I ruderi sommersi del porto dell’antica Lupiae sono stati ritrovati lungo il tratto di costa tra San Cataldo e Le Cesine, in Salento
Continua a riemergere dal mare la storia sommersa del Salento. Recenti ricerche archeologiche condotte dal dipartimento di Beni culturali dell’Università del Salento hanno riportato in luce un antico molo lungo il tratto di costa tra San Cataldo e Le Cesine: un ritrovamento che restituisce un disegno nuovo dell’antico scalo portuale di Lupiae. La scoperta è avvenuta durante le ultime campagne di ricognizione (condotte sia su terra che sott’acqua, con uso di varie metodologie e tecnologie (drone, ROV, georadar, fotogrammetria e altro), e dirette da Rita Auriemma, docente a UniSalento di Archeologia subacquea.
I resti lasciano ipotizzare che al margine dell’area umida dell’oasi naturale gestita dal Wwf, nell’area dell’edificio idrovoro della Riforma agraria, in località Posto San Giovanni, sorgesse un porto che aveva una sua importanza tra la fine dell’età repubblicana e la prima età imperiale. E che solo successivamente sia stato costruito, più a nord, a San Cataldo il porto di Adriano. A raccontare una “nuova storia” sono diversi elementi emersi durante gli ultimi studi, approfondendo così le evidenze indagate sino agli anni Novanta. In quella posizione erano stati già documentati allineamenti murari connessi a depositi di età romana tardo repubblicana: una struttura nota come ‘chiesa sommersa’, una serie di vasche scavate nella roccia e un’altra sempre immersa nel mare, posizionata più a sud.
La ‘chiesa sommersa’, che si trova a 150 metri dalla riva, su uno sperone roccioso che si erge su un fondale di circa 5 metri, mostra una struttura intagliata nel banco roccioso, ma conserva anche resti di muri realizzati in conglomerato cementizio. La seconda struttura è costituita da allineamenti, paralleli e perpendicolari tra loro, di blocchi in calcarenite locale che si trovano a una profondità media di -3.5 metri e occupano, per quanto visibile, un’area rettangolare di 24×30 metri, che potrebbe però estendersi molto di più, poiché alcuni filari di blocchi sembrano continuare sotto un notevole apporto sabbioso.
L’Adriatico, spiega la Dire (www.dire.it), conserva nei suoi fondali tesori ancora da scoprire, testimoni dell’ingegno di popoli che un tempo pianificavano le loro città con fortificazioni, monumenti, porti e strade.