimento di prima linea per le pazienti con carcinoma ovarico avanzato, rimangono ancora dubbi sulla popolazione di pazienti che potrebbe trarre beneficio dal loro uso. I risultati dello studio ATHENA-MONO rispondono a molte di queste domande senza risposta e ampliano le possibilità di impiego di rucaparib in tutte le pazienti, indipendentemente dallo stato dei biomarcatori», ha affermato il Principal Investigator dello studio, Bradley J. Monk, professore della University of Arizona College of Medicine di Phoenix, nonché direttore medico del Gynecologic Program presso lo US Oncology Network.
Lo studio ATHENA
Lo studio ATHENA (condotto in collaborazione con i due principali gruppi cooperativi dedicati allo studio delle neoplasie ginecologiche negli Stati Uniti e in Europa, rispettivamente il Gynecologic Oncology Group, GOG, e lo European Network of Gynaecological Oncological Trial groups, ENGOT) è un trial multicentrico internazionale, randomizzato, controllato con placebo e in doppio cieco, costituito da due parti: lo studio ATHENA -MONO e lo studio ATHENA-COMBO; in quest’ultimo si sta confrontando la combinazione di rucaparib più l’immunoterapia con nivolumab rispetto al solo rucaparib e i risultati dovrebbero essere annunciati nel primo trimestre del 2023.
Lo studio ATHENA-MONO ha arruolato 538 pazienti con carcinoma ovarico di alto grado, delle tube di Falloppio o peritoneale primario che avevano risposto alla chemioterapia di prima linea a base di platino.
L’endpoint primario dello studio era la PFS valutata dagli sperimentatori secondo i criteri RECIST v1.1 e l’analisi primaria dell’efficacia è stata effettuata in due distinti sottogruppi: prima nella popolazione di donne con tumore HRD+, comprese quelle con tumori con mutazioni di BRCA, e poi nella popolazione ITT.
Analisi esplorative
Oltre ai risultati ottenuti nelle due popolazioni sopra citate, l’azienda ha reso noti quelli ottenuti in analisi esplorative, fra cui quelli nel sottogruppo di pazienti con tumori senza HRD (HRD-negativi). Anche in questo sottogruppo, il PARP-inibitore ha migliorato in modo significativo la PFS mediana rispetto al placebo: 12,1 mesi contro 9,1 mesi (HR 0,65; IC al 95% 0,45-0,95; P = 0,0284).
Il beneficio è apparso ancora più marcato nelle donne con tumori BRCA-mutati, nel quale la PFS mediana non è stata raggiunta nel braccio assegnato a rucaparib, mentre è risultata di 14,7 mesi nel braccio di controllo (HR 0,40; IC 95%, 0,21-0,75; P = 0,0041). I risultati sono stati coerenti nelle donne con mutazioni germinali di BRCA, in quelle con mutazioni somatiche di BRCA e in quelle nelle quali lo stato mutazionale di BRCA non era noto.
Profilo di sicurezza senza soprese
Riguardo alla sicurezza, il profilo osservato in questo studio è risultato coerente con quello già noto del farmaco, riferisce Clovis.
Gli effetti avversi emergenti dal trattamento di grado 3/4 più comuni osservati nelle pazienti trattate con rucaparib sono stati anemia (28,7%), neutropenia (14,6%), aumento dell’alanina aminotransferasi/aumento dell’aspartato aminotransferasi (10,6%) e trombocitopenia (7,1%).
Complessivamente, le pazienti che hanno dovuto interrompere il trattamento a causa di eventi avversi insorti durante il trattamento sono state l’11,8% nel braccio rucaparib e il 5,5% nel braccio di controllo.
«Credo che il miglioramento significativo della PFS dimostrato nello studio ATHENA-MONO evidenzi l’importanza della terapia di mantenimento di prima linea e il beneficio che rucaparib può fornire alle donne con carcinoma ovarico avanzato, indipendentemente dallo stato dell’HRD» ha sottolineato nel comunicato Rebecca S. Kristeleit, del Guy’s and St. Thomas’ NHS Foundation Trust e coordinatrice dello studio ATHENA dell’ENGOT/NCRI National Cancer Research Institute. «…Lo studio ATHENA-MONO dimostra il ruolo della monoterapia con rucaparib nel trattamento di mantenimento di prima linea per il cancro ovarico avanzato» ha concluso l’autrice.